IL PATTO, LA
CURA
L'ex Ospedale Psichiatrico di Quarto |
Sappiamo che le recenti
affermazioni del ministro Matteo Salvini sui malati psichiatrici e sulle
strutture manicomiali hanno scatenato molte polemiche e la dura reazione degli
psichiatri, che si è espressa anche (e non solo) sulla propria pagina facebook della
Società italiana di psichiatria.
Questo
articolo de Il Sole24ore on line ricostruisce alcuni dettagli relativi alla
questione: http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/notizie/2018-07-10/salvini-contro--malati-psichiatrici-dura-reazione-psichiatri--121725.shtml?uuid=AEDB8gJF
Su
Odissea mi sono spesso trovata a parlare della realtà di Quarto-Genova, ex
ospedale psichiatrico dove ha sede anche il Museo Attivo Claudio Costa. Abbiamo
parlato dell’I.M.F.I., Istituto Materie e Forme Inconsapevoli che porta avanti
da anni il lavoro di Claudio Costa e del dottor Antonio Slavich con laboratori
di arte, danza, teatro, ceramica, cinema e molto altro (http://www.imfi-ge.org/).
Quest’anno,
in cui ricorrono i quarant’anni della Legge 180 (Legge Basaglia), a Quarto nel
mese di maggio si è tenuta una settimana di convegni, presentazioni di libri,
mostre, dibattiti, in collaborazione con ASL 3 di Genova. Una serie di eventi,
che ha avuto una partecipazione straordinaria di pubblico, che ha dimostrato
una volta di più quanto sia viva e forte l’attenzione delle persone nei
confronti della sofferenza mentale e fisica e quanto la realtà di Quarto, che
ha affrontato e superato tante battaglie arrivando a grandi traguardi, stia a
cuore ai genovesi e non solo. Ho chiesto dunque un parere agli amici che
operano nella struttura di Quarto, per la stima e l’amicizia che ci lega e per
la loro esperienza di chi vive da anni a stretto contatto con la sofferenza e
la malattia psichica, sulle ultime affermazioni di politici che sono andati,
anche se (sembra) solo per lo spazio di un raduno e di qualche veloce
intervista, a toccare un tema tanto delicato e importante. Amedeo Gagliardi,
portavoce coordinamento per Quarto, impegnato in attività socioculturali per le
Associazioni “Oltre il giardino” e “Quarto Pianeta” di Genova, mi ha
gentilmente inviato l’articolo che pubblichiamo, già uscito su La Città
(Direttore Responsabile Giuliano Galletta, Direttore Luca Borzani), mensile che
tra i tanti scopi ha quello di raccontare la Genova reale: http://www.la-citta-online.it/.
Questo
testo mi sembra il modo migliore per non entrare nella polemica innescata dal
ministro e invece per illustrare idee, prospettive e ciò che di concreto
quotidianamente viene fatto per «costruire benessere bio-psico-sociale» (dall’articolo
qui sotto riportato). Ringrazio Amedeo Gagliardi per la sua testimonianza e
dedico la mia scelta di ripubblicare qui il suo articolo a Gian Franco
Vendemiati, Presidente dell’Istituto Materie e Forme Inconsapevoli di Quarto,
scomparso a maggio di quest’anno dopo una vita dedicata alla solidarietà, alla
coesione, alla partecipazione e all’impegno, e che per Quarto non ha mai
risparmiato energie, lotte, passione.
Chiara Pasetti
Una città per
la Salute Mentale
di Amedeo Gagliardi
Uno degli spazi nuovi del Centro Sociale di Quarto |
Non si sono levate voci
istituzionali contro la legge 180 del 1978, che abolì i manicomi e riconobbe i
diritti di cittadinanza a circa 100.000 persone condannate alla morte in vita
per “malattia”. Anzi. A differenza della 194, la legge sull’interruzione di
gravidanza, c’è stato un sostanziale riconoscimento del profondo mutamento di
rotta nell’affrontare la salute mentale. Eppure in questi quarant’anni tante
cose non sono andate nel senso giusto. E non per colpa della legge Basaglia.
Quanto piuttosto per la difficoltà, almeno in Liguria, di corrispondere a
quella riorganizzazione dei servizi che il nuovo impianto legislativo imponeva,
e per la progressiva ma sostanziale marginalizzazione del disagio psichiatrico,
sia in ambito istituzionale che sociale. In questo le celebrazioni per
l’anniversario della 180 sono riuscite almeno a incrinare un pesante silenzio e
forse a mettere in moto un progetto possibile per il presente.
