…E le stelle
stanno a guardare
di Cataldo Russo
Ospitiamo
questo lungo intervento dello scrittore Cataldo Russo sulla fase attuale.
Parafrasando il titolo
del noto romanzo di Archibald Joseph Cronin, E le stelle stanno a guardare, viene spontaneo porsi alcune domande
circa l’assurdo attendismo dell’universo della sinistra radicale, che non
riesce a mettersi insieme per costituire il nuovo soggetto della sinistra. Che facciano, compagni? Aspettiamo ancora, e
ancora, e ancora? Aspettiamo cosa? L’indecisionismo di alcuni compagni che, pur
vivendo il disagio di una militanza contraddittoria e ingombrante non riescono
a tagliare il cordone ombelicale che li lega al PD, i distinguo dei tanti
intellettuali radical chic che si credono sempre depositari di una verità più
vera che più vera non si può, o l’arrivo di un nuovo miracoloso Godot?
Che
facciamo? Restiamo a guardare alla finestra, orgogliosi delle nostre idee? Ma
non vediamo che Salvini e il centro destra, i Grillini e persino la destra
estrema stanno risucchiando come in un vortice i nostri tradizionali elettori?
Che
cosa facciamo di fronte alla tracotanza e il pericolo delle destre e dei
partiti populisti? Continuiamo a disquisire sulla virgola, i due punti, il
punto e virgola, mentre il nostro consenso scivola sempre più verso lo zero
virgola, o ci scuotiamo dal torpore in cui siamo piombati e decidiamo di agire?
Il
prossimo treno che passerà sarà l’ultimo, o decidiamo di prenderlo o resteremo
a piedi, orgogliosi dei nostri consensi- nostri nel senso dell’universo che sta
a sinistra del PD- che raramente
superano lo 0,3%, lo 0,5%, l’1,5%, il 3%?
Allora,
se non vogliamo restare a guardare passivamente che la sinistra sia
cannibalizzata dalla destra e da Salvini, è giunta l’ora di agire e costituire
il partito che attualmente manca, il partito di cui c’è bisogno, il partito che
può ridare speranza e dignità agli ultimi e a tutti quegli orfani che non si riconoscono nel neoliberismo e nel più becero
revisionismo.
Per
farlo il partito e dargli gambe solide e respiro lungo occorre riflettere su
alcuni interrogativi:
C’è bisogno ancora in
Italia, e non solo, di un partito di sinistra che si richiami alla grande
tradizione del marxismo?
La
risposta è sì, un sì convinto. Oggi siamo in una fase di capitalismo selvaggio,
immorale e più che mai pericoloso. Un capitalismo senza alcuna etica, se mai
l’avesse avuta, capace di cannibalizzare la politica, anche la più antagonista,
e persino il vecchio capitalismo da cui discende. Questo capitalismo cinico, in
grado di far fallire le banche, di scegliersi i governi, di decidere gli
orientamenti del mercato, in grado di pilotare colpi di stato, può essere
contrastato solo da una vera sinistra, forte, coesa, con un programma rigoroso
e serio.
Dopo
la caduta del muro di Berlino, il capitalismo ha enfatizzata oltre ogni limite
e in maniera strumentale la fine dei grandi partiti dell’ottocento e delle
ideologie, soprattutto di quella comunista, quasi fosse stata una malattia
infettiva. È stata una trappola
preparata ad arte da questo “capitalismo farabutto”, dentro la quale,
consapevolmente o no, in molti hanno messo la testa.
Come
se non bastasse, molti ex partiti comunisti e molti militanti, alcuni dei quali
genuinamente in buona fede, nel tentativo di recidere le radici con vecchie
dittature, tipo quella stalinista, hanno finito con il buttare il bambino con
l’acqua calda
Le
idee di sinistra, che hanno determinato l’evoluzione storica del comunismo, a
partire dalla seconda metà del settecento a oggi, sono scaturite dall’urgenza
di contrastare regimi brutali e oppressivi, fondati sullo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, dove la forza lavoro era stata ridotta a una merce, uno
strumento di ricchezza e basta.
Non
si nega che spesso per conseguire l’obiettivo di una più giusta redistribuzione
della ricchezza, della giustizia sociale e dell’emancipazione della classe
lavoratrice, non sia stata usata anche la violenza, ma essa è stata
indispensabile sia per la protervia di imprenditori, proprietari e governi
compiacenti, sia per la disparità dei mezzi messi in campo.
Quell’idea di base è
oggi riproponibile?
Certo
che sì. Oggi i lavoratori sono costretti a lavorare senza regole e senza
sicurezza, per un numero di ore che è largamente superiore alle otto ore dei
contratti, per retribuzioni da fame e con il pericolo di ricevere il ben
servito senza un giusto motivo, perché di proposito il lavoro è stato
precarizzato.
