di Lisa Mazzi
Berlino. Come in Italia
all’inizio della pandemia gli scaffali dei supermercati sono stati presi
d’assalto per paura di dover fare la fame in quarantena, anche in Germania, pur
con notevole ritardo rispetto all’Italia, alcune cose sono andate a ruba e gli
scaffali sono rimasti vuoti per un notevole lasso di tempo. Quello che stupisce
però, oltre alla comprensibile carenza di disinfettanti e mascherine, è che
l’articolo più conteso sia stata la carta igienica, irreperibile per parecchie
settimane e diventato per questo anche sui social oggetto di un interesse
particolare.
Di fronte ai tanti interrogativi sul perché di questo
smodato accaparramento, anch’io mi sono chiesta da cosa potesse dipendere,
perché, pur risiedendo in Germania dal tempo dell’università e quindi
germanizzata di tutto punto e ufficializzata pure dal passaporto tedesco, ho
trascorso gli anni della mia infanzia e adolescenza in Emilia Romagna.
All’improvviso mi si è presentata alla mente come in un lampo l’immagine del
lunotto posteriore delle auto dei turisti tedeschi che tra gli anni 60 e 70
venivano in vacanza in Italia.
Sul ripiano tra il sedile e il lunotto troneggiava
infatti un oggetto, a prima vista non identificabile perché ricoperto da un,
chiamiamolo, copricapo di lana colorata, fatto generalmente a uncinetto, come
fosse un vaso di fiori su di un tavolino. Mi ci volle un po’ di tempo, allora,
per capire che sotto questo grazioso involucro di lana si nascondeva
immancabilmente un rotolo di carta igienica. Probabilmente la paura di doversi
liberare durante il viaggio di qualche fardello intestinale portava i
parsimoniosi e cauti turisti ad optare per una sicurezza “fai da te”. Si
tratta, come ho detto, di immagini della mia infanzia e adolescenza legate al
fatto che, avendo io iniziato molto presto lo studio della lingua tedesca,
nutrivo particolare interesse per quelle auto dalle targhe bianche avvistate
lungo tratti della via Emilia, mentre con i miei genitori andavamo a raggiungere
il mare di Rimini.
Ovviamente poi questi romantici “copricarta” sono passati
di moda e usciti anche dalla mia mente. Fino al marzo 2020 quando i rotoli di
carta igienica sono scomparsi dagli scaffali di supermercati e drogherie diventando
oggetto di brame e desiderio.
Essendo una germanista e linguista di professione mi ero
occupata anche in passato del turpiloquio italiano e tedesco per cercarne le
radici psicologiche che stanno dietro alla scelta delle parole e così ho
pensato di rendere partecipi i lettori delle mie osservazioni per una miglior
comprensione tra i popoli sia con pandemia che senza. E proprio qui troviamo anche
la spiegazione della carta igienica.
Eccovi dunque una serie di Disquisizioni “sociallinguistiche”
sull’uso di ingiurie, invettive o semplicemente parolacce in latitudini
diverse.
Max Hamlet Sauvage "Fior di loto" 2020 |
Analisi
contrastiva, anche se certamente non esaustiva, tra l’italiano e il tedesco.
Che esista un divario tra Nord e Sud Europa per esprimere
rabbia, ira ed emozioni negative è appurato scientificamente e basta analizzare
la frequenza e l’uso di termini una volta considerati sconvenienti nel
quotidiano per rendersene conto.
Se ancora negli anni 70/80 una delle parole più offensive
in Finlandia era “perkele” equivalente di “diavolo” lo si può forse ricondurre
al fatto che i finlandesi, a differenza degli italiani, non erano avvezzi
all’uso dell’acqua santa e alle giaculatorie esorcizzanti in grado di mettere ko
qualsiasi diavolo si potesse parare davanti.
Per quel che riguarda i tedeschi, uno studio pubblicato
anni or sono confermava che, per quel che riguarda lo scambio di ingiurie, in
terra teutonica non era stata ancora superata quella che Freud definì la “fase
anale”. Ne fanno fede le espressioni “Arschloch”, (letteralmente buco del culo
termine offensivo rivolto a persone) “Leck mich am Arsch!” (leccami il culo)
“Arschgeige“ (paraculo) “Arschgesicht”(faccia da culo) “verarschern”(prendere
per il culo) e l’onnicomprensivo “Scheisse”
(merda), legate appunto allo stadio anale nella fase di sviluppo di ogni
individuo. Dal punto di vista semantico sono parole che potremmo definire “unidimensionali”
in quanto tutte riguardano l’organo della defecazione ritenuto sporco ed esprimono
sentimenti di ribrezzo e di disprezzo nei confronti di chi ha commesso qualcosa
di negativo verso qualcun altro.