Il
“Patto” per la salute mentale, ”La città che cura”, sottoscritto da Regione,
Comune, ASL3, Associazioni dei familiari e degli utenti, Ordini Professionali,
Sindacati e alcune associazioni dei datori di lavoro può infatti diventare lo
strumento per ridisegnare azioni, culture, interventi.
Di
certo ha caratteri largamente inediti anche a livello nazionale. Alle spalle un
percorso avviato un anno prima, dalle Associazioni dei familiari e degli
utenti, da ASL3 con il Dipartimento di Salute Mentale e dal Coordinamento per
Quarto. Una partenza dal basso che si collega a un conflitto che ha in qualche
misura reso evidente lo scivolamento verso forme di imbarbarimento civile: nel
2012, la gara al massimo ribasso per i pazienti ancora presenti nell’ex
Ospedale di Quarto, quattro lotti da 20 persone, per sgombrare gli edifici
“cartolarizzati” da avviare a privatizzazione. Una vicenda imbarazzante,
sintomo di una rottura più grave, quella del dialogo tra le Istituzioni e tra
le Istituzioni ed i suoi cittadini. Con il “patto” si sono in qualche misura
rovesciate quelle pessime pratiche e le proposte della cittadinanza attiva
diventano il motore per innovare i comportamenti istituzionali.
Manca
ancora una piena consapevolezza di come la tutela e la promozione della salute
mentale sia diventata una cosa ben più complessa di quarant’anni fa.
L’esclusione e lo stigma non sono fenomeni che interessano segmenti marginali
della popolazione, ma coinvolgono trasversalmente l’intera società. Le forme
della sofferenza psichica sono oggi molteplici e se, grazie alla legge 180,
molteplici sono anche i luoghi dove si accolgono le persone resta comunque
difficile l’accesso ai servizi, perché vergogna, ignoranza e povertà sono
ostacoli mai facili da superare. Perché spesso è difficile anche chiedere
aiuto. Così come è facile perdersi nella palude amministrativa e burocratica.
Per questo costruire benessere bio-psico-sociale richiede un continuo lavoro
d’integrazione. Continua produzione di nuova cultura.
Le
ragioni per farlo ci sono tutte: al Dipartimento di Salute Mentale di ASL3
afferiscono 12.000 persone ed altre 6000 sono in cura presso il Dipartimento
per le Dipendenze. A questo consistente ma per lo più invisibile numero di
persone dobbiamo aggiungere i famigliari e tutte le persone vicine a vario
titolo, lavoro, studio o amicizia, alla sofferenza psichica e anch’esse
direttamente coinvolte.
Il
direttore dell’Area Dipendenze di Milano, Riccardo Gatti, in un’intervista
rilasciata a “la Repubblica” ha infatti affermato: “Siamo alla vigilia di una
grande epidemia”. Come dargli torto? Se
osserviamo i dati della disoccupazione giovanile, al fatto che nella nostra
Regione sono circa 40.000 i giovani chiamati Neet, che non studiano e non
lavorano, al fatto che il lavoro continuerà ad essere sempre più precario e di
difficile accesso, alla diffusione del consumo di sostanze psicoattive legali e
non, ci rendiamo conto di come sia necessario mettere in campo e una rinnovata
capacità di prendersi cura delle persone.
Uno
sguardo che si ritrova nel “Patto”’ a partire dall’ intento di costruire
coesione e condivisione di questo mutamento. In primo luogo tra i soggetti,
istituzionali e non per poi allargarla alla città. Così come è successo
nell’esperienza del Coordinamento di Quarto. In questi anni il Coordinamento,
un gruppo di cittadini, operatori, Associazioni e utenti, si è impegnato nel difendere
le persone e ridare una “speranza di vita” all’ex Ospedale Psichiatrico. Una
speranza che ruota attorno alla suo essere spazio pubblico aperto e che non può
non contemplare una nuova riflessione sulla salute mentale. Il “Patto” è anche
questo: comprendere la nuova dimensione della psichiatria e della sofferenza
psichica.
Per
queste ragioni il Convegno “La città che cura”, che ha inaugurato la settimana
della 180, con un riconoscimento importante dell’azione civile del
Coordinamento, in quelle che un tempo erano le cucine del Manicomio, oggi
recuperate a funzione di “cucina” sociale e culturale.