Quell’idea è riproponibile perché ha
come fondamento l’emancipazione degli ultimi e la giustizia sociale che ogni
giorno viene calpestata e derisa. Come se non bastasse, mai come in questo
momento storico sono presenti lo schiavismo, lo sfruttamento dei minori e la
guerra come strumento per creare estese sacche di povertà e grandi ricchezza
concentrate in poche mani.
Con
il vecchio schiavismo, lo schiavo sapeva chi era il padrone, lo guardava negli
occhi, lo giudicava, conosceva per quale miseria era stato comprato, oggi i
nuovi schiavi hanno sì padroni ma non sanno chi sono, non possono guardarli
negli occhi, perché essi agiscono all’ombra dei grandi capitali, dove tutto è
lecito e tutto si decide nelle stanze dei bottoni.
I
più grandi affari oggi non li fanno i re o alcuni governi, la cui colpa è
certamente quella di essere compiacenti, ma le multinazionali, il capitalismo
farabutto e le lobby delle armi.
Che strategia deve avere
oggi un partito di sinistra?
Un
partito di sinistra deve certamente avere una strategia, ma deve seguire anche
il proprio istinto. Deve cioè stare dalla parte del bisogno, deve intercettarlo
anche quando è latente e dargli delle risposte, deve stare dalla parte degli
ultimi e non nei salotti radical chic a pontificare o dispensare perle di
perbenismo.
La
sinistra non può fare come ha fatto il berlusconismo che ha girato attorno al
bisogno, lo ha deriso, lo ha connotato come una colpa e un retaggio delle
ideologie dell’Ottocento, soprattutto di quella marxista, quando addirittura
non lo ha negato, dicendo che era una esasperazione dei comunisti, ma che in
realtà non esisteva perché si nuotava nella ricchezza. Inoltre, il
berlusconismo ha fatto credere che si potesse uscire dal bisogno, qualora fosse
esistito, aspirando a una vita improntata al lusso e al consumismo,
all’imprenditoria allegra e spensierata e ai finanziamenti, inducendo così
molti a fare il passo più lungo della gamba per poi fallire.
Se
oggi più che in passato c’è bisogno della sinistra, non solo per dare dignità
agli ultimi, agli esclusi, agli emarginati, ma anche per difendere il ceto medio,
sempre più in balia delle crisi pilotate, l’artigianato messo in ginocchio da
tasse e concorrenza sleale, la piccola industria cannibalizzata dalle
delocalizzazioni selvagge, gli imprenditori agricoli costretti a lavorare in
perdita, allora non si può restare indifferenti, ma occorre far converge le
diversità, che sono sempre una ricchezza, su degli obiettivi condivisibili e
realizzabili, e costituirla, finalmente, questa benedetta sinistra.
Ma quali sono questi
obiettivi?
Il
manifesto del partito comunista del 21 febbraio del 1848 esordiva: «Uno spettro si aggira per l'Europa:
lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono
coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro: il papa e lo
zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi. [...] È
ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il
loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla
favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso.»
Da
allora tanti altri spettri, ben più pericolosi del comunismo, si sono aggirati
per il mondo, lo spettro del nazismo, quello del fascismo, delle monarchie
sanguinarie di alcuni paesi africani e dell’asia, l’apartheid, la corsa agli
armamenti, l’atomica, e via di seguito. Eppure questi orrendi spettri, che
hanno seminato morte e distruzione, non hanno fatto paura alle classi dominanti
allo stesso modo del comunismo perché non erano antagonisti al capitalismo
globale. Far rivivere quello spettro, cioè dire chiaramente che lo spettro del
comunismo è tornato, che esso è più che mai coeso e deciso a contrastare il
capitalismo speculativo, è il modo migliore per affrontare e risolvere gli
squilibri e i problemi che ci sono in Italia e nel mondo.
Il
nuovo partito che si dovrà costituire deve battersi per:
1- ottenere migliori
condizioni di vita e per lavori più stabili e duraturi. Per prima cosa deve
contrastare in tutti i modi le delocalizzazioni il cui scopo non è solo
spostare il lavoro, ma spostarlo laddove la manodopera costa sempre meno, dove
è possibile sfruttare i bambini, i vecchi, malati, ecc.;
2- conquistare diritti per tutti quei lavoratori
che i diritti non li hanno mai avuti o li stanno perdendo, e che sono costretti
a lavorare per le grandi multinazionali per 2 o 3 euro al giorno. Fino a quando
esistono lavoratori che faticano per dieci o dodici ore al giorno per una
retribuzione da fame non è pensabile arrestare la piaga della delocalizzazione
e della concorrenza sleale ai danni di quelle aziende che decidono di non
delocalizzare e che riconoscono i diritti;
3- impedire che sia utilizzata la guerra, la più
immorale fra le scelte che l’uomo possa compiere, per creare sterminate sacche
di povertà per i molti e infinite ricchezze per pochi.
