Le Difettose
alle Segherie di Bisceglie
La maternità al
tempo della virtualità
di Mila Fiorentini
Eleonora Mazzoni |
Dal libro omonimo di
Eleonora Mazzoni, pubblicato da Einaudi, uno spettacolo con Emanuela Grimalda e
la regia di Serena Sinigaglia che abbiamo avuto modo di vedere alle Antiche
Segherie – oggi caffè libreria – di Bisceglie, in Puglia. Il tarlo di non
riuscire ad avere un figlio, la frustrazione, la sensazione di essere «sbagliate»,
un tabou lungo tutta la storia
dell’umanità, un’assenza quella di un figlio, che rischia di occupare e
invadere tutta la vita, divorandola. Questo il tema centrale della storia
narrata.
Carla ha quasi quarant'anni, un compagno
praticamente perfetto, un lavoro stimolante e un certo fascino. Ma non riesce
ad avere un figlio. E per una come lei, abituata a centrare l'obiettivo, il
senso di fallimento brucia senza consumarsi. Perché l'ossessione della
maternità si può affinare al punto da dare dipendenza. Accade a molte delle
donne che Carla incontra quando decide di tentare la fecondazione assistita.
Tutte stanno in fila, mese dopo mese, per eseguire lo stesso rituale: gli
ormoni, il pick-up, il transfer, l'attesa. Conoscono il proprio corpo e i suoi
segnali con una precisione maniacale. Usano un oscuro gergo da iniziate perché,
ad esempio, non aspettano un bambino, "fanno la cova", non rimangono
incinte, "s'incicognano". E si sa, la lingua non è solo uno strumento
di comunicazione ma una visione del pensiero. Mentre a forza di medicine si
gonfiano come galline d'allevamento, le donne "difettose" si sfogano,
si danno conforto, nelle sale ospedaliere o nelle chat. Nel suo viaggio alla
ricerca della maternità, e di una forma di saggezza che pare sempre scivolarle
fra le dita, Carla può contare su di loro, ma anche su due guide spirituali
d'eccezione: Seneca, oggetto dei suoi studi di latinista, e nonna Rina, che
prima di diventare solida come una quercia era stata fragile come un albero
rinsecchito. Nonostante persino la Bibbia sia piena di vecchie sterili che
all'improvviso riescono a procreare, Carla forse deve mettersi in testa che un
figlio non è un diritto, come le dice Marco, il suo compagno, con quella sua
franchezza generosa e un po' leggera.
Abbiamo
incontrato le tre protagoniste dello spettacolo per conoscere i diversi punti
di vista, ricostruendo a tutto tondo una donna, anzi di molte donne ma anche di
punti di vista diversi sull’universo femminile.
L’autrice
del libro, Eleonora Mazzoni, nata a
Forlì, dopo una laurea in Lettere moderne all'Università di Bologna, consegue il
diploma di recitazione presso la Scuola di Teatro di Bologna diretta da
Alessandra Galante Garrone e per anni lavora come attrice in teatro, cinema e
televisione.
Le abbiamo chiesto come sia
nata l'idea del libro.
«Nasce da un'esperienza vissuta, quella di non riuscire a fare un
figlio, pur desiderandolo, e di aver voluto intraprendere in prima persona un
percorso di fecondazione assistita. Mi sono resa conto che quel non riuscire e
quel percorso coinvolgevano una quantità di persone incredibilmente più elevato
di quanto immaginassi, uomini e donne che appartenevano a strati sociali e
culturali diversi, regioni diverse, età diverse. Mi è venuta voglia di
raccontare quel mondo sotterraneo e carbonaro, poco visibile di primo acchito,
eppure popoloso, poliedrico ed estremamente vitale.»
Al di là del successo che tipo
di risposta ha avuto dal pubblico e che tipo di atteggiamento?
«Una risposta molto calda e partecipe. Ho ricevuto - e ancora
continuo a ricevere - centinaia di mail e messaggi di lettori e lettrici che mi
dicevano le loro impressioni sul libro e nello stesso tempo mi regalavano pezzi
della loro vita. Dentro c'erano domande, dubbi, confessioni. E alcuni grazie.
Spesso mi sono ritrovata a commuovermi. Sì, un'accoglienza inaspettatamente
molto affettuosa.»
Com'è arrivata la decisione di
portarlo in scena e come si è mossa in tal senso?
«L'idea è nata parlando con Emanuela Grimalda. Lei ha trovato la
co-produzione e poi ha proposto il progetto a Serena Senigaglia.»
Tra la versione
cartacea e quella in scena c'è una differenza di pubblico? Me spiego e mi
piacerebbe e avere una conferma o smentita: probabilmente il libro è più letto
dalle donne mentre a teatro ci sono anche uomini. Qual è il suo punto di vista
in merito?
«Il libro è letto senz'altro più dalle donne - anche perché i
lettori in generale sono per la maggior parte donne - ma sono comunque le donne
che normalmente scelgono i film o gli spettacoli da andare a vedere in coppia.
Quindi sono sempre le donne il traino. A parte questo, la differenza principale
tra versione cartacea e teatrale, oltre che nella diversità del medium, sta nel
fatto che lo spettacolo non utilizza un unico sguardo, quello di Carla, la
protagonista, com'era nel romanzo, ma ci sono 7 personaggi che si passano il
testimone, portando avanti la storia e dandoci ognuno il proprio punto di vista
sulla vicenda. E, tra i 7, c'è anche Marco, il compagno di Marco. O
l'infermiera, ad esempio, che invece i figli non li ha né desiderati né fatti.»
Lei si è rivolta principalmente
alle donne oppure no?
