di Angelo Gaccione
La copertina del libro |
Scaramuzza
se ne era occupato già nella conversazione tenuta il 29 maggio del 2017 alla
Fondazione Corrente, e in quello stesso anno, “con opportuni adattamenti”, le 8
pagine della sua riflessione su ciò che resta di Dio, confluisce nel volume Incontri, sottotitolo Per una filosofia della cultura (Mimesis,
pagg. 216 € 18,00).
Il ragionamento di
Scaramuzza si avvita intorno ad una domanda-risposta che suona pressappoco
così: esiste Dio nel nostro mondo? Certo che sì; c’è un ambito in cui Dio
esiste “indubitabilmente” (Scaramuzza adopera questo avverbio) per tutti, per credenti e non credenti,
quest’ambito è quello della cultura inteso nel suo senso più lato: musica,
pittura, architettura, letteratura, rito, mito e così via. Tutte queste
discipline, compreso le pratiche rituali e le costruzioni mitologiche, sono
opera degli uomini, colti o meno colti poco importa. Quando diciamo “opera
degli uomini” intendiamo dire che sono creazioni oggettive, effettuali, reali,
nate da soggetti fisici concreti (gli uomini e le loro menti), e che si
sostanziano nella loro esistenza mondana in “manufatti” materici (dipinti,
templi, edifici, scritture), o in canti e preghiere che emettono un suono,
un’armonia, un senso, e che di alcuni sensi altrettanto concreti sono
espressione, come concreti sono gli strumenti adoperati per ottenere quel suono
e quella armonia: corde vocali, spartiti, strumenti musicali, e concreti sono i
sensi che li percepiscono. E lo stesso dicasi per le cerimonialità
scenografiche, “teatrali”, che sempre accompagnano il rito, l’offerta al θεóς o
ai θεοί.
Prima degli uomini non è
esistito alcun dio e alcuna mente che lo potesse concepire o rappresentare.
Quando la catastrofe nucleare o il dissesto climatico-ambientale cancellerà l’homo stupidus stupidus, anche Dio si
estinguerà con esso, egli ne verrà annientato come ogni creazione umana.
Dio esiste perché esiste
l’uomo che lo ha creato; esiste nell’idea ed esiste nelle opere che in ogni
campo della creatività e del pensiero umano gli sono state tributate. Poiché
Dio è una creazione umana uscita dalla mente dell’uomo, egli è tanto reale
quanto lo sono la mente ed i sensi di colui che lo ha concepito; quanto lo sono
le opere a lui riferite. Da questo punto di vista la nostra posizione integra e
rafforza quella del filosofo Gabriele Scaramuzza. La rafforza perché estende la
presenza di Dio nel mondo ben oltre l’ambito estetico-artistico della cultura.
Non c’è nulla di più drammaticamente
concreto della paura e della morte per l’uomo; una paura comprensibilissima,
umanissima. Come ebbi a scrivere in un testo dal titolo “Dèi e immortalità”
apparso nel 2013 sul numero di maggio-giugno di “Odissea”, “Sin dalle sue
origini (da quando cioè si è reso conto, ha preso coscienza attraverso la
ragione e la constatazione empirica di essere mortale come qualsiasi altro
elemento del mondo naturale) l’uomo si è trovato davanti a questa dismisura, a
questo orrore della sparizione definitiva, della sua uscita definitiva dal
mondo, dalla separazione dolorosa dai suoi affetti e dai suoi cari, dalla
comunità dentro cui era integrato. Gli si è aperto davanti questo baratro e ne
ha avuto paura. (…) Come accettare un destino così terribile? Come sopportare
il peso tremendo di una separazione così ultimativa dai propri figli, dai visi
più amati? (…) il Dio eterno e immortale avrebbe reso eterna e immortale
l’anima di colui che lo aveva creato a sua immagine e somiglianza”.
Se l’uomo si è creato un
Dio immortale per poter rimanere immortale; un luogo eterno per poter vivere in
eterno; un luogo del risarcimento e della ricongiunzione; allora possiamo
concludere che molto resta di Dio nel mondo. La sua essenza vi si è così
pervicacemente radicata, da essere divenuta indipendente da tutto: ordini e apparati
compresi.