di Angelo Gaccione
Eugenio Borgna |
Esiste una ricca nomenclatura di
parole-concetti che appartiene più alla letteratura che alla psicanalisi.
Questo ogni scrittore lo sa bene, e lo so bene anch’io. La nostalgia è forse la
più silente, la più struggente, di queste parole-concetti; di sicuro la più
universale e tocca gli uomini in ogni latitudine. Eugenio Borgna ha dedicato un
saggio intero alla nostalgia (La
nostalgia ferita, Einaudi, 2018), e così annota: “Ci sono nostalgie
dolorose e scarnificanti, nostalgie che fanno vivere e nostalgie che fanno
morire, nostalgie che si nutrono di gioia e di tristezza, nostalgie che non si
cancellano nel corso del tempo e nostalgie labili ed effimere”. Di queste varie
forme di nostalgia egli segue le tracce principalmente nei pazienti che vede
numerosi nel corso della sua pratica clinica in qualità di terapeuta, ma senza
trascurare la sua esplorazione conoscitiva (come ci ha oramai abituato da anni
con i suoi studi) all’interno di quel pozzo senza fondo che si rivelano le vite
e le opere degli autori: poeti, scrittori, artisti, filosofi, soprattutto, ma
non solo. Nel caso specifico il campionario è alquanto nutrito e la
bibliografia ne dà conto, ma si è dovuto auto-imporre anche un necessario
limite perché la materia è sterminata e lo avrebbe disperso in una selva
intricata e avviluppante. In ogni caso qui di materia letteraria ce n’è a bizzeffe:
da Dostoevskij a Emily Dickinson, da Celan ad Agostino, da Benjamin a Blixen,
da Trakl a Rilke, da Leopardi a Proust a Pascoli, tanto per citare qualche
nome. Non solo Freud, insomma.
La copertina del libro |
Seppure si
tratti di nostalgia “ferita”, Borgna ci va cauto a connotarla - sic et
sempliciter - come una pura e semplice malattia, e si chiede se non “sia
possibile ridare vita, ridare senso, alla nostalgia ferita dalla noncuranza e
dal disinteresse: recuperandone le tracce perdute”, adoperando la disciplina
come scienza umana oltre che come scienza naturale. Tant’e che Borgna ci dice
che “la parola nostalgia è, oggi, quasi scomparsa dalla letteratura medica e
psichiatrica”. Ovviamente non dimentica che l’essenza profonda sta già nella
parola composta che la definisce: nostos (ritorno)
e algos (dolore); e questo dolore può
sempre ritornare, anzi a certi livelli è ineliminabile e può acquisire un
carattere patologico e corrodere assieme alla psiche, lo stesso corpo. La
nostalgia “che si fa dolorosa e bruciante” può generare depressione, angoscia,
male di vivere e divenire una vera e propria “malattia dell’anima”. Il ventaglio di nostalgie che Borgna sottopone
a verifica è ampio: c’è la nostalgia dell’infanzia (il tempo perduto per
sempre) e c’è la nostalgia della casa; quella dell’esilio e dunque della
patria; la nostalgia delle persone care che abbiamo amato e perduto e quella
dei luoghi che ci sono appartenuti. Non c’è naturalmente nostalgia senza
memoria perché “non c’è nostalgia che non si nutra di passato”; Borgna è ancora
più perentorio e asseverativo: “Il tempo della nostalgia è il passato”. E
seppure questo passato venga spesso additato come qualcosa di immutabile, di
fissato per sempre e dunque di deteriore, quasi un sentire reazionario e
“passatista”, evanescente: cosa c’è di più certo di ciò che è stato e di cui
abbiamo memoria, dunque di più concreto? Non posso avere nostalgia del presente
perché lo vivo: è con me qui e ora. Posso avere nostalgia solo di ciò che è
stato e non sarà più, di ciò che è andato perduto; ed è nel passato che si
radica la malattia dei ricordi. Ma
Borgna ci dice che si può avere nostalgia anche per il futuro: per le perdite
che verranno, per quello che non potremo più fare per i nostri cari e per
quelli che verranno dopo di noi. Io penso che si possa avere nostalgia anche
per quello che di meraviglioso potrà in seguito avvenire e da cui saremo
esclusi, per quello che si scoprirà, per gli uomini geniali che nasceranno, e
così via.
G. Pascoli |
Ma resta il
passato la forma più intensa di nostalgia, l’età andata. La poesia di pochi
versi intitolata “Casarsa” e dedicata da Pasolini alla fontana del suo paese,
ne è una dimostrazione eloquente come lo sono tutti i ricchi esempi tratti dai
materiali letterari su cui Borgna svolge la sua riflessione: dalla poesia di
Hugo von Hofmannsthal “Momento” a “L’aquilone” di Giovanni Pascoli.
(…) Fontana d’acqua del mio paese
non c’è acqua più
fresca
che nel mio paese.
Fontana di rustico
amore.
(P. P. Pasolini)
Anche questi
versi di Pasolini nella loro prosciugata essenzialità, trasudano nostalgia.
È
cosparso di nostalgia gran parte del mio lavoro narrativo e poetico. Una
silente nostalgia mi ha sempre accompagnato e so che mi accompagnerà; non sarà
possibile guarire. Ne ho fatto la prova per tutto il tempo che ho impiegato
nella stesura de La signorina volentieri.
Tutta quella raccolta è pervasa da una irrimediabile nostalgia ferita. Basterà
per tutti questo inequivocabile passaggio a chiusura del racconto “Elettra”
scritto nel dicembre del 2012: “Pensavo a
quale abisso scava il tempo fra le persone che si sono amate. Non mi chiese
nulla del lavoro, nulla di tutto il resto, ed io gliene fui grato. Fra me e lei
c’era come un’ombra che si frapponeva alla luce; un’ombra che apparteneva a un
passato che non poteva più tornare. E tuttavia quell’ombra restava, ostinata
come una ferita che non vuole chiudersi”.
Forse per
chi scrive, ha ragione Borgna, questo sentimento può farsi resistenza al
deserto, restituzione di senso e in qualche misura divenire salvifico. Se non
proprio per lui, per lo meno per quanti ne avranno in dono la profondità del
sentire, la bellezza maturata nella ferita.