LA SAGGEZZA DEGLI UBRIACHI
di Filippo Ravizza
Stefano Vitale |
A lettura ultimata,
La saggezza degli ubriachi, l'ultima
raccolta di Stefano Vitale, appare come una attenta indagine sulla condizione
esistenziale singolare vista nei suoi rapporti con la rete della totalità delle
cose. Una indagine sulla natura delle evenienze che accadono, condotta alla
luce della ragione impegnata a scandagliare con acribia le manifestazioni e i
protocolli della presenza dell'essere dentro al reale, una indagine che
riflette sulla natura della percezione, lo strumento con cui l'essere si pone,
si posiziona nel mondo e tenta di interpretarlo. L'essere-nel-reale di
quell'ente che l'uomo è, si costituisce pagina dopo pagina ne La saggezza degli ubriachi come momento
fondante, continuamente esaminato, proposto e riproposto, oggetto continuo di
riflessione. Una riflessione che - come bene ha intuito Alfredo Rienzi nella
bella e partecipe prefazione - chiama a sé come strumenti di esplorazione
non solo il sistema percettivo logico razionale, ma anche quello intuitivo,
quello evocativo, la grande area ancora in parte inesplorata del pensiero
"affettivo", quello che nasce dalla (o attraverso la) capacità
dell'essere umano di commuoversi davanti alla visione del mondo, di
affezionarsi a questa visione. Che proprio questi continui tentativi di fusione
che Stefano Vitale organizza tra riflessione logico-razionale e riflessione che
nasce come conseguenza di una commozione dell'essere di fronte al reale
costituiscano la "saggezza" di cui ci parla il titolo stesso di
questo libro? Una saggezza "di ubriachi" , cioè in continuo va e
vieni tra rigore e sentimento, logica e commozione? Tutto questo attraverso una
poesia che costruisce, con la chiarezza di un dettato peraltro attentamente
strutturato, una verticalità di significato pronta a recuperare la dimensione
del molteplice.Ecco allora venirci incontro versi da questo punto di vista
tanto chiari quanto implacabili nel loro lavorio inesausto di scavo:
"Non ci sono specchi cristallini/ dove ogni cosa corrisponde a se stessa/
ma nuvole di vapore che sfumano il gesto/ nell'illusione della precisione"
viene detto nell'incipit della poesia di pagina 14 (le indico così, con il numero di
pagina, perché le poesie di Stefano non hanno titolo, e questa è una
precisa scelta formale del nostro autore che deve essere segnalata);
"E noi sempre a inseguire parole/ in una commedia senza fine/ forma
cieca della nostra figura/ riflessa in uno specchio/ inevitabilmente
deformato" ribadiscono i versi di chiusura di questa poesia. Ancora
questa stessa poesia appena citata: i cinque versi di chiusura che abbiamo
letto pongono già in campo (motivo ricorrente in tutto il libro) la
natura e la funzione della parola, il suo rapporto con la verità, con quello
specchio "inevitabilmente deformato" in cui si materializza la
"forma cieca della nostra figura".
Comunque una riflessione, quella di Vitale, che vuole stare dentro alle cose, toccarle, stare accanto alle cose, nella consapevolezza però che la realtà delle cose è costituita dalle, ed è, al contempo, un prodotto delle idee degli uomini.
Vitale |
Comunque una riflessione, quella di Vitale, che vuole stare dentro alle cose, toccarle, stare accanto alle cose, nella consapevolezza però che la realtà delle cose è costituita dalle, ed è, al contempo, un prodotto delle idee degli uomini.
"Non
tutti hanno lo stesso sogno/ e tanti sono i lacci stretti attorno al collo/
d'ogni generazione/ che pure conosce il mistero/ oltre il confine del
cortile.// Perché il Vero sta nell'oltrepassare,/ nel dettaglio dove si
nasconde il primo sguardo/ il nostro esserci, in piedi, di tanto in tanto,/
dritti e sinceri."; cito qui sopra per intero il testo di pagina 16
perché esso ci pone di fronte ad uno degli elementi più belli di questa poesia
e di questo autore: il non abdicare mai in via definitiva, a forme di speranza
e di riaffermata adesione a principi oggettivi e comunitari, bussole che
Stefano rifiuta di delegittimare (come fa purtroppo molta poesia contemporanea)
e che anzi sottolinea - perché il Vero sta nell'oltrepassare le
manipolazioni della distrazione di massa - attraverso l'utilizzo qui
necessario, indispensabile, della lettera maiuscola: il "Vero" e la
"Storia", due capisaldi che, da soli, meriterebbero di riempire
intere librerie dedicate esclusivamente al loro rapporto con la
contemporaneità. Questo autore i due capisaldi li pone al centro della sua
poetica, è, la sua, una poesia che non rinuncia a combattere, a cercare di
fendere la nebbia e il buio che ci circondano; per porsi e ri-porsi alla
ricerca della Storia e del suo senso: "Sempre ritorna - pagina 37 - l'ansia
del combattimento/ il pensiero di andare oltre la
soglia/ sotto un cielo carico di tempesta/ al passo con la dignità
offesa/ come gli eroi che non s'arrendono/ e spendono la vita a
raddrizzare/ i quadri storti, a costruire il tempo/ che nessuno ancora
ci ha servito". Esplicita dunque è la chiamata ad agire nel reale che
ci giunge dai versi di Stefano, l'incitamento a lasciarsi coinvolgere nel
"fuoco della controversia", per citare un titolo di Mario Luzi (che -
credo di poter dire - è, con Eugenio Montale e Vittorio Sereni,
uno degli autori che Vitale ha profondamente attraversato) mentre, pochi fogli
dopo, il testo di pagina 39 chiude così " Sulla cima dell'imperfezione
si staglia il profilo/ del nostro viso, calmo e disteso,/ in attesa del
prossimo, duro/ combattimento". Una scrittura che vuole essere dentro
la Storia perché "L'importante è colpire di sorpresa/ spezzare
la catena dell'attesa/ rompere la noia/ di questa inutile pastoia/ che
rende schiavi/ di una Storia/ di cui si sono perse/ ormai le chiavi"
(pagina 33) certo, ma proprio per questo, pare dirci questa poesia, proprio
perché si sono perse le chiavi delle grandi narrazioni novecentesche, la
possibilità ancora e sempre data è quella di costruire una nuova Storia "perché
siamo figli di un destino comune/ sapienza senza tempo in vortici di
luce" (pagina 45).
