di Carlo Tombola* e Francesco Vignarca*
La scorsa settimana nel
Palazzo di Vetro delle Nazioni unite a New York gran parte dei partecipanti
alla terza Conferenza di revisione del Programma di Azione Onu sul traffico illecito
di armi leggere ha indossato qualcosa di arancione. È il modo di aderire alla
campagna “Wear Orange”, perché l’arancio è il colore del movimento americano
contro le armi da fuoco sin da quando venne usato dagli amici di Hadiya
Pendleton, ragazzina di quindici anni uccisa a Chicago nel 2013 durante una
sparatoria tra gang rivali.
I
dati sulle vittime di pistole e fucili negli Usa sono davvero quelli di un
bollettino di guerra: quasi 6.000 morti e 11.000 feriti nei primi cinque mesi
del 2018 e un trend che cresce inesorabile. Si è passati dai 12.500 morti del
2014 ai 15.600 del 2017, con il «salto» avvenuto nel 2016: 15.100 uccisi a
fronte dei 13.500 del 2015. Forse è per questo che nella prima settimana di
dibattito alle Nazioni Unite uno dei momenti più significativi e di maggiore
attenzione è stato la testimonianza di Mei-Ling Ho-Shing, una giovane
studentessa sopravvissuta al massacro di Parkland in Florida. A guidare gli
sforzi della società civile internazionale per limitare la diffusione della violenza
armata c’è IANSA, movimento globale di centinaia di Ong e individui in tutti i
continenti.
«Nel
2001, quando concordarono il Programma di Azione Onu sul traffico illecito di
armi leggere, tutti gli Stati si dicevano gravemente preoccupati per la fabbricazione,
il trasferimento e la circolazione illecita di armi leggere e di piccolo
calibro e per il loro eccessivo accumulo e diffusione incontrollata. Queste
parole sull’eccessiva circolazione sembrano essere scomparse dal dibattito,
eppure riflettono una problematica realtà di violenza» ha sottolineato Rebecca,
Peters coordinatrice IANSA.
Certamente
le organizzazioni presenti (tra cui Opal Brescia a Rete Italiana Disarmo) sono
ben consapevoli delle molte ed ardue difficoltà a cui deve sottostare ogni percorso
di regolazione internazionale, in particolare nel settore altamente sensibile
del commercio/traffico degli armamenti leggeri.
C’è
intanto da adeguarsi alla cornice internazionale, entro cui si deve formare il
consenso su questo tipo di programma. Di conseguenza, è abbastanza improbabile
che possa entrare in questa revisione ciò che era stato escluso dal Trattato
sulle armi convenzionali (ATT) del 2013, segnatamente le questioni spinose
riguardanti il controllo delle munizioni e l’attività dei broker. Poi c’è il
merito stesso di cui si sta discutendo, cioè il commercio illecito di armi
leggere in tutti i suoi aspetti, e tutti gli elementi dell’oggetto di
discussione presentano ampi margini interpretativi. Commercio è qualsiasi
trasferimento. Illecito è alla lettera molto più che illegale, comprendendo
anche ciò che non è espressamente proibito ma può causare gravissime violazioni
dei diritti umani o delle leggi internazionali.
Quanto
alla categoria delle armi leggere, è meglio descritta dall’acronimo SALW (small
arms and light weapons) che include tutte le armi «portatili», al limite anche
un micidiale lanciagranate anticarro Rpg o un missile terra-aria del tipo
Stinger. E non si può ignorare che tra gli aspetti principali ci sia anche
quello delle munizioni delle armi leggere. Ma qui non è tanto un problema di
definizione bensì di quantificazione: cioè di dati insufficienti. I soli dati
globali su cui oggi si può basare ogni considerazione e ogni politica contro le
armi illecite sono forniti dalla Small Arms Survey che si fonda solo in parte
su ufficiali. Quante sono le SALW in circolazione nel mondo? Circa 857 milioni
sono nelle mani dei civili, 133 milioni delle forze armate, 23 milioni delle
polizie: in totale un miliardo e 13 milioni.
Sono
cifre da prendere con le molle. Solo metà dei Paesi hanno una qualche
registrazione delle armi civili, per il resto ci sono solo stime (indirette).
Non adottano registrazione gli Stati Uniti, il paese più armato del mondo. In
Canada la registrazione è stata addirittura abolita nel 2012. Com’è abbastanza
prevedibile, non si sa nulla delle armi in possesso privato in Libano,
Giordania, Afghanistan, Congo Rdc, Venezuela, Yemen, se non che sono
sicuramente molte. E ancora peggio è per molti Stati in cui le leggi sul possesso
di armi sono ampiamente aggirate (Pakistan, Turchia, Messico, Kenya; si dice
che in Cina ne circolino 50 milioni non registrate, ma con scarse prove in
mano). Per l’Italia? La stima delle licenze è di oltre 1.100.000 ma come Opal
ha già denunciato molte volte il dato esiste ma non viene reso pubblico dal
Ministero dell’Interno per non causale, ma strumentale, disorganizzazione.
Alcuni dati
Armamenti. Nel mondo sono un miliardo e 13 milioni
le armi leggere, 857 milioni quelle in mano ai civili. Alla Conferenza Onu la
protesta «arancione», il colore del nuovo movimento Usa contro le armi da
fuoco. Negli Stati uniti 15.600 vittime nel 2017. In Italia oltre 1.100.000
licenze: il Ministero «tace»
USA: nel 2017 15.600 vittime d'armi leggere, nei primi 5 mesi
del 2018 6.000 vittime e11.000 feriti. Mondo: 857 milioni armi leggere dei
civili,133 milioni delle forze armate, 23 milioni delle polizie: totale
1.013.000.000. Italia: 1.100.000 porto d'armi.