LEGGE MORALE E
AZIONE POLITICA
di Franco Astengo
In questi giorni “Il
Corriere della Sera” ha ripresentato l’ultimo lavoro di Zygmunt Bauman Gli stranieri alle Porte (prefazione di
Donatella Di Cesare). Nel suo capitolo conclusivo dal titolo “Le radici
dell’odio: antropologiche o legate al nostro tempo” il testo contiene citazioni
e riflessioni che possono benissimo essere adattate a un quadro più generale
ben oltre il tema dei migranti che costituisce l’oggetto del libro.
Una
rilettura di alcune parti di questo testo potrebbe essere rivolta a ciò che
rimane della sinistra italiana per porre a essa la questione del recupero di
una legge morale e di un collegamento di coerenza tra questa e l’azione
politica. Un tema, quello del rapporto tra Pensiero e Azione, che mi permetto
di considerare assolutamente decisivo in questa fase che ben può essere
considerata come di vero e proprio smarrimento.
Una
fase nella quale emerge nel concreto del quotidiano quell’ “arretramento
storico” di cui tante volte si è scritto in passato. L’evidenza di ciò che si
vede e si legge in questi giorni ci dice che la “politica”, completamente
slegata ormai da una “cultura della morale”, sta fornendo legittimità pubblica
ai peggiori luoghi comuni del razzismo e della xenofobia: quindi dello
sfruttamento. È la rilegittimazione dello sfruttamento il punto vero di
“ritorno” all’indietro, oltre le condizioni nella relazione di classe
stabilite, almeno in Occidente, con le lotte condotte durante la rivoluzione
industriale.
Emergono
dal profondo della società espressioni di rancore inimmaginabili fino a qualche
tempo fa. Non dimentichiamo che le parole contano, le parole sono pietre:
spacciare paura è diventato un gioco facile, per fare audience e raccogliere
voti: un voto di scambio da “straccioni morali”.
Bauman
avvia il testo del capitolo sopra citato ricordando la convinzione di Kant
circa la conoscenza morale, che è data a tutti gli uomini (e donne) in quanto
dotati (dotate) di facoltà razionali. Kant però non era certo che da quella
conoscenza derivassero necessariamente azioni morali.
Bauman
allora cita Hannah Arendt: “ la condotta
morale non è cosa che vada da sé”.
Il
testo prosegue riprendendo ancora Kant e il suo giudizio sulla “facoltà di
mentire” e sulla consapevolezza umana della propria falsità. Il punto che ci
riguarda più direttamente è però quello legato alla valutazione circa
l’impossibilità della soppressione della presenza della “legge morale in me” e del fatto che così si eleva infinitamente il
valore della presenza umana. Su questa base la Arendt sostiene che “la qualità
personale di un individuo è precisamente la sua qualità morale”.
Seguendo
il filo di questo ragionamento Bauman pone allora il quesito decisivo, quello
che, a giudizio di chi ha redatto questa nota, dovrebbe interrogare per intero
ciò che è rimasto vivo nella sinistra italiana: “Come persuadere la volontà a
seguire i dettami della ragione?”.
Nel
corso di questi ultimi anni, infatti, è accaduto proprio questo: mentre la
ragione avrebbe imposto di esaminare determinati percorsi politici seguendo
un’analisi coerente dei fatti e l’ispirazione della propria storia, la volontà si è rifiutata, invece, di seguirli
perché espressa in modo da obliare la verità.
Ne è seguito l’abbandono a una visione del
potere esercitato attraverso una impropria affermazione dell’autonomia del
politico considerata quale unico strumento dell’azione.
Il
potere considerato quale esaustiva finalità dell’azione politica.
Alla
sinistra italiana, compressa nel turbinoso vertice dell’astrattezza del potere
esercitato come fine a se stesso (quasi come un bene in sé) è così mancata la
capacità di valutare i dettami concreti della ragione e del legame fra la
ragione stessa e la morale. Quella ragione che, se ascoltata, avrebbe
consentito di vedere in quale direzione si stavano ponendo i fattori di
trasformazione degli equilibri sociali e politici (ne abbiamo scritto tante
volte e non è il caso di ripeterci anche in quest’occasione: guerra,
disuguaglianza, sfruttamento) ma la volontà di potenza imponeva invece di
ignorarli in favore di una lettura del tutto contraria alla realtà (e alla
storia).
Allora
si può concludere aggiungendo un’altra citazione da Hannah Arendt:
“La distinzione principale, da un punto di
vista politico, tra il Pensiero e l’Azione risiede nel fatto che io sono solo
con me stesso o con l’io di qualcun altro quando penso, laddove sono in
compagnia di molti quando inizio ad agire”.
Il
ritorno alla forma collettiva della riunificazione tra Pensiero e Azione
recuperando la nozione di “Legge Morale”: è
questo il nodo da affrontare per ricostruire la soggettività del
cambiamento posta in diretta relazione all’espressione, come questa si verifica
in quest’epoca, dei bisogni di massa e all’insopprimibile esigenza di
ribellione al dominio.