di Jacopo
Gardella
La vista
delle fiamme che divampavano sul tetto della Cattedrale a molte persone ha
provocato un moto di commozione, Non ha importanza cercarne le ragioni: la
commozione era vera. Come scrive Angelo Gaccione: “il pianto mi ha serrato la
gola mentre le fiamme cancellavano guglie e pennoni”.
Ora che l’incendio è
stato spento e la Cattedrale parzialmente salva e sicuramente restaurabile ci
si può chiedere per quali ragioni si è rimasti tanto scossi e commossi. La
Cattedrale riunisce in sé due valori: uno religioso ed uno architettonico.
Entrambi costituiscono il valore storico del monumento. E in considerazione di
entrambi questi valori lo sgomento e la commozione hanno scosso gli animi sia
di credenti che di laici. Per i primi stava crollando il sacro luogo della loro
fede religiosa, per i secondi l’esemplare monumento della loro passione
estetica. Per entrambi, sia francesi che stranieri, si assisteva alla agonia di
una testimonianza insigne ed unica della Storia Europea. Non occorre aggiungere
altro per spiegare i motivi che giustificano la generale e universale
commozione.
Universale è il termine giusto. La folla
che pregava o che sommessamente cantava - ferma, immobile, ritta in piedi nella
piazza vicina al fuoco -comprendeva persone cattoliche e anche di altre
credenze, abitanti di Parigi e anche di altre città, cittadini di Francia e
anche di altre nazioni. I telegrammi inviati al Presidente Macron arrivavano da
tutte le parti del mondo, indipendentemente dalla appartenenza ad un credo
piuttosto che ad un altro, ad un orientamento politico piuttosto che ad un
altro, ad una cultura piuttosto che ad un’altra. Sarebbe inutile e quasi
meschino domandarsi quale dei due valori, se quello religioso o quello
architettonico, abbia più peso.
In Notre Dame essi sono presenti entrambi con uguale
intensità, con pari autorevolezza. L’edificio della Cattedrale li assomma in sé
con la medesima dignità, con la esigenza di un medesimo rispetto, perché è
stata costruita in un momento storico in cui entrambi quei valori si
coniugavano e potenziavano a vicenda. In Europa la Chiesa allora trionfante
concentrava in sé la massima energia spirituale e la massima cultura estetica;
culto ed arte si equilibravano ed integravano in una unica manifestazione
profonda, intensa, superiore: religione e architettura erano unite e complementari
l’una dell’altra.
Lo stesso non si può dire oggi. La Chiesa
è in gravi difficoltà, appare in palese declino, sta passando un momento di
preoccupante incertezza. Ma anche l’arte in generale e la architettura in
particolare sono prive di orizzonti, povere di idee, incapaci di esprimersi in
modo comprensibile e convincente. Non vi è dubbio che quanti assistevano
impotenti all’incendio avessero la consapevolezza, conscia od inconscia, di assistere
al contemporaneo spegnersi di due testimonianze profondamente radicate nell’animo
umano: il simbolo della Religione ed il monumento dell’Arte. Da questa
consapevolezza nasceva la commozione della gente, muta nel dolore e assorta in
un sommesso canto di preghiera. Davanti ai loro occhi stava morendo la concreta
dimostrazione della passata e perduta unione tra Religione ed Arte: unione
divenuta ormai rara, difficile da ricreare, faticosa da conservare.
Durante le concitate comunicazioni televisive
che commentavano in ripresa diretta il divampare dell’incendio si sono udite
domande inaspettate e quasi inopportune. Domande tuttavia non insulse perché
problematiche e degne di riflessione. Da alcuni è stato chiesto perché tanto
appassionato cordoglio per la Cattedrale di Parigi e non altrettanta angoscia
per gli emigranti che annegano nel Mediterraneo? Perché tanta ansiosa
attenzione per un monumento di pietra mentre per migliaia di ignote vite
perdute nessun segno di solidarietà, nessuna azione di salvataggio coordinato a
scala internazionale, nessuna offerta di aiuto e di asilo? La risposta a queste
drammatiche domande, a queste interrogazioni velatamente accusatorie, si può
trovare in due fatti concomitanti.
Anzitutto la tragedia dell’incendio si
svolgeva sotto gli occhi di tutta Parigi, anzi di tutto il mondo: attonito, partecipe,
ammutolito davanti allo schermo televisivo. Il naufragio degli emigranti al
contrario avveniva lontano, ignorato, avvolto dal silenzio.
Secondariamente l’imminente crollo della
Cattedrale equivaleva alla scomparsa definitiva della testimonianza storica
lasciataci in eredità dalle migliaia di eccellenti capomastri che avevano dedicato
tutta la loro vita alla realizzazione di un’opera unica e irripetibile. La
morte di Notre Dame equivale alla morte di questi ignoti ma ammirevoli artigiani.
Impossibile decidere quale delle due
tragedie meriti più profondo compianto, più sentita partecipazione.
Inaccettabile dare ragione a chi è convinto di dover salvare la Cattedrale piuttosto
che soccorrere i naufraghi; o viceversa. Sarebbe ingiusto condannare
sbrigativamente chi sostiene l’una piuttosto che l’altra convinzione; entrambe sono
rispettabili; entrambe appartengono alla personale ed intima coscienza di ogni
uomo; entrambe, se scelte con onestà e sincerità d’animo, meritano rispetto e
considerazione.
Se vi è una morale da trarre - come si
usava alla fine di una fiaba - essa non è né consolatoria né tranquillizzante:
di fronte alle grandi decisioni che ci impone la vita non è certo la Ragione lo
strumento utile a cui possiamo ricorrere; è piuttosto la presenza di un sentire
profondo e di una forte determinazione che nasce dalla nostra intima coscienza.
Nei momenti cruciali della vita poco aiuto ci danno le facoltà razionali; l’ultima
e definitiva soluzione possiamo piuttosto trovarla nelle nostre innate doti
esistenziali.