A seguito della pubblicazione di ieri sulla
prima pagina di “Odissea” dell’articolo “Il Ghana non deve vendere la sua
natura alla Cina” e al breve occhiello da me
premesso, Franco Astengo mi ha inviato questo importante documento che
proponiamo ai nostri lettori, per fare chiarezza sui reali responsabili della
fame dei popoli e della loro fuga verso Occidente.
Caro Angelo, il fenomeno
della vendita di interi territori in Africa è ormai molto diffuso. Cina,
Israele, Corea del Nord sono all’avanguardia. In Europa invece si affitta: la
Cina ha firmato un accordo, della durata di circa mezzo secolo, per la
coltivazione di tre milioni di ettari di terreni ucraini: si tratta del 5 per
cento della superficie terriera totale, il 9 se si considerano i terreni
agricoli. L'operazione è stata condotta dalla Xinjiang Productions and Construction
Corps (XPCC), conosciuta anche come Bingtuan, organizzazione economica e
semi-militare governativa della provincia autonoma dello Xinjiang Uyghur. Il
lancio del progetto, prevederà l'utilizzo iniziale di cento mila ettari, per
poi ampliarsi fino a tre milioni nel corso del tempo.
Sull’Africa
ti mando questa nota da “La Stampa” di qualche tempo fa. [Franco]
Land grabbing,
così emiri e cinesi si comprano il futuro della Terra
La speculazione cambia
radicalmente gli equilibri ambientali
e alimentari del pianeta.
L’ultima
cosa che ci si potrebbe aspettare, mentre si è alla guida di un fuoristrada su
una pista nella savana dell’Africa occidentale, è un messaggio sul cellulare
che dia il benvenuto nel territorio degli Emirati Arabi Uniti. Accade in
Tanzania, dove un generale degli Emirati ha acquistato diritti di caccia
esclusivi su un parco di 400 mila ettari. E lo ha trasformato in una sorta di
enclave territoriale. Strettamente sorvegliata. «Non filtrano molte notizie, ma
ho sentito di unità paramilitari spedite dal governo di Dodoma per impedire che
i Masai in cerca di pascoli si avvicinino alla riserva privata» racconta Fred
Pearce, scrittore e giornalista britannico, pluripremiato per le sue inchieste
sull’ambiente. Pearce è l’autore di “The
Land Grabbers” (Beacon Press), libro in cui documenta l’estensivo accaparramento
di terre coltivabili ai quattro angoli del globo da parte di fondi sovrani,
multinazionali del cibo, agenzie governative e speculatori rapaci. Un fenomeno
imponente ed elusivo, difficile da tracciare. Che sta cambiando gli equilibri -
alimentari e ambientali - del pianeta. E che non riguarda solo i paesi più
poveri.
Di
recente, un gruppo di deputati tedeschi ha denunciato le trattative per la
cessione di vaste aree del territorio ucraino, condotte all’ombra della guerra.
Che coinvolgono multinazionali del cibo transgenico, come la Monsanto.
Investimenti a rischio, certo, ma a prezzi ribassati. Secondo Farmlandgrab, un
osservatorio web sulla corsa ai terreni agricoli, 17 milioni di ettari in
Ucraina sono già controllati da imprese straniere, più della metà del
territorio coltivabile. Proprio in Ucraina, nel 2013, l’agenzia governativa
cinese XPCC (Xinjiang Production and Construction Corp nell’acronimo inglese)
ha ottenuto un leasing di 50 anni su tre milioni di ettari. Probabilmente il
più grande caso di “land grab” registrato.
Perché la maggior parte delle grandi transazioni sono opache. Soprattutto nei
contratti tra le agenzie dei governi, che decidono sul destino di regioni
grandi come stati e di intere popolazioni, a loro insaputa. E i conflitti
spesso accompagnano le vendite. Come è successo in Liberia, il primo stato
libero dell’Africa - e uno dei più tormentati, nella storia recente. Le
cessioni di terreni cominciano sul finire della guerra civile. «All’inizio, c’è
stata una discreta cooperazione tra le società che gestiscono le piantagioni e
gli impianti per la produzione di olio di palma e le comunità locali. Ma i
rapporti ora si sono deteriorati» spiega Pearce.