Armando
Misuri, che a Quarto è stato costretto per otto anni, poeta e membro del
Coordinamento, scomparso qualche mese fa, affermava: “Quando le cose si dimenticano
riaccadono”. Ed è davvero importante non dimenticarsi del manicomio. Non solo
della sua storia ma anche del suo essere socialmente riconosciuto e
legittimato, funzione significativa di questa città per oltre 100 anni. Non a
caso sempre Armando ricordava: “Questo non è stato un luogo tenuto nascosto al
consenso pubblico come i lager nazisti”. Ma lager era.
Ecco
“il Patto” nasce per provare a ricostruire una sensibilità collettiva verso la
salute mentale. E per superare il passato bisogna reinterpretare anche
l’ex-manicomio, perché il senso del cambiamento passa attraverso la sua
trasformazione e la riqualificazione di funzioni.
Vogliamo
attualizzare la 180, ritornando a rimettere al centro la persona. Non scordare
che la malattia e la sofferenza si misurano con una società completamente
diversa. E come allora anche oggi è innanzitutto dall’azione culturale che
prende forma il riconoscimento della persona e dei suoi diritti, delle
“diversità”. Ed è l’incontro con l’alterità che produce un discorso culturale
nuovo, che restituisce ad ognuno la responsabilità della propria libertà.
Nel
Patto ritroviamo l’impegno delle diverse istituzioni ad attivare strumenti
nuovi: l’Osservatorio regionale sulla salute mentale, la Consulta permanente
per la Salute Mentale in ambito ASL3, l’apertura presso i servizi di Circoli
Territoriali aperti ai componenti del Patto, un programma di formazione che
cerchi di superare le barriere specialistiche.
L’obiettivo
è produrre cambiamento. Vale per la residenzialità, oggi forse troppo
sbilanciata a favore di quella ad alta intensità assistenziale. Come per il
sostegno allo sviluppo della vita indipendente e il più possibile autonoma, per
la promozione e il consolidamento dell’inserimento lavorativo e delle attività
per il tempo libero e lo sport. Per il miglioramento dell’accesso alle cure e
alla qualità dei servizi attraverso la continuità e l’integrazione.
Come
quarant’anni fa, il percorso formalmente condiviso sarà tutt’altro che agevole
e lineare. Già il praticare ascolto, mettere impegno e intelligenza,
concretizzare una strategia politica comporterà la dura prova del conflitto e
della crisi. Per di più i valori espressi non sono in sintonia con i processi
di frammentazione sociale, nichilismo, accettazione dell’esclusione che segnano
i nostri tempi. Si vive soprattutto seguendo le sole aspirazioni individuali,
cercando di evitare tutto ciò che potrebbe perturbarle. Si tende a negare il
conflitto e a trattarlo attraverso procedure burocratiche, facendo emergere
incapacità di relazione, di comprensione, di auto-referenzialità: questo rende
le persone sempre più insicure e impegnate nel costruire e mettere in campo
strumenti di difesa. Il manicomio sembra pronto a tornare o forse è già
nuovamente presente tra noi sotto altre forme.
Gregory
Bateson afferma che “quando il benessere e il disagio dell’individuo diventano
gli unici criteri di scelta del cambiamento sociale, si dimentica la
fondamentale differenza di tipo logico tra elemento e categoria”. L’ossessione
nel voler eliminare ogni possibile paura individuale rischia di cancellare il
desiderare e costruire insieme un ambiente sociale più sicuro. Questa
confusione, afferma sempre Bateson, può generare pericolosi sviluppi, minando
la democrazia e trasformarsi in brevissimo tempo in uno scenario autoritario.
Insomma
il “Patto” nasce con grandi ambizioni. Praticare una “medicina della
condivisione”, migliorare le singole condizioni di vita delle persone, far
emergere quella coscienza critica ottenebrata dall’omologazione a logiche di
mercato e di consumo. Ed è la dimostrazione che movimenti civili dal basso possono
ancora produrre non solo ripercussioni significative nella vita istituzionale
ma anche, appunto, innovazione sociale e culturale. Per questo il “Patto” è un
possibile modello di comportamento sociale positivo davanti allo svuotamento
della politica e del suo rapporto con il territorio. Rimanda a una idea di
democrazia sostanziale che sembra aver perso di attualità. In realtà può non
essere così. E che siano i 40 anni della legge Basaglia a riaprire i giochi
vuol dire che questa città conserva ancora tante energie e competenze civili
che vogliono solo rientrare in campo.