4- passare dall’Europa delle banche e dei
banchieri all’Europa politica e della cultura;
5- salvaguardare l’ambiente in cui viviamo dai
“predatori” che, per incrementare i loro profitti, lo stanno avvelenando, deturpando
e distruggendo;
6- ottenere investimenti pubblici per la
realizzazione di grandi opere e grandi infrastrutture che possano creare le
condizioni per lo sviluppo omogeneo del nostro paese. Basta sperperi per mance,
mancette e finanziamenti per finte assunzioni.
In
Italia non si fanno grandi opere da molto tempo o se si fanno si realizzano
laddove non servono, dove risultano essere quasi delle fotocopie di altre
opere, oppure per sperperare denaro, com’è accaduto con l’expo. Invece c’è
tanto da fare. C’è da mettere in sicurezza l’intero paese, da Nord a Sud che
rischia ogni anno dissesti biblici a causa della fragilità idrogeologica del
suo territorio. C’è da realizzare grandi opere di irrigazione per rilanciare la
nostra agricoltura. Occorre difendere le coste dal fenomeno dell’erosione.
Bisogna mettere in sicurezza scuole, ospedali, centri abitati da terremoti che
sono sempre in agguato. C’è da difendere i boschi dagli incendi. C’è da
ripulire mari e fiumi da scorie inquinanti, e via di seguito.
Purtroppo
noi siamo abituati a leccarci le ferite quando le tragedie succedono anziché
prevenirle, anche perché agire in condizione di emergenza da sempre vuol dire
far male i lavori e incrementare la corruzione, che è un vero cancro nel nostro
paese.
A
che serve la Tav. sulla tratta Torino-Lione, già ben servita, quando manca il
secondo binario in molte tratte ferroviarie, per esempio la tratta
Taranto-Reggio Calabria, quasi 400 chilometri di ferrovia ancora a binario
unico? E ancora, vi sono alcune regioni
d’Italia come la Puglia, la Basilicata e la Calabria dove, sul versante ionico,
non esiste nemmeno una super strada, e si viaggia, fra divieti vari, rotonde
megagalattiche e pericoli di ogni genere a una media di trenta/quaranta
chilometri ora.
7- battersi affiche la sanità, la scuola, i
treni, le autostrade, la difesa e la sicurezza del paese, il demanio, i cieli,
l’acqua, le spiagge, i boschi, il patrimonio artistico, i fiumi, ecc. siano
pubblici e non privati.
8- ridurre seriamente le
tasse e la burocrazia per tutti i cittadini, compreso quegli imprenditori che
creano occupazione stabile e duratura.
L’emancipazione
vera del cittadino passa attraverso la capacità di ciascuno di agire per sé
senza bisogno di intermediari. Negli ultimi anni gli italiani anziché essere
affrancati dalle grinfie di una burocrazia brutale e violenta sono stati
letteralmente venduti ai CAF. In molti ambiti della propria vita il cittadino,
oggi, è espropriato dal diritto di potersi autodeterminare perché gli è
impedito di agire.
La
flat tax di cui parla la destra è una menzogna, un’altra ingiustizia del
capitalismo perché mette sullo stesso piano l’artigiano che arranca e
l’industriale che delocalizza, porta i capitali all’estero e sfrutta i
lavoratori. Come sinistra continueremo a parlare ancora e ancora di diritti, a
difenderli e conquistarli per chi non ce li ha, ma dovremo parlare sempre più
di lavoro perché esso è la base della vera emancipazione e dell’uguaglianza;
9- operare e agire affinché il problema migranti
non sia utilizzato per scardinare l’Unità Europea, né come l’alibi per dividere
il paese fra intransigenti e buonisti, ma per farne un valore aggiunto,
soprattutto umanitario e culturale, oltre che economico. Le nostre parole
d’ordine dovranno essere: salvare tutti, senza se e senza ma, condivisione del
problema fra gli stati europei, accogliere in base alla capacità di ciascun
paese di poter effettivamente integrare senza lasciare i migranti, siano essi
politici o economici, abbandonati a loro stessi o alla mercé della delinquenza.
È chiaro anche che l’Europa non può
farsi carico di un intero continente, l’Africa, che cerca disperatamente di
andare laddove ci sono migliori condizioni di vita, allora occorre fare scelte
di politica mondiale coraggiosa affinché l’Africa e gli altri paesi del
cosiddetto Terzo Mondo, siano messi in condizione di auto emanciparsi e
svilupparsi, senza conoscere gli artigli dei rapaci che per tanto tempo li
hanno depredati e impoveriti;
10- conquistare maggiori
diritti per chi non li ha ancora conseguiti, e lottare perché vi sia piena
aderenza ai principi della Costituzione sia da parte delle istituzioni, che
spesso agiscono in spregio a essa, sia da parte di alcuni partiti che la vivono
con un senso di fastidio, perché quella carta impedisce loro di fare quello che
vogliono.
È la sintesi dei punti
più importanti su cui dobbiamo impegnarci per costituire quel partito di
sinistra che oggi è quasi virtuale e che al più presto dovrà diventare reale.