MODERNITÀ
di Angelo Gaccione
Non
c’è alcun dubbio che le merci industriali di quella che pomposamente viene
chiamata modernità, sono di gran
lunga più fragili e deperibili dei manufatti (fatti a mano) artigianali delle
epoche passate.
Io oso affermare che siano
non solo molto più solidi (i manufatti), ma anche esteticamente più
affascinanti ed armonici.
A questo riguardo
consiglierei a molti cosiddetti designer di andare a bottega dai nostri ottimi,
modesti artigiani; converrebbe anche a tanti, tanti e tanti architetti.
Le merci industriali,
quelle elettroniche e di alta tecnologia, soprattutto, sono programmate per il
“suicidio” e non debbono superare in esistenza, un certo numero di anni
preventivamente stabilito. Una lavatrice o un telefonino faranno blackout ad un
certo punto della loro esistenza, pur rimanendo integri nell’involucro e
perfetti nei loro componenti assemblati. È un ottimo modo perché il consumismo,
religione pagana ed empia del capitalismo, divori sempre più risorse, devasti
la natura, aumenti a dismisura i rifiuti industriali inquinando in ogni dove e
distruggendo energia preziosa con lo smaltimento. E dando anche una mano
all’aumento della temperatura climatica del pianeta che in vari modi ci sta già
saldando il conto.
Che si potessero
auto-suicidare anche le scarpe, questo mi ha però sorpreso. Mai mi era capitato
che a meno di un anno di vita, scarpe di fattura italiana facessero una fine
così prematura.
Quelle dell’epoca “non
moderna” - o se preferite “arretrata” -, non solo erano belle nella foggia, ma
erano solide e durature e non mi avevano mai tradito. Queste, le suicide, le ho
portate al negozio dove le avevo acquistate e mi sono sentito dire che era
tutto “ragionevolmente normale”. Si trattava di scarpe leggere, questa la
risposta, riempite di aria per garantire la leggerezza. Non mi ero mai accorto
che le scarpe portate in gioventù fossero così pesanti; in ogni caso non si
erano mai “suicidate” spaccandosi nel centro della pianta come queste della modernità.
Ora le riempiono di aria,
le moderne, le riempiono di aria e ci vendono aria. Lo facevano molti anni fa i
napoletani: in un barattolo vendevano “aria di Napoli”. Dopo la vicenda del
colera hanno saggiamente smesso.
Sarei curioso di sapere da
dove proviene l’aria che circola nelle mie scarpe: dalla Cina, dal Bangladesh?
Magari è più inquinata della nostra, di questa della Pianura Padana.
Poveri piedi miei, che
senza lamentarsi mi portano in ogni dove…