Anche nell’italiano ci sono espressioni che ricordano la
fase anale, ma è già visibile nelle scelte linguistiche il superamento della stessa:
la parola “merda” chiaramente un prestito dal francese e diffusasi soprattutto
tra le più giovani generazioni esprime disappunto se usata in modo avverbiale o
disprezzo se usata come termine di paragone “sei una merda”, ma una signora
difficilmente ne fa uso. Più frequente “Stronzo” espressione di disprezzo
totale nei confronti di qalccuno. Se mettiamo a confronto l’italiano e il
tedesco vediamo che quest’ultimo descrive la parte anatomica come qualcosa di
sporco, mentre lo stronzo è il prodotto della defecazione, già espulso dal
corpo e osservabile quindi dal di fuori come oggetto di repulsione. Da
“stronzo” la parola “stronzata” con una connotazione di azione cattiva e
dispettosa a differenza della “cazzata” che è una stupidaggine.
Nell’italiano abbastanza frequenti anche le forme “fogna”
e “chiavica” come ricettacolo di lordure e le forme volgari come “va a cagare”
e la parola “cagata” che pare possieda, per chi la usa, e fortunatamente non
sono i più, una connotazione positiva quasi come “figata”, ma alle mie orecchie
suona molto più volgare. La connotazione positiva deriva probabilmente dal
sollievo che si prova dopo giorni di stipsi, come ben descrisse l’autore de “Il
male oscuro”.
Max Hamlet "Buon giorno mondo" 2020 |
“Culo” in italiano,oltre che all’offesa, si presta anche
ad associazioni positive come “bel culo” “culo da sposa” “Che culo!” per dire “che
fortuna!” dove il corrispondente tedesco sarebbe Schwein (maiale che è
considerato un portafortuna). Ormai internazionale è diventata la forma “va’ffa
n’culo”: a differenza di “Leck mich am Arsch” che vuole far leccare la propria
sporcizia all’avversario, è indice invece di un comportamento sessuale adulto,
anche se in origine con connotazione dispregiativa perché rimandava ad un
comportamento sessuale considerato ancora deviante. Esiste anche la variante
“Vai a farti fottere, come calco dal francese. Indica il disprezzo verso la
persona a cui l’ingiuria è rivolta. Altre forme analoghe nel tedesco sono
“Verpiss dich” e “Fick dich”, per altro espressioni molto volgari, soprattutto
la seconda: (pisciati via e chiavati). Equivalente invece di Arschgeige è
“leccaculo” e di “verarschen” è “prendere per il culo”.
L’italiano sostanzialmente si muove, psicoanaliticamente
parlando, all’interno della fase edipica, cioè quella di una sessualità più sviluppata
legata all’uso di parole che definiscono gli organi genitali maschili e
femminili, usandoli per esprimere nel quotidiano oltre che rabbia, anche
sensazioni positive come stupore e meraviglia. Le espressioni idiomatiche e i
neologismi derivatene sono innumerevoli e non trovano alcun corrispondente nel
tedesco anche perché considerato il registro linguistico possiamo dire che
l’uso di Arschloch, Fotze, (figa) Eier (coglioni) o del verbo ficken (chiavare)
sono estremamente volgari e una ragazza o una signora, se non si trova proprio
in una situazione al limite, non li usa nel normale quotidiano, mentre cazzo e
figa sono accettati. Per i bambini più piccoli in italiano si usa il termine
“uccellino” e per quelli più grandicelli o nei dialetti anche il termine
“uccello” che il tedesco riprende in forma verbale con “vögeln”. (Vogel =
uccello).
Senza corrispondente invece sono le parole come
“cazzeggio/cazzeggiare”, “cazzata”, “testa di cazzo”, “incazzarsi”, “scazzo” “incazzatura”,
oppure “che cazzo vuoi/fai/dici?” parole che si sono inserite nel linguaggio
parlato quotidiano e non scandalizzano più nessuno. Forse la più antica di loro
è “testa di cazzo” lemma molto interessante perché il binomio ha in comune la
funzione procreativa, di generare pensieri, idee, l’una; e figli, l’altro.
Molti anni fa circolava tra i giovani adolescenti, alle prese con la mitologia
latina la seguente “domanda” che pretendeva una risposta esatta a rigor di
logica: “Minerva è nata dalla testa di Giove, cosa si deduce da questo fatto?
