Spot televisivo
della ministra Trenta sugli F-35
di Manlio Dinucci
A destra il ministro Trenta a sinistra (si fa per dire) Di Maio |
«Non compreremo altri F-35»:
lo ha dichiarato il 6 luglio a Omnibus su La7 la ministra della Difesa
Elisabetta Trenta. Parole che hanno fatto sensazione: è arrivato finalmente il
governo che «taglierà le ali agli F-35»? Non proprio. La Trenta ha spiegato che,
dall’analisi che sta facendo, potrebbe «scoprire che tagliare costa più che
mantenere poiché ci sarebbero delle forti penali». In realtà, ricorda Giuseppe
Civati, la Corte dei Conti ha già chiarito che la partecipazione al programma
dell’F-35 non è soggetta a penali contrattuali. La Trenta fa inoltre presente
che, intorno all'F-35, c'è un indotto tecnologico e occupazionale che verrebbe
a sua volta tagliato. Ipotizza quindi che, piuttosto che tagliare, l’Italia
potrebbe dilazionare nel tempo l’acquisto dei previsti 90 F-35. Per cui
resterebbero sempre 90.
Nella
vulgata televisiva la ministra Trenta trascura di chiarire ai telespettatori le
questioni nodali. Anzitutto il fatto che l’Italia è non solo acquirente, ma
partner di secondo livello del programma F-35 capeggiato dalla statunitense
Lockheed Martin, prima produttrice mondiale di armamenti aerospaziali e
missilistici. Uno dei programmi di punta della Lockheed Martin è quello
dell’F-35 Lightning II, definito «il più avanzato caccia multiruolo del mondo».
Se ne producono tre modelli: a decollo ed atterraggio convenzionali (A), a
decollo corto e atterraggio verticale (B) e come variante per le portaerei (C).
Negli Stati Uniti la rete produttiva dell’F-35 comprende oltre 1400 aziende in
46 stati e a Puerto Rico, che producono migliaia di componenti del caccia. Al
programma dell’F-35 partecipano otto partner esteri: Australia, Canada,
Danimarca, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda e Turchia. Altri acquirenti
sono Israele, Giappone e Corea del Sud.
La
Trenta sembra anche ignorare che l’adesione dell’Italia al programma dell’F-35,
quale partner di secondo livello, rinsalda l’ancoraggio agli Stati Uniti, che
il governo di cui fa parte definisce «alleato privilegiato» dell’Italia. La
partecipazione al programma F-35 lega ancor più il complesso militare
industriale italiano al gigantesco complesso militare-industriale statunitense.
La decisione di partecipare al programma dell’F-35 è quindi essenzialmente una
scelta politica,.
La
Trenta non dice che la principale industria militare italiana, la Leonardo (già
Finmeccanica), presente in 180 siti nel mondo, fornisce negli Usa prodotti e
servizi non solo alle Forze armate e alle aziende del Pentagono, ma anche alle
agenzie d’intelligence. Per questo è stata affidata alla Leonardo, in Italia,
la gestione dell’impianto Faco di Cameri (Novara), nel quale vengono assemblati
i caccia F-35 destinati all’Aeronautica e alla Marina italiane e parte di
quelli ordinati dall’Olanda. I siti di Foggia e Nola realizzano le parti in
composito e metalliche del cassone alare completo, del quale la Leonardo è
seconda produttrice anche per gli F-35 delle Forze armate statunitensi.
La
Trenta si è soprattutto dimenticata di annunciare la grande notizia: dieci
giorni fa, in base a un contratto stipulato dalla Lockheed Martin con la U.S.
Navy, è stato stabilito che Cameri sarà uno dei cinque centri mondiali (tre
negli Usa, uno in Australia e uno in Italia)
per la manutenzione, la riparazione e l’ammodernamento degli F-35. La Trenta tace anche sul fatto che, oltre ai
potenti interessi del complesso militare-industriale, l’F-35 è legato alla
strategia nucleare Usa/Nato. Per usare tutte le capacità della nuova bomba
nucleare B61-12, che dal 2020 il Pentagono schiererà in Italia e altri paesi
europei, occorrono i nuovi caccia F-35A. Ciò comporta la soluzione di altri
problemi tecnici, che si aggiungono ai numerosi verificatisi nel programma
F-35. Il complesso software del caccia, che è stato finora modificato oltre 30
volte, richiede ulteriori aggiornamenti. Per modificare i primi 12 F-35
l’Italia dovrà spendere circa 400 milioni di euro, che si aggiungono alla spesa
ancora inquantificata (stimata in 13-16 miliardi di euro) per l’acquisto dei 90 caccia e per il loro
ammodernamento. Soldi che escono dalle
casse dello Stato (ossia dalle nostre), mentre quelli ricavati dai contratti
per la produzione dell’F-35 entrano nelle casse delle industrie militari. Tutto
questo la Trenta non l’ha raccontato nello spot pubblicitario a Omnibus, assicurando
che sarà il suo ministero a «decidere tenendo esclusivamente conto
dell'interesse nazionale». Quando invece c’è un unico modo per garantire
l’interesse nazionale: uscire completamente dal programma F-35.