7 LUGLIO 1960:
LA POLIZIA SPARA A REGGIO EMILIA
di Franco Astengo
Per non dimenticare il 7
luglio 1960 e i 5 morti di Reggio Emilia.
Come
si è già avuto occasione di rammentare in altre occasioni, nel corso del mese
di Luglio del 1960, l’Italia repubblicana visse uno dei momenti più drammatici
della sua, in allora, giovane storia. In quel momento era in carica un governo
monocolore democristiano appoggiato dall’MSI, il partito neofascista erede
della Repubblica Sociale, e presieduto da Fernando Tambroni. Un governo del
quale è il caso di ricordare l’esatta composizione:
Presidente
del Consiglio Tambroni, Cassa per Mezzogiorno Pastore, Pubblica Amministrazione
Bo (fino all’11/4/1960), rapporti con il parlamento Angelini, Esteri Segni,
Interno Spataro, Giustizia Gonella, Bilancio Tambroni ad interim, Finanze
Trabucchi (quello dello scandalo delle banane n.d.r), Tesoro Taviani, Difesa
Andreotti, Pubblica Istruzione Medici, Lavori Pubblici Togni, Agricoltura
Rumor, Trasporti Sullo fino all’11/4/1960 poi Ferrari Aggradi, Poste Maxia,
Industria Colombo, Lavoro Zaccagnini, Commercio con l’Estero Martinelli, Marina
Mercantile Jervolino, Partecipazioni Statali Ferrari Aggradi, Sanità Giardina,
Turismo e Spettacolo Tupini.
Dal
30 giugno, giorno dello sciopero generale indetto a Genova per protestare
contro la convocazione del congresso dell’MSI nel capoluogo ligure, erano in
corso grandi manifestazioni in tutto il Paese con l’obiettivo di far cadere un
governo sostenuto dall’estrema destra. Si verificarono scontri violenti con la
polizia e i carabinieri in molte città d’Italia e proprio il giorno di oggi, 7
luglio, di 58 anni fa, a Reggio Emilia la polizia sparò ad altezza d’uomo verso
i manifestanti causando 5 morti. Il governo Tambroni poi si dimise il giorno 19
dello stesso mese, dopo che si erano verificati altri incidenti e la polizia
aveva di nuovo sparato causando altre vittime.
Questa
è la cronaca della drammatica giornata di Reggio Emilia.
A
Reggio Emilia, il 7 luglio, lo sciopero generale era stato proclamato in
seguito ai fatti di Licata e di Roma, cioè di Porta San Paolo dove i
carabinieri a cavallo guidati dal futuro campione olimpionico Raimondo d’Inzeo
avevano aggredito un corteo di deputati comunisti e socialisti che stavano
recandosi a deporre una corona d’allora alla lapide posta accanto alla Piramide
per ricordare i caduti alla difesa della Città il 9 settembre 1943, al momento
dell’invasione nazista. Lo sciopero di Reggio ottenne la totale adesione delle
lavoratrici e dei lavoratori:90% alle Fonderie Reggiane, 100% alla Bloch, 100%
alla Lombardini, così come nelle fabbriche di Luzzara, Correggio e negli altri
comuni della provincia. Quel giorno però si verificò anche la più grave
aggressione subita dalla Città emiliana dalla Liberazione: 5 morti, 21 feriti,
21 arrestati, 70 denunciati. Sullo svolgimento di quegli avvenimenti esiste una
vastissima documentazione: centinaia di testimonianze firmate, decine di
fotografie e persino una registrazione sonora. La provocazione poliziesca era
stata preparata in anticipo. Il comizio era stato prima proibito, poi
autorizzato ma all’interno della Sala Verdi che conteneva 300 posti mentre era
prevedibile la partecipazione di migliaia di persone.
Furono
vietati anche gli altoparlanti fuori dalla sala. Quando i manifestanti si erano
appena radunati in piazza della Libertà dalla vicina piazza della Vittoria,
senza alcun motivo, furono messi in azione gli idranti, si scatenarono i
caroselli da parte delle jeep (la specialità della “Celere” scelbiana che
avevano già sperimentato nel corso di tanti scioperi operai) e, a un certo
punto, si cominciò a sparare con i mitra, i moschetti e le rivoltelle. Le cittadine
e i cittadini presenti sulla piazza cercarono di reagire come poteva essere
loro possibile con pietre e sassi e impossessandosi di un camion della polizia
messo di traverso sulla strada per frenare la furia omicida delle “forze
dell’ordine” guidate dal commissario di PS Caffaro, un altro nome da non
dimenticare. Il sindaco della Città Campioli, i dirigenti della Camera del
Lavoro, dei partiti della sinistra e dell’ANPI cercarono vanamente di fermare
gli sparatori e alla fine ci riuscirono con grande fatica. A quel punto però
sul selciato erano rimasti cinque morti: Lauro Ferioli, Emilio Reverberi,
Marino Serri, Ovidio Franchi, Afro Tondelli, i cui nomi restano indelebili
nella nostra memoria anche perché citati nella canzone a loro dedicata da
Fausto Amodei e intitolata proprio “Morti di Reggio Emilia”. Canzone che resta
come l’inno della Nuova Resistenza che l’Italia visse proprio in quei giorni.
Nel corso della seduta della Camera dei Deputati del 12 luglio 1960 intervenne
il segretario del PCI Palmiro Togliatti pronunciando durante il suo discorso
anche questa frase: “Quando abbiamo approvato la Costituzione repubblicana,
chiaramente abbiamo detto che volevamo fondare un ordine politico e sociale
nuovo. I principi sono sanciti nella Costituzione Repubblicana; la lotta per
far trionfare gli ideali della Resistenza è la lotta per l’applicazione
integrale e per il rispetto assoluto della Costituzione, perché vengano
tradotte in atto le sue prescrizioni”.
Costituzione
e Resistenza: questo è ancora oggi il modo migliore per ricordare quei tragici
fatti e per guardarci attorno nel mondo di oggi dove quei valori sembrano
essere considerati obsoleti e da superare per stabilire un ordine fondato
sull’egoismo di una presunta “sovranità” e di un’altrettanta presunta
supremazia razziale.
[Per elaborare questo ricordo è stato
consultato il volume:
Reggio
Emilia, 7 luglio 1960,
con interventi di Renato Nicolai, Corrado
Corghi e Giulio Bigi.
Editori Riuniti 1980]