MISSIONE
MILITARE IN NIGER
E L’EMIGRAZIONE
FORZATA
di Patrizia Sterpetti
La WILPF-Italia è
contraria all’invio di militari in Niger perché dissente sia dall’analisi dei
fenomeni che ne è alla base, sia dall’impostazione dell’intervento che è
vecchia, non risolutiva e dannosa. Ribadiamo sempre la nostra convinzione, che
non è un puro slogan, della necessità
di spostare le risorse destinate al settore militare al settore civile. Ecco
cosa sarebbe sensato nella nostra ottica pacifista.
Il
Paese Italia, lo Stato italiano e i suoi governi avrebbero dovuto divenire,
attraverso l’esperienza pluriennale dell’accoglienza dei migranti forzati,
un’avanguardia a livello europeo e mondiale sui push factors che spingono le persone ad abbandonare i loro territori.
Il protagonismo dell’Italia si sarebbe dovuto contraddistinguere, quindi, per
una forte e documentata proposta all’Unione Europea di un’azione diplomatica
coesa e coerente nei confronti dei dittatori e degli oligarchi che non garantiscono
la vivibilità alle popolazioni africane che
si trovano costrette ad espatriare. Non possono esserci contraddizioni: un
Paese europeo non può accogliere le vittime di un leader che è sostenuto da un altro Paese europeo. La pressioni
diplomatiche, che hanno la loro efficacia (non si dimentichi il caso del
Marocco, per decenni esportatore di migranti, che si trovò costretto grazie
alle pressioni internazionali, ad indire le elezioni dell’alternanza nel 1997,
a creare un Ministero per i diritti umani e l’Istanza Equità e
Riconciliazione), avrebbero dovuto essere accompagnate da un piano strutturale
di Cooperazione internazionale mirato precisamente sulle aree di partenza dei
migranti forzati, creando dei partenariati tra regioni europee ed africane.
Per
evitare le tragedie nel deserto e nel mare, effetto evidente della carenza di
una rete strutturata tra Paesi esportatori e Paesi importatori di migranti
forzati, si sarebbero dovuti pianificare in modo più generoso i flussi
migratori per studio e per lavoro, con rilascio regolare dei visti nelle
rappresentanze diplomatiche. In concerto con l’OIM e l’ACNUR, la valutazione
delle richieste di asilo avrebbe dovuto essere garantita, insieme ai visti di
ingresso, in ogni ambasciata e consolato, dotate di uffici e personale
apposito. I Paesi che non hanno ratificato la Convenzione di Ginevra dovrebbero
essere incalzati dalla Comunità internazionale.
L’Italia,
al centro del Mediterraneo, partner europeo,
avrebbe potuto distinguersi per un approccio virtuoso di relazione con i Paesi
africani, fin troppo stanchi di relazionarsi con gli ex Paesi colonizzatori. Come
è stato osservato da tanti esperti di migrazioni inascoltati, le persone ben
formate in Italia potranno tornare ai loro Paesi di origine e determinarne un
avanzamento. L’Italia resterebbe nella memoria un’esperienza affettiva e
formativa indelebile. Nella pianificazione del modello di accoglienza si
dovrebbe fare un salto di qualità e attivare più risorse e programmi ad hoc per
favorire la consapevolezza culturale e politica sul fenomeno da parte degli
autoctoni, senza limitarlo a procedure organizzative ma vivendolo come un
passaggio fondativo della Storia delle relazioni internazionali; senza viverlo
con asetticità ignorante o obiettivi limitati ma padroneggiando i retroterra
culturali degli accolti, aprendo loro la strada di una conoscenza articolata
del mondo nel quale sono approdati, Italia ed Unione Europea.
