di Angelo Gaccione
La copertina del libro |
Confesso che il titolo Titivillus. Il demone dei refusi, mi aveva depistato. Ero
convinto si trattasse della personificazione laica, tutta moderna, di quel
dispettoso e malefico diavoletto che, inviso e temuto come la peste da tutti
coloro i quali hanno a che fare con la scrittura e la stampa di ogni genere
(libri e giornali soprattutto), si diverte a fare lo sgambetto, a seminare
zizzania, creando imbarazzanti equivoci di ogni sorta nei testi, stravolgendo
spesso il significato della frase e del discorso. Ho sempre nella memoria il
gustoso episodio raccontatomi dal compianto e caro amico don Luigi Pozzoli,
letterato e parroco in Santa Maria al Paradiso di corso di Porta Vigentina qui
a Milano. Finito di battere al computer uno dei suoi testi per “Odissea” (a cui
ha collaborato fino alla sua improvvisa e dolorosa scomparsa) che conteneva
delle allusioni all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, gli era
venuto fuori questa definizione: un uomo con la testa sulle palle, al posto di sulle spalle. Lapsus
scopertamente freudiano (vista la condotta pubblica del Nostro), ma era
evidente che malignamente il diavolo ci
aveva messo la coda. I refusi a stampa sono sempre stati una dannazione, e le
errate corrige che tuttora troviamo nei libri, ne sono la riprova. Già nel
lontano 1563 essi obbligarono il tipografo veneziano Cavallo, ad inserire a
prefazione di un’opera di Achille Fario Alessandro, questa deliziosa impotente
e sconfortante presa d’atto dal titolo Alli
benigni lettori: “In tutte le attioni humane quasi di necessità convien che
succedano de gli errori: ma dove più facilmente, in più diversi modi, et più ne
possono accadere che si avengano nello stampare i libri, non ne so immaginare
alcuna. Et parmi la impresa della corretione di essi veramente poterla
assomigliare al fatto di Hercole intorno all’Hydra de i cinquanta capi:
percioché si come quando egli col suo ardire, et forze le tagliava una testa,
ne rinascevano due, così parimenti mentre co’l sapere, et con la diligentia, si
emenda un errore, le più volte s’imbatte che ne germogliano non pur due, ma
ancho tre et quattro, spesse fiate di maggior importanza, che non era il primo...”.
Mi sono trovato invece fra le mani, un delizioso libretto
per eruditi vergato da Julio Ignacio González Montañés (Pagg. 68 € 6,00) e
pubblicato da una piccola raffinata editrice di Perugia, la Graphe.it che basa
la sua politica editoriale sul concetto pubblicare
meno per pubblicare meglio. Come dire: pochi libri e per pochi. Idee che
non potevano non mandare in sollucchero un libridinoso
come me. Rifiutarsi di trattare un libro come una merce qualunque,
dedicargli la giusta attenzione, seguirlo nel tempo e non bruciarlo nello
spazio sempre più contratto di un mercato divenuto nevrotico e drogato dalla
quantità, è un’ottima pratica di resistenza, oltre che un salutare viatico per
l’intelligenza.
Il demone di cui si tratta nel libro di Montañés, e di cui egli segue le tracce storiche, è noto nelle cronache degli amanuensi e degli
scrivani medievali, con il nome di Titivillus. Ma appena si va a controllare la
letteratura e la sua geografia, ci si rende subito conto di quante varianti ha
subìto questo nome. Varianti che non hanno, tuttavia, alterato nel tempo e nei
luoghi la natura della sua origine e lo scopo. L’origine si situa all’interno
dell’orizzonte ecclesiastico cristiano, lo scopo è di tipo ammonitorio; uno
spauracchio per porre un freno a quella che probabilmente era diventata una
vera e propria degenerazione della celebrazione ritualistica. Pettegolezzi,
ciarle, distrazioni, comportamenti poco consoni al luogo sacro da parte dei
fedeli; omissioni di sillabe, di parole, a volte di brani interi, oltre che di
storpiature fonetiche e di suoni incomprensibili da parte dei chierici, durante
le messe, la recita delle Ore, la liturgia, e in modo particolare di tutta la
funzione omiletica. Possiamo immaginare come alla svogliatezza si unisse anche
la stanchezza dovuta alle ripetizioni e alle ore antelucane delle funzioni.
Inventarsi un diavolo in grado di prendere nota su pergamene di tutte queste
manchevolezze, di questi pessimi comportamenti e abitudini, per esibirli nel
giorno del giudizio a cui si è chiamati, poteva essere un efficace deterrente.
Come dire:
attenti che Titivillus vi osserva, controlla e prende nota, e
riferirà a chi di dovere.
Un diavolo, Titivillus, che può vantare la conoscenza
della scrittura e delle sue regole, e che armato di penna o di stilo, non si
lascia sfuggire neppure i refusi e le distrazioni dei copisti al lavoro negli
scriptoria. Ammonimento, questo, ancora più severo, perché si tratta di testi
sacri e dunque non ci si può permettere errori. Occorre restare vigili, non
farsi tentare dal maligno, perché nell’eterna lotta fra il bene e il male, le
distrazioni e gli errori sono indotti dal demonio. In questo senso Titivillus
svolge una doppia funzione: di controllore, perché sia garantita la
corretta trascrizione; di distrattore, perché sia compromessa. In
entrambi i casi l’errore come origine diabolica e non umana: In fondo una
visione giustificatoria.
Nella veste di annotatore dei peccati di omissione lo troviamo
raffigurato in alcune pitture murali, capitelli, stampe e incisioni, e se
diversi trattati, exemplum e detti edificanti sentono il bisogno di
sottolineare questa funzione, possiamo immaginare come certe omissioni e
distrazioni fossero diffuse ed andassero stigmatizzate. Nessuna conferma
documentaria, invece, della forzatura tutta otto-novecentesca di fare di
Titivillus, il patrono della stampa.