di Gabriele Scaramuzza
Gabriele Scaramuzza |
Anticipiamo su “Odissea” questa bella nota del
filosofo Scaramuzza che comparirà sulla rivista “Il Segnale”
Poesie lo sono queste Spore, nel senso dello specifico
genere letterario; ma non vi manca quella poeticità diffusa che tinge le
parole, dentro e fuori i versi (penso al brano 7 della seconda parte, ma ha un
senso anche generale). Poesie che “suonano”: Lella Costa ci conduce per
mano tra queste Spore con la freschezza delle sue righe introduttive. La
Presentazione di Alessandro Zaccuri dà giusto rilievo - come Eleonora
Groppetti peraltro, nella sua intervista all’autore apparsa sul “Corriere di
Novara” del 12 marzo scorso - alla “tensione etica” costante in Gaccione, alla
dimensione civile che qui però “assume una cadenza più familiare”; e
opportunamente ricorda “la conseguita milanesità” di Angelo Gaccione,
notoriamente cosentino per nascita.
Gaccione
stesso mi ha fatto leggere un florilegio di giudizi su Spore:
testimoniano della loro risonanza in chi le ha lette, la loro leggibilità,
lontana da qualsiasi cripticità, e la “leggerezza”; una leggerezza in realtà
solo apparente, dato che nulla toglie al meditato spessore dei pensieri, anzi dà
ad essa maggior risalto. La conversazione condotta da Giovanni Bonomo dal
titolo Scrittura poetica per “Affari Italiani” mette sinteticamente a
fuoco il senso e i modi di intendere il far poesia di Gaccione; che sostiene:
“nessun’altra forma espressiva riesce a cogliere i nostri sentimenti, la nostra
interiorità, il nostro disagio, come la poesia”.
Attrae
innanzitutto il titolo. Gabriella Galzio, in un intervento che apparirà col
titolo Angelo Gaccione e i distici della sapienza su “Materiali di
Estetica”, ci propone una spiegazione di Spore, riportando la risposta
che Gaccione le ha dato in merito. Ci sembra la cosa migliore riprenderla qui: queste
poesie “come le spore chissà per quanto tempo sono rimaste allo stato latente
in me, prima di germinare. Impossibile che tutti questi versi e pensieri siano
potuti venir fuori in appena una settimana, devono necessariamente essere stati
da anni in un fondale e poi in un tempo così concentrato affiorare”.
Nell’intervista condotta da Groppetti cui già abbiamo fatto ricorso, Gaccione
di nuovo spiega efficacemente come nasce il titolo Spore. Vincenzo
Guarracino, in un suo bell’intervento dell’8 marzo 2020 su “Avvenire” tematizza
a sua volta con finezza il significato di Spore: “Testi costruiti con rigorosa attenzione alla
misura e tesi, […] ad effetti di straniamento, sconfinanti in breve volgere in
una morale, in quella che retoricamente si chiamava una volta ‘agnizione’, ‘epifania’,
ossia rivelazione”. Ma la parola dell’autore è sempre la più autorevole.
Spore che sono aforismi più che proverbi, o così sembra più consono a
me chiamarle. Guarracino parla di epigrammi, ne spiega con cognizione di causa
il senso; ma preferisco, forse a torto, aforismi, meno impegnativo sul piano
delle ascendenze letterarie cui fa cenno Guarracino. Sono intrisi di sapori di
vita vissuta; hanno colori esistenziali, religiosi al fondo, cronachistici a
volte, palesemente autobiografici. E certo, come ogni evento artistico di cui
valga la pena occuparsi, hanno nette tonalità conoscitive: “La poesia ci aiuta
a vedere meglio”, sostiene Gaccione; opportunamente questa frase è stata scelta
da Eleonora Groppetti a titolo all’intervista già ricordata. Poco sotto in essa
leggiamo: “in me tutto nasce dall’urgenza, da un’urgenza insopprimibile. Non mi
metto allo scrittoio per fare qualcosa, ma sono ‘chiamato’ a fare qualcosa. È
l’argomento a dettare lo stile”.
Significativo
è che la prima parte del libro abbia il titolo “Per il verso giusto”: casi
della vita, temi eterni in pieghe rinnovate; anche riflessioni sui propri
versi. Al tema della morte è dedicata la seconda parte: “La presenza dei
morti”; e sono morti che hanno sfiorato da vicino l’autore, e di riflesso noi
che leggiamo. Le meditazioni poetiche di Gaccione sono in prima persona:
sintesi di una saggezza costruita in lunghi anni; non riflessioni su
riflessioni altrui. Saggezza di Eugenio Borgna, verso cui Gaccione ha
sempre mostrato un’empatica attenzione, ci offrirebbe i termini più opportuni
qui. E di saggezza parla anche Alessandra Paganardi (il
titolo accattivante del suo scritto, assai bello, è Una poesia che ha il
sapore del pane – è apparso su “Odissea” nel marzo del 2020). Paganardi
insieme dà un giusto rilievo alle tonalità religiose che animano i versi di
Gaccione: “C’è una sapienza evangelico-francescana in
questi versi, una sapienza da parabola […]. Ha anche il ritmo di un cantastorie
abbreviato, quasi il resumé di un De
André o di un George Brassens, dove la brachilogia non si giustappone, ma si
genera automaticamente dalla forza filosofica della meditazione sul mondo”.
Per
me, incline per natura all’autobiografia, Spore è una via in più per
conoscere Gaccione, non la prima né l’unica certo, ma non la meno pregnante.
Nella poesia affiora una spontaneità, per solito controllata, o lasciata
sottotraccia, nei normali rapporti umani e negli scritti in cui prevale
un’intenzione significativa.
Ma
è con stralci dall’intervento (nella mia ottica il più autorevole, e toccante,
tra quanto ho letto su Spore) di Fulvio Papi, Il tempo dei paesaggi
interiori, (apparso su “Odissea” nel febbraio del 2020) che mi è caro
concludere: “Il poeta in questi versi è in prevalenza il tramite di un mondo
che non c’è più (fate la prova con l’eco della parola “pane” del testo 7 di
pagina 77 della sezione “La presenza dei morti”), ma che per suo tramite parla
ancora, racconta dei suoi oggetti, dei comportamenti, del dominio emotivo, cioè
del suo stile. Ma quando il tramite non è il silenzio del documento, è un uomo,
solo un uomo, una identità senza ripetizione, che passa nella foresta dei vivi
e dei morti, allora bisogna pensare che il suo linguaggio non può essere quello
di una matematica concettuale, ma il riconoscimento dell’esperienza che ancora
trascorre il famoso fiume del tempo […]. Gaccione adopera i suoi versi come
fossero una rapida confidenza, un ricordo, una saggezza che emergono dal
profondo pozzo della vita. Così il mondo del poeta […] è la comunità dei vivi e
dei morti che ha una sua continuità nella nascita dei sentimenti, nella
rinascita degli oggetti, nel silenzio dei passi immaginati, nel rapporto tra
uomini e uomini e tra viventi e la terra. È nel nostro corpo sensibile che
siamo costretti a scoprire questa discendenza, dove il ricordo sedimentato
nell’esistenza vale molto di più del desiderio che vola sempre più cieco”.
Crea
sempre qualche ritrosia parlare di poesie, si ha sempre l’impressione che
quanto si scrive distolga da esse. Queste mie righe vorrebbero essere solo un
invito alla lettura di Spore: nulla di esse è surrogabile.
Angelo
Gaccione
Spore
Interlinea
Ed. 2020
Pagg.
90 € 12,00