La saggezza degli ubriachi dunque, è una testimonianza che ci racconta dell'esistenza, del Vero, della Storia: assi ruotanti attorno e dentro al mistero, all'enigma del tempo, quasi rammentandoci ad ogni pagina che l'essere, come diceva Martin Heidegger, è "linguaggio gettato dentro al tempo", tempo, aggiungeva il filosofo di Messkirk che a ben vedere poi esiste probabilmente solo sotto forma di eternità, perché invece è "l'uomo che temporalizza il tempo", cioè tutto, alla fine, si riconduce alla percezione dell'uomo, in ultima analisi tutto è un'idea. "Non c'è mai stato un tempo - pagina 44 - /perché tutto s'è dimenticato/ perché il male è scritto nelle viscere/ perché non c'è un perché/ all'ottusa malformazione/ della Specie che noi siamo.". La condizione umana, la situazione dell'essere-nel-mondo, ci ricorda questo autore, è all'insegna della dialettica tra opposti, di quel contrasto tra positivo e negativo per sua stessa natura tragico: il contrasto tra finitudine e desiderio di infinito. In questo crogiuolo di dolore e di ebrezza, ad essere alla fine sottolineato è il valore della parola poetica: "Ci guida il canto/ piccola ostinata intima luce/ che riposa nel tabernacolo/ delle nostre viscere", come dice Stefano Vitale a pagina 49. E poi, arriva per noi che scriviamo queste righe e per gli attenti lettori di questo libro, nei primi cinque versi della poesia di pagina 53, la dichiarazione esplicita di rifiutata resa ad ogni forma di nichilismo: "Tirar fuori dalla selva del tempo/ una parola certa e precisa/ che ci rassomigli una volta per tutte/ per dare un senso/ al silenzioso scrutarsi delle cose:/ è questa l'incrollabile speranza/ che porta al fine di ogni arte".
Vitale |
La saggezza degli ubriachi dunque, è una testimonianza che ci racconta dell'esistenza, del Vero, della Storia: assi ruotanti attorno e dentro al mistero, all'enigma del tempo, quasi rammentandoci ad ogni pagina che l'essere, come diceva Martin Heidegger, è "linguaggio gettato dentro al tempo", tempo, aggiungeva il filosofo di Messkirk che a ben vedere poi esiste probabilmente solo sotto forma di eternità, perché invece è "l'uomo che temporalizza il tempo", cioè tutto, alla fine, si riconduce alla percezione dell'uomo, in ultima analisi tutto è un'idea. "Non c'è mai stato un tempo - pagina 44 - /perché tutto s'è dimenticato/ perché il male è scritto nelle viscere/ perché non c'è un perché/ all'ottusa malformazione/ della Specie che noi siamo.". La condizione umana, la situazione dell'essere-nel-mondo, ci ricorda questo autore, è all'insegna della dialettica tra opposti, di quel contrasto tra positivo e negativo per sua stessa natura tragico: il contrasto tra finitudine e desiderio di infinito. In questo crogiuolo di dolore e di ebrezza, ad essere alla fine sottolineato è il valore della parola poetica: "Ci guida il canto/ piccola ostinata intima luce/ che riposa nel tabernacolo/ delle nostre viscere", come dice Stefano Vitale a pagina 49. E poi, arriva per noi che scriviamo queste righe e per gli attenti lettori di questo libro, nei primi cinque versi della poesia di pagina 53, la dichiarazione esplicita di rifiutata resa ad ogni forma di nichilismo: "Tirar fuori dalla selva del tempo/ una parola certa e precisa/ che ci rassomigli una volta per tutte/ per dare un senso/ al silenzioso scrutarsi delle cose:/ è questa l'incrollabile speranza/ che porta al fine di ogni arte".
La copertina del libro |
Stefano Vitale
La
saggezza degli ubriachi
Ed. La vita felice
Pagg. 92 € 13,00
Pagg. 92 € 13,00