di Franco Astengo
Elaborazione grafica di Giuseppe Denti |
Vinte le elezioni del 1924
grazie alla legge maggioritaria “Acerbo” e alle violenze squadriste, assunte le
vesti di una vera e propria dittatura dopo il delitto Matteotti, costituito il
Tribunale Speciale, il fascismo modificò in senso plebiscitario il sistema
elettorale chiamando gli italiani alle urne il 24 marzo 1929. Il progetto della
nuova legge elettorale, preparato da Alfredo Rocco, rimarcò a chiare lettere la
negazione, da parte della dottrina fascista, del dogma della “sovranità
popolare”, affermando al suo posto quella della “sovranità dello Stato” e
dell’identificazione diretta dello Stato in un solo Partito, in conseguenza di
sua natura totalitario.
Secondo
questo principio i deputati diventarono meri organi dello stato emanazione di
un partito e non rappresentanti del corpo elettorale.
Si
pose quindi fine a quelli che Mussolini definì in Parlamento come “ludi
cartacei” e si ratificò un progetto che pose la scelta dei futuri deputati nelle
mani di due organi: la prima selezione a opera delle organizzazioni sindacali
intese come scheletro dello stato fascista corporativo e da parte del Gran
Consiglio del Fascismo, cui fu demandato il compito di compilare la lista dei
400 nomi da sottoporre al corpo elettorale affinché esso esprimesse il proprio
consenso. La legge era basata sul suffragio universale maschile, già
previsto sin dal 1912.
Il diritto di voto per i soli cittadini maschi era però subordinato al
rientrare in una delle seguenti categorie:
A coloro che pagavano un contributo
sindacale o erano soci di una società o ente che pagasse tale contributo, oppure
da almeno un anno possedessero azioni nominative di società in accomandita per
azioni o di società anonime
B coloro che pagavano almeno 100 lire
d’imposte dirette allo Stato, alle province o ai comuni
C coloro che percepivano uno stipendio,
un salario o una pensione a carico dello Stato
D membri del clero cattolico o di
altro culto ammesso dallo Stato
Nel
complesso risultarono iscritti nelle liste elettorali 9.638.859 cittadini
rispetto ai 12.069.336 del 1924.
Il
24 marzo 1929 furono così aperti i seggi per l’elezione della nuova Camera dei
Deputati.
La
partecipazione al voto risultò altissima con l’89,86%, ben superiore a quella
del 63,1 del 1924.
In
molte parti del Paese i fascisti incolonnarono gli elettori e li scortarono
militarmente al seggio facendoli votare collettivamente con la deposizione
della scheda del “SI” nelle urne.
Infatti
le due schede, del “SI” e del “NO” dovevano essere ritirate preventivamente
all’ingresso del seggio consentendo così l’identificazione del voto.
In
queste condizioni il “SI” ottenne 8.517.838 voti pari al 98,34% dei voti
validi.
Ci
furono 8.209 voti nulli pari allo 0,09%.
I
“NO” furono 135.773 pari all’1,57%,
L’Italia
era costretta in un regime dittatoriale ormai da quattro anni, i componenti dei
gruppi dirigenti antifascisti erano stati assassinati, messi in galera,
costretti all’esilio: ciò nonostante 135.773 elettori, da considerare veri e
propri “eroi della democrazia”, trovarono il coraggio di rendere palese (visto
il sistema di voto) il loro rifiuto non tanto del listone ma del regime, con
grande rischio personale.
Si
trattò di un gesto di estrema coerenza morale e politica, agito in condizioni
di difficoltà estrema.
Un
gesto del quale ci si è ormai dimenticati e che, invece, è ancora proprio il
caso di esaltare.
La
composizione di quel “NO” dal punto di vista geografico e politico ci svela
molte cose sull’origine di quel rifiuto.
Oltre
a una consistente opposizione di natura etnica, i tedeschi in Alto Adige e gli
sloveni in Istria e in Venezia Giulia, la gran parte dei voti contrari si
concentrò nel “triangolo industriale”, tra Lombardia, Piemonte e Liguria.
Le
regioni delle grandi fabbriche meccaniche, metallurgiche, elettromeccaniche e
chimiche fornirono infatti 69.226 voti al fronte del “NO”, pari al 50.98% del
totale.
Oltre
il 2% dei voti contrari si ebbero soltanto nelle regioni del Nord, mentre al
Centro si superò l’1% soltanto in Toscana e in Umbria.
Al
Sud e nelle Isole (dove il fenomeno dell’incolonnamento degli elettori risultò
generalizzato) si registrano complessivamente: 5.416 “NO” pari al 4% del
totale. In tutta la Basilicata si registrarono 10 voti contrari e in Calabria
74.
Dal
punto di vista della consistenza del NO dal punto di vista della collocazione
geografica lo schema di riferimento fu comunque quello già osservato con le
elezioni del 1924.
In
quell’occasione le liste di opposizione alla lista fascista, suddivise in 11
formazioni politiche, ottennero complessivamente il 35,1% dei voti ed
egualmente nel triangolo industriale Genova- Milano-Torino il fascismo ebbe il
minimo dei consensi.
Di
grande interesse, da questo punto di vista, la dislocazione dei voti del
Partito Comunista e dei due Partiti Socialisti: il Partito Comunista d’Italia
ottenne, infatti, nel 1924 il 3,7% (una flessione minima rispetto al 1921 dove
aveva ottenuto il 4,6%): i due partiti socialisti avevano ottenuto
rispettivamente il 5.0 e il 5,9 (nel 1921 il 24,5% cedendo quindi oltre il
13%).
Rispetto
al voto del plebiscito del 1929 diventa quindi di grande interesse notare che
le sole regioni dove i partiti socialisti avevano superato il 10% e i comunisti
il 6% fossero proprio la Lombardia, il Piemonte e la Liguria.
Si
può quindi affermare come il “NO” al listone nel 1929 fosse di origine diretta
dal voto dei partiti della sinistra, socialisti e comunisti, e dalla loro
capacità di mantenere l’organizzazione dell’opposizione nelle grandi fabbriche
e così sarebbe stato per tutto il ventennio.
Per
concludere ecco il dettaglio del voto per il “NO” regione per regione in cifra
assoluta e in percentuale:
Piemonte
20.881 2,58%
Liguria
11.217 3,82%
Lombardia
37.128 3,06%
Trentino
Alto Adige 7.902 6,55%
Veneto
20.587 2,58%
Friuli
Venezia Giulia (con Zara) 4.080 2,14%
Emilia
Romagna 14.843 2,01%
Toscana
7.251 1,04%
Marche
1.665 0,67%
Umbria
1.783 1,23%
Lazio
3.020 0,72%
Abruzzo
e Molise 616 0,19%
Campania
2.417 0,34%
Puglie
165 0,04%
Basilicata
10 0,01%
Calabria
74 0,02
Sicilia
861 0,10%
Sardegna
1.273 0,71%