«Il "tu" a cui mi rivolgo normalmente quando scrivo è
senza preclusioni di genere. In quel "tu" ci sono sia uomini sia
donne. Ne Le difettose il tema
centrale è la maternità, esperienza che, in un modo o in un altro, tocca sia
uomini che donne. Certo, è innegabile, li tocca con diversa intensità e
impellenza. Gli uomini possono fare i figli
sempre, quando vogliono, fino alla fine dei loro giorni. Le donne solo in un
periodo molto circoscritto della loro esistenza. La società è cambiata
tantissimo negli ultimi decenni. L'emancipazione femminile ci ha rese più
libere, consapevoli e padrone di noi stesse. Possiamo scegliere. Di sposarci o
no. Se avere un figlio o no. E quando. Ma quel "quando" per noi
rimane limitatissimo. E questo rende tutto complicato. A 20 anni non ci
pensiamo quasi più a fare un figlio: abbiamo, giustamente, troppe cose ancora
da sperimentare e scoprire. A 30 anni spesso non abbiamo ancora una casa né un
vero e proprio lavoro né uno stipendio soddisfacente e spesso neppure un uomo.
A volte magari il lavoro c'è ma non è quello giusto e, se il lavoro giusto c'è,
manca l'uomo, e quando c'è l'uomo, non è quello giusto e poi, quando l'uomo
giusto arriva, non sono più giusti i tempi. Non a caso il tempo è un altro dei
temi importanti del romanzo. Tempo che si perde e si spreca, tempo che fugge,
tempo di cui non ci si accorge, tempo che non ritorna, tempo che non è mai
abbastanza.»
Mi piacerebbe capire se ha
condotto un'indagine sociale e che tipo di spaccato sentimentale e psicologico
emerge nella società contemporanea.
«Nessuna indagine sociale,
anche se mi sono molto informata e documentata, studiando a fondo l'argomento.
Le nuove maternità del XXI secolo prevedono secondo me un corpo a corpo tra
natura e scienza. Anche perché, se la vita si è notevolmente allungata, se le
abitudini e gli stili sono cambiati, la fertilità è rimasta quella del tempo
delle caverne. Anzi no. È notevolmente diminuita. Inquinamento, stress, troppi
estrogeni nelle carni, troppe onde elettromagnetiche nell'aria hanno messo k.o. la nostra fertilità, tanto che l'Organizzazione Mondiale della Sanità l'ha
dichiarata una "malattia sociale": nei paesi cosiddetti
industrializzati ormai una coppia su 3 o 4 ha seri problemi a procreare. Una
cosa è certa: il modello “unico” di donna, di madre, di famiglia vigente per
secoli si sta sbriciolando rapidamente, lasciando spazio a nuove forme. Oggi si
sono creati nuovi legami parentali in cui la trasmissione genetica delle
proprie caratteristiche biologiche ha poco peso, contano di più la scelta, la
volontà, l'impegno. L'amore.»
Lo spettacolo è nato grazie ad
un incontro, quello di Emanuela Grimalda, attrice ma anche autrice e
produttrice con il romanzo che ci ha raccontato che era alla ricerca di un
testo non suo da rappresentare, per raccontare una storia della società
contemporanea, uno spaccato di vita, quando si è imbattutta nel romanzo Le difettose.
«Quello che mi ha colpita è
l’uso dell’ironia che spesso utilizzo perché credo che sia un modo per
affrontare meglio i problemi e comunicare in modo più efficace, che è
profondamente vitale. Al di là della storia mi ha colpita il fatto che si parla
di una storia universale che fotografa la società di oggi».
Il tema della maternità e della famiglia che nella sua veste
tradizionale è stata messa in discussione ed è certamente uno degli elementi
che meglio raccontano la società odierna insieme alla precarietà nel lavoro.
«In effetti, nello specifico, è
il tema del tempo al centro del libro, almeno nella mia lettura critica: l’idea
dell’eterna giovinezza e l’attesa delle condizioni ideali che un giorno
disegnerebbero le condizioni per avere un figlio. In un certo senso la società
vive un paradosso, è sempre di fretta ma rimanda la propria realizzazione.»
Il teatro è da sempre uno se non il modo di rappresentare il
sociale e lo specchio per chi guarda di sé.
«È senz’altro il mio e ho chiesto all’autrice di
acquistare i diritti del testo per metterlo in scena, coinvolgendo Serena Sinigaglia,
che già conoscevo». Milanese, classe 1973, regista teatrale italiana, diplomata in regia alla Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi nel 1996, l’abbiamo
raggiunta tra una prova e l’altra ricevendo l’impressione di un vero e proprio
lavoro all’unisono fra scrittura, interpretazione e messa in scena, più che un
lavoro di squadra.
Che tipo di scelta ha fatto, non tanto in senso teatrale stretto,
ma nella valutazione del testo?
«Nel monologo interpreto sette
personaggi e non solo donne per dare spazio al lato maschile e a quel mondo che
in rapporto ad un figlio è spesso privato della propria voce. Per questo forse
il compagno della protagonista, con il suo dolore e la sua impotenza, è forse il mio personaggio preferito. Nello stesso tempo ho cercato di raccontare quel
mondo sommerso delle donne che non riescono ad avere un figlio e che tessono una
rete, talora nel mondo virtuale, di condivisione perché il testo colpisce per
l’universalità del desiderio di un figlio, che è l’aspirazione all’infinito, al
di là dell’essere uomo o donna e che, quando viene frustrato, può essere
devastante.»
Serena Sinigallia ha
sottolineato che in teatro ha realizzato un sistema per amplificare
l’accentuazione timbrica e originale della voce di ogni personaggio che diventa
una cifra stilistica e non solo una scelta registica.