L’Afrique
libre ou la mort
Kemi Seba è un attivista
panafricanista, un intellettuale che lotta per la sovranità dell’Africa. Il suo
nome è balzato alle cronache le scorse settimane. L’attivista, infatti, è stato
rinchiuso in un carcere su ordine di Parigi, prima di essere liberato dalla magistratura
del Senegal dopo 24 ore. Essendo nato a Strasburgo da una famiglia senegalese,
del resto, è anche un cittadino francese, quindi è soggetto alle leggi
d’oltralpe. Il motivo per cui è stato arrestato è aver bruciato un franco Cfa
durante una manifestazione.
Il franco Cfa è una
moneta con un tasso di cambio gestito a Francoforte, un tasso fisso sull’euro
che attenua, per usare un eufemismo, i rischi per le società europee che
investono e operano nella Françafrique, le ex colonie francesi in cui la moneta
ha ancora corso legale. L’attivista è un aperto sostenitore della necessità che
questa tipologia di moneta venga abolita, così da restituire ai Paesi africani
piena indipendenza e sovranità economica e sta costruendo un movimento politico
in tutta l’Africa nera in funzione di questa battaglia. Con un seguito popolare
che comincia a fare notizia.
La
Francia e i proconsoli francesi presenti nella nazione senegalese,
evidentemente, non la pensano alla stessa maniera e, come conseguenza del gesto
provocatorio operato dall’intellettuale, hanno proceduto con l’arrestarlo. Lo
strumento del franco Cfa è sotto accusa da parte di chi ritiene che rappresenti
una sorta di continuazione del colonialismo francese sull’Africa occidentale.
Un mezzo del neocolonialismo finanziario, per l’esattezza.
Ma
la storia di Kemi Seba è anche quella di un africano che lotta affinché i suoi
connazionali e i cittadini degli altri Stati dell’Africa arrivino a possedere
gli strumenti per non lasciare il proprio continente emigrando. Affascinato
dalla personalità di Malcolm X, Kemi Seba si ritaglia subito un ruolo da
attivista nonostante la giovane età. “Adolescente, leggevo Nietzsche, vivevo al
ritmo delle punchlines del rapper 2Pac, ero affascinato dalla collera politica
nera del dottor Khallid Muhammad, la poesia del fratello guineano Léon Gontran
Damas, il lato iconoclasta del nazionalista olandese Pim Fortuyn, il coraggio
del primo ministro congolese Patrice Lumumba, l’eleganza dell’indomabile Winnie
Mandela”, si legge in questo pezzo di Sebastiano Caputo .
Kemi
Seba, insomma, è l’espressione più attuale del panafricanismo, l’ideologia nata
agli inizi del 900 per dare vita ad una Unione Africana in grado di superare
gli steccati posti dalle singole differenze identitarie e rilanciare l’idea di
un “ritorno all’Africa”, così come augurato dallo scrittore e sindacalista
giamaicano Marcus Garvey. All’interno della lotta per la restituzione di una
sovranità monetaria assoluta al continente nero, quindi, c’è spazio anche per
teorizzare da capo l’idea che gli africani emigrati in continenti diversi da
quello originario siano, anzitutto, cittadini dell’Africa. E la storia di Kemi
Seba finisce per intrecciarsi, così, con quel “diritto a non emigrare”
postulato da Benedetto XVI, cioè la possibilità di trovarsi nelle condizioni di
poter restare nella propria terra di appartenenza.
La
ribalta del sovranismo, in definitiva, non riguardo soltanto il continente
europeo, ma si estende anche in altre zone del mondo. La storia di Kemi Seba
rappresenterebbe l’esemplificazione pratica più attuale di questo assunto. Per
altri, invece, sarebbe proprio il Franco Cfa a garantire la stabilità negli
scambi commerciali con queste nazioni. La Nigeria, ad esempio, che usa la
naira, con un tasso di cambio sul dollaro, non avrebbe fondamentali economici
migliori... [B.B.]