Che Giove aveva una testa di cazzo”. Oggi alle scuole Medie non si fa più
latino come un tempo e probabilmente questo detto è oggi “out”.
In ogni caso la connotazione sottintesa e comune a tutte
le forme derivate da cazzo è quella di stupidaggine, scemenza, o comunque
qualcosa di superficiale e privo di spessore, quindi negativa. Un lemma che si
è fatto strada nell’italiano ordinario, ma di provenienza sicula, diffusosi
grazie ai filmati televisivi del Commissario Montalbano, celebre personaggio creato
dallo scrittore Andrea Camilleri è “minchia” sinonimo di cazzo e da qui anche
il sostantivo “scassaminchia” che trova nel Norditalia il suo pendant in
“rompiballe o scassamaroni”.
Nonostante l’origine di “minchia” venga collegata sempre
al Suditalia, non dimentichiamo che anche nell’italiano standard e anche in
dialetti del Norditalia esiste l’aggettivo sostantivato “minchione”, cioè una
persona non particolarmente dotata che si lascia facilmente imbrogliare, in
tedesco paragonabile al “Dorfdepp”.
L’altro attributo sessuale maschile sono i testicoli per
i quali l’italiano ha una serie di sinonimi anche fantasiosi dagli “zebedei”
dal sapore biblico, ai “maroni” adatti per i vegani, ai “coglioni” presenti
anche nel francese e nello spagnolo, alle famigerate “palle” di fascistoide
memoria, di grandi dimensioni, che dovrebbero essere, come il gesto che spesso le
accompagna, grosse così. Si usano per esprimere sentimenti di noia o come
sinonimo di forza, coraggio e virilità. Come forma idiomatica spesso abbreviata
“non rompere” sottinteso appunto maroni, coglioni palle e zebedei, cioè non
infastidirmi/annoiarmi oltremodo. Inoltre, come sostantivi Spaccamaroni e Rompipalle.
A dispetto della superiorità della razza così diffuso in
terra teutonica il termine della lingua parlata per “Hoden” (testicoli) è
“Eier”, cioè uova e a me, tedesca non di
nascita, ma di adozione, la prima associazione che fanno venire in mente è
quella della frittata, pur non dimenticando che in Germania le uova vengono
etichettate e prezzate a seconda della grandezza, oltre che ad attributi vari
se cioè sono di batteria, di campagna o biologiche, cosa del tutto avulsa dalla
funzione fisiologica di cui sopra. Insomma a me le uova non appaiono mai con
una connotazione di virilità, anzi in tedesco si sottolinea, scegliendo appunto
il termine “Eier” la loro dimensione di fragilità. Basti pensare alle conseguenze
dolorose di un “Tritt in die Hoden” cioè di un calcio nelle palle, espressione
che anche nell’italiano si usa per esprimere un gesto punitivo. In ogni caso
nella mia mente italiana vale il binomio uova/ frittata e questo richiama
sempre alla memoria una qualche fallimentare “ejaculatio praecox”.
Un’altra espressione gergale e volgare che considera i
cosiddetti nel loro insieme è la parola Sack, (sacco) forma abbreviata di
Hodensack. Molto diffusa tra i giovani la forma “er/sie/es geht mir auf den
Sack” indica che una persona o una cosa - per esempio una conferenza -annoia/infastidisce,
in altre parole ci sta sulle palle.
Interessante direi la differenza nell’uso del verbo di
accompagnamento dei cosiddetti, che mentre in italiano è statico (stare)
indicante quindi una stabilità di partenza, in tedesco si usa un verbo di moto
come gehen/fallen (andare, cadere) denotante la loro sensibile reattività.
Altrettanto interessante è l’espressione italiana “con le
pive nel sacco” esprimente una delusione, un’operazione fallita e non portata a
termine.
Max Hamlet "La diva" 2020 |
Probabilmente per interferenza mental-linguistica, mi
sono chiesta se forse questa espressione potesse avere un arcaico risvolto
sessuale, ma le mie ricerche, nonostante la piva sia il piffero, cioè uno strumento
che potrebbe ricordare il fallo e il sacco sia un’immagine che, sempre al
condizionale, potrebbe far pensare all’anatomia maschile, non ho trovato altro
che il richiamo all’uso di questo strumento in guerra che serviva a segnalare
la disfatta e quindi a battere la ritirata.
