di
Angelo Gaccione
Max Hamlet "Interno borghese" (2020) |
Economia ed economisti
Se l’economia non è una scienza,
possiamo concludere che sia una scelta. Una scelta, come sappiamo, non è mai
neutrale e implica un modo di collocarsi, un punto di vista, una visione. Una
scelta presuppone sempre degli interessi di parte e una concezione di mondo,
dunque, non può prescindere dal modo in cui la società è organizzata e
dall’idea che di questa società, seppure per sommi capi e in maniera generica
ce ne siamo fatti. L’economia, in altre parole, non è che il risultato
tangibile di tutto questo. Se prendessimo atto di questa evidenza, essa ci
apparirebbe in tutta la sua palmare banalità, e quella che è stata trasformata
in una materia complicata, si rivelerebbe la più artificiosa e mistificatrice
delle pratiche sociali. Per smascherarla basta porsi un paio di elementari
quesiti: come sono organizzate le società? Risposta: tutte le società di nostra
conoscenza sono diseguali, su questo non c’è obiezione di sorta. E chi sceglie
in una società diseguale? Anche su questo la risposta è scontata: le classi al
potere. Ne discende che l’economia è quella “materia” che le classi al potere
nelle società diseguali, maneggiano a proprio piacimento e a proprio vantaggio.
E lo possono fare perché si sono dotati del monopolio della forza e del
monopolio del diritto, in grado di piegare le stesse decisioni dei governi. E
questo vale anche per le mafie e le multinazionali, che forza e diritto hanno
ben concentrato nelle loro mani. Un robusto apparato di forza ha permesso alle
mafie di tutto il mondo, di gestire una fetta considerevole di economia, da
tener testa, in termini di ricchezza accumulata, a veri e propri Stati
nazionali. Quanto alle multinazionali, è sotto gli occhi di tutti la potenza di
fuoco che il suo esercito agguerrito di giuristi è in grado di dispiegare; e
come riesca a influenzare le scelte dei parlamenti: compreso il Parlamento
europeo e lo stesso Congresso americano.
Max Hamlet "Il party" (2020) |
Le società diseguali sono per loro natura ingiuste, dal
momento che la loro disuguaglianza è andata costituendosi - nel corso della
storia -, attraverso il saccheggio, l’esproprio, la rapina, la forza, il
delitto. In una parola: la guerra. La costante della storia è la guerra, ed è
stata la forza a sancire la disuguaglianza, lo sfruttamento e l’accumulo della
ricchezza. La disuguaglianza è una forma sociale disumana: tiene per la gola
miliardi di esseri umani e li obbliga, col ricatto della fame, a sottoporsi ad
ogni tipo di lavoro: compreso quello ad alto rischio per la propria salute,
dannoso per l’ambiente, oppressivo, infelice. La forza lavoro, costituita da
milioni di braccia e di bocche, patisce la fame pur producendo ogni tipo di
merce; così come l’insieme di quello che definiamo popolo, benché numericamente
superiore ai detentori della ricchezza e del potere della forza, non ha alcuna
voce in capitolo né sull’insieme delle fasi del processo produttivo, né sulle
merci da produrre e sulla loro reale utilità, che andranno ad invadere quello
che con un termine, generico e astrattamente immateriale, chiamiamo mercato. Il
mercato è divenuto il regolatore della vita degli esseri umani produttivi e di
quelli consumatori; ma anche generatore di scarto: di vite, cioè, divenute
inutili al proprio processo.
Le classi della società escluse dal dominio della forza e
della ricchezza, non possono mutare questo stato di cose. Non possono far
valere la loro visione di mondo, né decidere come impiegare le risorse, come
produrre, cosa produrre, cosa scambiare, come distribuire la fatica, il
tempo di essa, e come impedire che degli uomini possano essere condannati alla
fame. Questo ordine di cose palesemente ingiusto, ci dice che l’economia del
nostro mondo è ingiusta.
Gli economisti sorvolano su tutto questo e lo danno come un dato acquisito e immutabile. Ed è per questa semplicissima ragione che nel dibattito di questi mesi in cui la pandemia ha messo al centro della riflessione la domanda: “come uscirne”? non si è levata una sola voce a chiedere un mutamento radicale di questo infame assetto economico del mondo.
Gli economisti sorvolano su tutto questo e lo danno come un dato acquisito e immutabile. Ed è per questa semplicissima ragione che nel dibattito di questi mesi in cui la pandemia ha messo al centro della riflessione la domanda: “come uscirne”? non si è levata una sola voce a chiedere un mutamento radicale di questo infame assetto economico del mondo.
Max Hamlet "L'uomo che beve" (2020) |
Pandemia ed efficienza
Personalmente ho trovato singolare che in una contingenza come
questa, non sia stato mosso alcun rilievo alla gigantesca spesa militare
mondiale, che pesa come un macigno sulle economie atrofizzate dei vari Stati, e
in particolare sul nostro. Singolare è apparsa inoltre, l’indifferenza con cui
si è sorvolato su alcuni elementi segnalati da Elio Veltri su questo giornale,
e che hanno contribuito allo sfascio e alla perdita di credibilità del nostro
Paese: l’entità enorme dell’evasione fiscale, la grande estensione della
corruzione pubblica e privata, la trascurabile aggressione all’economia
criminale, la miserabile confisca dei beni realizzata dai governi che si sono
succeduti. Eppure ogni buon economista borghese cui sta a cuore l’efficienza
del sistema, dovrebbe inorridire davanti a tale “discrasia”.