Un
Paese democratico dovrebbe interagire diversamente con le vittime di
repressione, potenziando la loro capacità di denuncia e di organizzazione,
facendone delle diaspore illuminate, protagoniste un domani della
democratizzazione dei propri Paesi di
origine. Se questo non succede ma, anzi, gli accolti vengono vissuti come una
presenza ingombrante e problematica ciò accade perché il sistema
dell’accoglienza non valorizza le risorse umane giuste: i ricercatori delle
Scienze umane, antropologi culturali, sociologi, esperti di religioni, storici,
scienziati politici, linguisti, la ricerca-azione e l’insegnamento dei diritti
umani. Ciò crea problemi di stress da adattamento sia agli accolti che agli
autoctoni. L’esclusione di cervelli - e la loro fuga all’estero - provoca un
vuoto di inculturazione rispetto ad un fenomeno sociale che pur essendo
rilevante non ha abbastanza analisti che possano tradurlo, rappresentarlo,
organizzarlo. È la morte della ricerca e infatti i ricercatori diventano
martiri isolati e invece di avere tanti Giulio Regeni abbondano tra i giovani gli
xenofobi, si diffonde il bullismo e la violenza, il voyeurismo sessuale in
rete. Invece di stimolare l’interesse per la ricerca e il monitoraggio, per
proporre delle riforme e delle soluzioni, l’esercizio della diplomazia popolare,
invece di avvicinare alla politica e alla costruzione comune, alla
partecipazione alle decisioni… la società civile si spegne, l’Italia diventa
sui rifugiati uno Stato di Polizia, i servizi segreti subentrano ai
ricercatori, l’esercito prende il sopravvento e la Fortezza Europa ripiomba in
Africa chirurgicamente. L’Italia anziché distinguersi e fare da capofila con un
approccio nuovo si incista in mezzo agli altri
(francesi, tedeschi, statunitensi, forse anche belgi e spagnoli) già
presenti militarmente, spendendo soldi pubblici che sarebbero quanto mai utili
alla ricerca, all’accoglienza e alla Cooperazione internazionale. Se non
saranno vittime dell’uranio impoverito e dell’amianto sicuramente i militari in
Niger conosceranno altre piaghe.
Invece
di sperimentare l’unione diplomatica europea si fa esercizio della difesa
comune, si parla di difesa dei propri alleati invece di cercarne dei nuovi. I
rifugiati stessi vedono il G5 Sahel, (a cui aderiscono Mali, Niger, Burkina
faso, Ciad e Mauritania) come un segno di sudditanza dei leader africani a quelli europei e ribadiscono che se nei loro
Paesi arrivassero più aiuti e ci fosse lavoro resterebbero lì o tornerebbero.
Non aiuti in cambio del controllo delle frontiere ma una Cooperazione
svincolata, vera.
Dovranno
spiegarci come potranno contrastare il traffico e contemporaneamente aiutare
gli esseri umani trafficati e come si permettono di parlare a priori di
clandestini se fra questi ci sono richiedenti asilo con diritto a depositare le
loro richieste e a seguire l’iter necessario.
La
WILPF-Italia apprezza le forze politiche che in Parlamento si sono opposte alla
missione militare in Niger (il Movimento Cinque Stelle ha votato contro ma si è
schierato prima contro le ONG che salvavano i migranti in mare, Liberi e Uguali
ha probabilmente una visione lucida dell’erroneità dell’approccio, La Lega si è
astenuta ma è d’accordo con la missione). Gravissimo da parte di Forza Italia
il programma che propone come soluzione sicuritaria l’aumento delle Forze dell’ordine,
ignorando il problema aperto del bisogno di formazione sui diritti umani di
questi lavoratori. L’unica forma effettiva di difesa e l’unico radar che può
orientarci nell’incontro e nell’accoglienza è la conoscenza unita alla
correttezza, a percorsi di formazione, di inclusione - compreso il diritto alla
cittadinanza - e il rispetto dei diritti umani. Solo questo può preservarci
dall’esposizione a pericoli e ritorsioni latenti da parte degli accolti.