Il riferimento sessuale non viene preso in considerazione
neppure dall’enciclopedia Treccani, dobbiamo quindi desumere che si tratti quindi
di una analogia casuale, o almeno finora mai presa in considerazione.
L’organo genitale femminile “figa “ha invece un’accezione
sempre positiva, spesso accompagnata dall’aggettivo bella e si usa oggi
comunemente per indicare una donna piacente ed erotizzante, insomma, quella che
i maschi emiliano-romagnoli definiscono anche “una bonazza”
Anche se, femministicamente parlando, dissento dall’uso
di questi termini, è pur vero che sono entrati nel linguaggio comune maschile, non
solo per un aumento dilagante della mancanza di rispetto nei confronti del
genere femminile, ma perché ormai privi della loro oscenità. Essi rimangono
comunque legati a qualcosa di piacevole.
Del resto la mancanza dell’attributo femminile per
eccellenza è chiamato sfiga. Visto che la consonante “s” esprime mancanza, dobbiamo
convenire che la sua presenza davanti a figa esprime la sfortuna per
antonomasia.
I sinonimi per l’organo genitale femminile variano
regionalmente, di solito legati al mondo della flora e della fauna, come per esempio
la prugna, (dialettale emiliano-romagnolo antico “brogna”) oppure la “passera”
o “passerina”.
Interessanti invece gli aggettivi usati per i maschi, ma
derivati da figa per indicare qualità positive come l’aggettivo sostantivato
Figo (da non confondersi col giocatore della nazionale portoghese di vari anni
fa e che peraltro corrispondeva appieno all’attributo “Un gran bel figo”. In tedesco l’equivalente è “Ein toller Hecht”
forse usato per la velocità con cui questo pesce (il luccio) guizza nell’acqua
e ricorderebbe un fallo evoluto che distribuisce i suoi spermatozoi. Ancora gli
aggettivi “fighetto”, “fighino” “fighissimo/a” e il sostantivo “figata”, tutti
positivi, anche questi senza corrispondente in tedesco, che ripiega per “fighissima/o
figata” a neologismi come “mega” e “super”.
Per l’organo genitale femminile il tedesco a seconda del
registro linguistico usa vari nomi da “Muschi” usato anche in senso affettuoso,
a “Möse” ai piú asettici Scheide e Vagina e al volgarissimo Fotze.
Interessante è anche nel tedesco la presenza di vari
sinonimi laddove l’italiano ne usa in pratica solo due: “fare l’amore” e
“scopare” in onore della vecchia scopa di saggina la cui forma richiama
effettivamente un’unione carnale tra il “manico” (altro sinonimo regionale di
fallo) e la scopa di forma lontanamente somigliante, soprattutto pensando al
passato quando non esisteva la moda della depilazione completa, all’organo
femminile. Esiste anche il verbo “trombare” che richiama il movimento della
tromba, o di una pompa (arcaico anche tromba) per l’estrazione dell’acqua e il
travaso del vino. Ritengo che l’uso di questo termine sia solo maschile, data
la sua accezione volgare e altrettanto volgare è chiavare.
In tedesco si passa da un casto “zusammenschlafen” cioè
dormire insieme e buonanotte… ad un affettuoso “schmusen” (pomiciare) per
arrivare al già citato “vögeln”, al piú rumoroso “bumsen” e al volgarissimo
“ficken” (chiavare). La forma “Fick dich” viene spesso usata dalle ragazze per
allontanare le avances di un uomo sfacciato, Corrisponde più o meno a “chiavati
te…”
Non potendo essere esaustiva in questa analisi per quel
che riguarda i termini dialettali, ricordiamo quindi solo quelli che godono di
un minimo di notorietà oltre i confini regionali vale a dire il genovese
“belin”, il veneziano “mona” e il bolognese “soccmel”. Quest’ultimo non si limita
ad indicare l’organo sessuale, ma evoca direttamente il godimento orale.
Nella stessa Italia il turpiloquio assume aspetti sempre
più folcloristici passando da Nord a Sud, e a Roma e Napoli le ingiurie tra
automobilisti offrono a volte una panoramica unica di saggezza e arguzia
popolare o comunque di una fantasia ineguagliabile tirando in ballo parenti
anche quelli più stretti e pure i defunti.
In Germania invece la varietà linguistica degli insulti è
decisamente più limitata e fa capo sempre alla parola Arschloch a dimostrazione
che la fase anale non è mai stata superata. Del resto in Germania anche il bidè
è praticamente inesistente a riprova di quanto sostenuto.
Non stupisca dunque che in tempo pandemici la carta
igienica sia andata a ruba.