I CANTIGAS DI
SANTA MARIA E LA VIA DURINI
di Angelo Gaccione
Milano, Santa Maria della Sanità |
Santa Maria della Sanità è stata fino a lunedì
sera (16 luglio) per me, una chiesa misteriosa. Mai avevo avuto la possibilità
di mettervi piede in tutti questi anni, e mai, passandovi davanti, l’avevo
vista aperta. Per me era una graziosa facciata barocca in cotto che con la sua
forma concava convessa, adornava la signorile via Durini che conduce in San
Babila, cioè alla Casa della Cultura. Via Durini era sempre rimasta per me la
Galleria Strasburgo che sbuca sul Corso Europa, con il pavimento tutto a
mosaico; la casa dove era morto Umberto Giordano, quella del numero 20 dove
visse Toscanini dal 1909 al 1957, il palazzo del numero 24 che dà il nome alla
via, progettato da Francesco Maria Richini verso la metà del Seicento, nel cui
cortile qualche volta mi ero infilato di straforo. Avevo poi letto che nel 1925
era passato di proprietà alla famiglia Caproni di Taliedo, e così avevo potuto
associare le officine di via Mecenate dove la Caproni costruiva componenti per
l’aviazione, al vecchio quartiere operaio della Zona 13 che porta tuttora il
nome di Taliedo-Forlanini, in omaggio, anche all’ingegnere aeronautico Enrico
Forlanini a cui è dedicato l’aeroporto di Linate. C’erano molte fabbriche un
tempo da quelle parti, compreso la Montecatini (dove lavorò e si ferì
gravemente il mio fratello maggiore) divenuta poi Montedison, la Ricordi, e
tante, tante altre, definitivamente cancellate. Ma, soprattutto, via Durini era
rimasta nella mia immaginazione, per l’imponente palazzone dalle fogge
vagamente palladiane che domina con la sua stazza quella che è divenuta una
delle vie del lusso e che un tempo non lo era affatto. Vi scorreva infatti un
malsano canale chiamato Cantarana che aveva finito per dare il nome di
Cantarana di Porta Tosa alla zona. Palazzo Cusini si chiama questo palazzo
dalla facciata monumentale carica di colonne, obelischi, timpani, medaglioni,
statue, putti, festoni e così via, e a realizzarlo sono stati nel 1928 i
fratelli architetti Adolfo e Aldo Zacchi. Nel dopoguerra, con le edificazioni banali
degli anni Cinquanta-Sessanta e susseguenti, avremmo rimpianto molto la
fantasiosa solidità di quella architettura.
E poiché non è sempre vero, come scrive Richelet nel suo Dictionnaire, che “Il palazzo è la casa di un signore di qualità”, queste case hanno finito per avere destinazioni discutibili.
Ma transeat.
E poiché non è sempre vero, come scrive Richelet nel suo Dictionnaire, che “Il palazzo è la casa di un signore di qualità”, queste case hanno finito per avere destinazioni discutibili.
Ma transeat.
Devo confessarlo: più che la curiosità del concerto Cantigas de Santa Maria dell’Ensamble
Micrologus, ad attirarmi era stata la sede dove si sarebbe svolto. Finalmente
avrei potuto vedere quella chiesa. Avevo preventivamente letto un certo numero
di questi cantigas medievali e non mi
aspettavo granché, ripetitivi e monocordi come sono. Raccontano di miracoli e
di devozioni e sono quasi tutti canti di lode. Più che il contenuto, ad
affascinarmi era stato il mistilinguismo arcaico dei versi e le contaminazioni
di latino, lusitano, spagnolo di cui sono impastate. E invece l’interno di
Santa Maria della Sanità non ha nulla di eccezionale, ed il concerto si è rivelato
molto più sorprendente di quanto avessi immaginato. La cornamusa, lo zufolo, il
flauto traverso, la viella, la ribeca, la piccola arpa, la guinterna, la
chitarra moresca, il tamburo, le due sottili e lunghissime trombe medievali che
facevano venire in mente le trombe dei kolossal della Roma imperiale, e le voci
dei cantori Patrizia Bovi, Goffredo Degli Esposti, Gabriele Russo, Simone
Sorini, hanno fatto di questi cantigas de
miragres e cantigas de loores, una
seducente polifonia tutt’altro che austera e mistica. Tanto che sia il canto
che i suoni, mi sono parsi poco adatti ad accompagnare l’officio e me ne ero
stupito. A fine concerto ho scambiato poche battute con uno dei musici e
cantori, Simone Sorini, e mi ha confermato che non venivano cantati durante
l’officio, ma con molta probabilità sul sagrato e in momenti non rituali. Gli
arrangiamenti e le melodie sono quasi tutti dei Micrologus, anche se con un
occhio attento ai repertori. I testi invece sono fedeli a quelli della raccolta
voluta da Alfonso X di Castiglia e che si trovano nel Codice miniato custodito
a Montserrat. Pare che di questi testi poetici religiosi la raccolta medievale
ne contenga 400. I Micrologus, beati loro, hanno potuto vedere questo Codice al
monastero, dove hanno anche registrato delle musiche.
Milano, la facciata del palazzo Floriani con la casa dove visse Toscanini |
La settecentesca chiesa di Santa Maria della Sanità è
attaccata al palazzo dove ha abitato Toscanini e di cui avevo potuto ammirare
solo l’elegante balaustra in ferro battuto che adorna il balcone esterno.
Questa mattina (17 luglio) ho invece avuto la fortuna, grazie alla squisita
gentilezza e disponibilità della dottoressa Ada Cattaneo, di visitare
l’appartamento dove il grande direttore d’orchestra abitò per quasi mezzo
secolo. La casa è ora proprietà della famiglia Floriani e dal gennaio dello
scorso anno ospita il Dipartimento di Diritto Commerciale dello Studio Legale
Sutti, del cui staff la dottoressa Cattaneo è membro. È stata per me una
fortuna doppia perché la dottoressa Cattaneo ha la passione per la scrittura, è
una cultrice di storie e leggende milanesi, e ama come me la lingua meneghina e
i suoi poeti. Pochissimi i cambiamenti
nei vari ambienti per rispettare quanto più possibile l'aura storica che
vi è rappresa. Interventi conservativi sui soffitti lignei tardo cinquecenteschi,
diverse suppellettili non moderne che lo Studio Sutti ha disposto in alcuni
ambienti. Come tutti i palazzi milanesi di un certo rango, anche questo è dotato di un cortile interno
che preserva dai rumori della strada, e da un giardino interno. La casa dove
visse Toscanini ne godeva di uno su due lati addirittura, e di un terzo, ma
minuscolo, situato al piano superiore
visibile salendo una rampa di scale. Mi piace immaginarlo seduto lì a gustare
un buon caffè, o chino su uno spartito nel silenzio più denso, circondato dalle piante di questo fazzoletto di verde.