POPULISMO E
DITTATURA
di Franco Astengo
Dove corre il confine tra
populismo e dittatura?
Domanda
sicuramente legittima nella situazione italiana. Per provare a rispondere
allora andiamo per ordine. Nel suo discorso d’insediamento alla Camera il presidente
del Consiglio Conte ha precisato la natura delle forze politiche che sostengono
il governo affermando: “ le forze politiche che integrano la maggioranza di
governo sono state accusate di essere “populiste” e antisistema.. Sono formule
linguistiche che ciascuno può declinare liberamente. Se “populismo” è
l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente... se
“anti-sistema” significa mirare a introdurre un nuovo sistema, che rimuova
vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche
meritano entrambe questa qualificazione”.
Fin
qui tutto almeno in apparenza sembra filare liscio perché il Presidente del
Consiglio non aveva accennato alla forma attraverso la quale la presunta
“classe dirigente” intendesse ascoltare i presunti “bisogni” (neppure sono
individuati gli strumenti attraverso i quali si può verificare proprio
l’espressione di questi “bisogni”) e, ancora, attraverso quale meccanismo
istituzionale si sarebbe pensato a rimuovere i vecchi privilegi e le presunte incrostazioni di potere: da
ricordare su questo punto che, nella precedente legislatura, altri personaggi
definibili egualmente come “populisti” (che non avevano però accettato la
definizione) pretesero di tentare (nel loro disegno) eguale operazione di
rimozione degli antichi privilegi deformando la Costituzione Repubblicana e
quel tentativo fu seccamente respinto dal voto popolare (4 dicembre 2016). In
questo momento, avviata da qualche tempo l’attività di governo è possibile,
invece, tentare di individuare meglio il tipo di “populismo” e di “anti-sistema” che intendono praticare le forze che compongono la maggioranza di governo. Fatta assumere come centrale e pressoché esaustiva la questione del
respingimento dei migranti come fattore simbolico e quasi esaustivo della
riposta ai bisogni emergenti, la mediazione che il governo propone nel senso
della soddisfazione di questo bisogno (quello del respingimento dei
migranti) si sta verificando attraverso
un comando unico personalistico attuato nel senso dell’imperio.
Questo
ruolo di “comando unico personalistico” e di “imperio” viene interpretato dalla
figura del Ministro dell’Interno (anche in questo caso si ravvedono precedenti
con la scorsa legislatura), in nome dell’espressione di una coalizione ritenuta
ormai “dominante” sulla base di sondaggi d’opinione e di simulazione di voto (i
dati reali, ad esempio, delle ultime elezioni amministrative forniscono,
invece, dati molto diversi dall’individuare come già socialmente insediata
questa presunta “coalizione dominante”).
Ministro
dell’Interno (anche in questo caso corroborato nella sua azione da recenti e
significativi precedenti) che di volta in volta cerca di sostituirsi al
Ministro degli Esteri svolgendo missioni specifiche, al Ministro delle Infrastrutture
e quello della Difesa sul tema della chiusura dei porti (bypassando
tranquillamente il tema delle competenze tra i vari dicasteri e chiedendo di
ignorare le norme che regolano la navigazione sia mercantile, sia militare), al
Consiglio dei Ministri e al Parlamento attraverso l’emanazione di circolari
sostitutive sia della decretazione sia della legislazione (un tempo, in altre
parti del mondo, esistevano gli “ukaze”). Ribadisco il concetto di fondo che permea la situazione
in atto: il governo accetta la definizione di “populismo” e di “antisistema” e
la traduce , in pratica, attraverso una visione del potere di tipo
personalistico che non accetta la divisione dei ruoli e delle competenze:
visione del potere di tipo personalistico interpretata da un solo Ministro,
quello dell’Interno che, per solo strumento di diffusione del suo volere
utilizza l’insieme dei mezzi di comunicazione di massa senza mai passare dagli
organismi istituzionali, Consiglio dei Ministri e Parlamento. Del resto il
Ministero dell’Interno o Ministero di Polizia (senza ricordare Fouché) è sempre
stato il ministero chiave delle dittature: lo stesso Mussolini resse l’incarico
dal 31 ottobre 1922 al 17 giugno 1924, per poi cederlo a Federzoni nel momento
topico del delitto Matteotti (17 giugno 1924 - 6 novembre 1926) e quindi,
stroncata la buriana con le leggi “fascistissime”, riprendere la titolarità del
Ministero ininterrottamente fino al 25 luglio 1943.
Un
altro punto sul quale riflettere, rispetto alle dichiarazioni rilasciate dal
Presidente del Consiglio al momento dell’insediamento, riguarda il punto
dell’anti-sistema. È evidente che se si
accetta la definizione di anti-sistema si oltrepassano le definizioni
“classiche” dell’articolazione del sistema parlamentare imperniata, almeno
dall’Assemblea Nazionale Costituente nella Francia rivoluzionaria (1789), sul
concetto di “destra” e “sinistra”.
Quella
dell’anti-sistema risulta quindi essere una “Terza Posizione” (definizione appartenente, in Italia,
all’estrema destra affiancata ai NAR) che sempre ragionando in termini di
esperienza storica al riguardo dei sistemi politici può essere accostata al
peronismo. Peronismo che intendeva rappresentare una sorta di adattamento dal
fascismo alla democrazia, ponendo come principale la contraddizione tra élite e
popolo.
Eguale
contraddizione si tende fallacemente a porre oggi, in Italia, in un passaggio
che, proprio sul piano dell’adattamento di sistema, potrebbe rivelarsi
effettuato al contrario rispetto a quello attuato in Argentina negli anni’50:
dalla democrazia al fascismo. Il tutto esposto come riflessione non
semplicemente accademica.