Avere
le cifre esatte del “land grabbing” è
impossibile. I contratti trasparenti sono solo la parte emersa dell’iceberg.
L’Oxfam, che ha denunciato il fenomeno in diverse campagne di
sensibilizzazione, ha stimato in più di due milioni di chilometri quadrati le
terre sottratte, di cui i due terzi in Africa. Land Matrix, piattaforma indipendente
nata per monitorare questi immensi passaggi di proprietà, ha contato 1037
contratti conclusi per oltre 38 milioni di ettari. Ma sono elencate solo le
trattative “in chiaro”. «I contratti vengono stipulati, cancellati,
ristrutturati, trasferiti. A volte, la quantità di terra è di gran lunga
maggiore di quella descritta nei contratti» ragiona Lorenzo Cotula, ricercatore
dello Iied (International Institute for Environment and Development). «Non
solo: anche se l’accordo non viene chiuso e il terreno non è sfruttato,
l’accesso continua ad essere negato a lungo alle genti locali». Infatti: a
fianco dei numeri ci sono le storie. Che parlano di esodi forzati di
popolazioni intere dalle loro terre ancestrali. Come nella valle dell’Omo, in
Etiopia, dove le tribù che restano vivono in un clima di intimidazione continua
da parte dell’esercito. Come in Laos e in Cambogia, dove le compagnie
vietnamite della gomma continuano ad espandere le loro piantagioni. In Kenya, i
diritti sui terreni sono tanto confusi che villaggi, scuole, intere comunità si
sono ritrovate all’interno di recinti alzati di sorpresa, in poche ore. Sono le
“anime morte” della corsa alla terra. In molti paesi dell’Africa e dell’Asia
non compaiono neppure nei registri civili. «Il land grabbing rischia di avere
un impatto maggiore del cambiamento climatico sull’ambiente e sulla vita dei
più poveri» denuncia Pearce. In che modo? «È semplice. Essere privati della
terra è un danno immediato. Poi ci sono quelli a medio e lungo termine. Lo
sfruttamento intensivo di grandi aree agricole porta a un impoverimento delle
risorse idriche. Il paesaggio viene cancellato. E la deforestazione accompagna
il land grabbing». Secondo un rapporto di Land Coalition, le aree coperte da
foresta (e progressivamente deforestate) costituiscono un terzo delle cessioni
di terreni. Lo stesso rapporto mostra che la corsa all’accaparramento continua
anche se ha subito un rallentamento apparente dopo il picco del 2009. «La
caduta dei prezzi nel settore alimentare ha allontanato gli speculatori. Ma
sono rimaste le multinazionali e gli stati, che continuano a comprare per
costituire riserve alimentari nel lungo termine» ribadisce Pearce. In Cina, la
Xinjang è un’agenzia semi-militare, con gerarchie di comando, corpi di
ingegneri e agronomi. In Asia centrale, i terreni acquistati dalla Xpcc sono
stati sottoposti alla coltivazione intensiva di soia transgenica che li ha
impoveriti. Tra i grandi buyers ci sono anche gli Usa, i paesi arabi del Golfo,
l’Europa; e il Brasile e l’Egitto che acquistano larghe porzioni di terreno
negli stati confinanti.
C’è
chi ha parlato di neo-colonialismo. «Assomiglia al primo colonialismo
mercantile, quello delle Compagnie delle Indie inglesi e olandesi - sostiene
Peirce. - Il primo passo è rendere trasparenti le transazioni e mobilitare
l’opinione pubblica dei paesi ricchi su questo nuovo modello di sfruttamento.
Oggi perfino la Cina ha un movimento ambientalista molto attivo».