di Franco Astengo
“Violenze e sopraffazioni di minoranze etniche.
Fanatismi. Nazionalismi galoppanti. Clamorose retromarce persino rispetto ad
assodate verità scientifiche, oscurantismo e bigottismo”.
Questo è il quadro di vero e proprio deterioramento
culturale e morale dentro il quale ci troviamo a vivere in questa drammatica
fase della storia.
Il ritorno di un’ideologia di tipo fascista fa
parte oggettivamente di questo vero e proprio “arretramento storico.”
È il caso, allora, di rammentare non semplicemente
cosa è stato il fascismo ma di sottolineare quanto ne persista nella realtà. Veri
e propri rigurgiti fascisti si avvertono anche a livello di schemi culturali,
di comportamenti a livello di massa, di opzioni politiche concrete. Rigurgiti
fascisti che avanzano senza ricevere quel contrasto che meriterebbero. La
situazione attuale, nella quale si stanno riproducendo soprattutto i temi
deteriori del razzismo, deve essere affrontata attraverso l’indicazione
costante della negatività assoluta dei principi che il fascismo ha
rappresentato, comparando con grande attenzione ciò che avvenne allora con la
realtà di oggi. È necessario ricordare che la Resistenza non è stata il derby
tra fascisti e comunisti. Serve allora un 25 aprile non ecumenicamente
“afascista” di generica unità nazionale, ma un 25 aprile antifascista. Ricordando
prima di tutto chi ha costruito l’antifascismo nell’Italia del ventennio. Rammentando
allora:
Qual era la composizione sociale e politica di gran
parte dei condannati dal Tribunale Speciale;
La composizione sociale e politica dei 135.000 eroi
che votarono contro nel plebiscito fascista del 1929. Erano quelli tempi nei
quali il popolo purtroppo aveva ancora bisogno di eroi;
La composizione sociale e politica degli italiani
che combatterono in Spagna nelle brigate internazionali dalla parte della
Repubblica;
I luoghi dove si alimentò ancora, anche nei momenti
più duri e del delirante consenso al regime, l’antifascismo militante;
La composizione sociale e politica delle migliaia
di deportati a Mauthausen dopo lo sciopero del 1° marzo 1944 e giorni seguenti
fino alla razzia di Genova del 16 giugno 1944. Ancora la composizione sociale e
politica delle brigate partigiane, dei GAP, delle SAP, dei gruppi di difesa
della donna, del Fronte della Gioventù. Di
fronte a chi si arresero i tedeschi a Genova: unica città d’Europa dove avvenne
quel fatto straordinario dell’arrendersi delle truppe germaniche davanti ai partigiani.
Soprattutto è necessario ricordare come la ricchezza dei contenuti e delle
forme di lotta espressa in quel momento dalla classe operaia risultò
assolutamente determinante per conseguire l’obiettivo primario
dell’abbattimento del fascismo e della vittoria sul nazismo.
Da quella classe operaia sorse la Resistenza e
nacquero la Repubblica e la Costituzione. Una Costituzione inapplicata per
lunghi anni: anche questo è un dato da ricordare.
Nella fase dell’immediato dopoguerra durante il
complesso periodo della riconversione dell’industria bellica, della ricostruzione
del Paese, dei tentativi di consolidamento della democrazia, la classe operaia
e contadina pagò ancora un tributo di sangue, nell’occupazione delle fabbriche
e delle terre: da Portella della Ginestra a Modena, da Melissa a
Montescaglioso, da Avola a Battipaglia fino all’estate del ’60, quando a Reggio
Emilia, Licata, Palermo, Catania furono uccisi dalla Polizia operai
antifascisti scesi in piazza per protestare contro un governo sostenuto dagli
eredi del fascismo.
Tutto questo itinerario storico non può essere
confuso dentro accenni generici. La Resistenza va ricordata nella sua realtà e
nell’interezza della dimensione sociale e politica. Per fare questo
efficacemente serve la memoria: occorre coagulare il ricordo in storia, il
radicarsi della memoria nel vivo dei processi sociali e politici. La nostra
forza, infatti, nel voler riaffermare i valori di una Comunità è rappresentata
dalla memoria attiva.
Quella memoria attiva che ci consente ancora di
affermare come il 25 aprile sia la data più importante della storia d’Italia.