di Giorgio Riolo
Giorgio Riolo |
La
prima parte di questo lungo saggio è apparsa sulla prima pagina di “Odissea” di
ieri, martedì 12 maggio 2020. Riproduciamo il link in rosso per facilitarne la
lettura.
Riolo prima parte
Seconda
parte
7.
Le alternative
Il
campo delle alternative è molto vasto. Molte si sono delineate nella lunga
esperienza dei movimenti antisistemici novecenteschi e nell’esperienza dei
Forum Sociali Mondiali. In questo passaggio altre debbono essere considerate a
misura della peculiarità della crisi attuale. La ricerca è in corso e qui si
indicano solo alcune.
Evidentemente
esistono varie opzioni. Un tempo si diceva “programma massimo” e “programma
minimo”. Tra “One solution, Revolution!” e modeste proposte riformistiche,
tuttavia importanti negli effetti, esiste una vasta gamma di possibilità di
azione per chi vuole essere protagonista di un cambiamento. Anche solo per
garantire dignità umana alle vittime del sistema e per garantire dignità alla
natura e agli ecosistemi in cui gli umani si trovano a vivere.
1. In primo luogo. Una
premessa metodologica. Un conto è l’intervento umano nell’autonomo corso dei
processi naturali. Come l’agricoltura e l’allevamento (la cosiddetta
rivoluzione neolitica) all’origine dello sviluppo della civiltà. Nella quale,
solo per esempio, gli umani interagirono assiduamente con gli animali selvatici
per addomesticarne alcuni. E da qui il passaggio di molti agenti patogeni da
animali selvatici ad animali domestici e infine all’uomo. Agenti patogeni di
Tbc e vaiolo, passati attraverso i bovini, sono gli esempi storici classici.
Ma
la febbrile manomissione dei delicati equilibri degli ecosistemi, almeno dal
Novecento in avanti, è foriera di sempre più gravi epidemie. Ricordando che
molti virus, come il presente Coronavirus, mutano velocemente. E l’inseguimento
con vaccini e con medicine appropriate per curare le malattie si rivela una
corsa senza fine.
Veramente.
La figura che si impone è quella dell’apprendista stregone che non è più in
grado di dominare gli spiriti che ha evocato. In questo contesto, come nel
contesto più vasto della scommessa faustiana del capitalismo smisurato e
illimitato. Prevenire è meglio che curare.
2. La biodiversità è
garanzia di sopravvivenza per tutte le forme di vita, compresa quella umana,
nel pianeta. Ogni giorno circa 200 specie del vivente vegetale e animale sono
costantemente minacciate di estinzione. Tra queste specie, le api, vero
baricentro vitale nel pianeta.
3. Nella transizione
ecologica e sociale, in campo ci sono le proposte praticabili del “Green New
Deal”, avanzate nel febbraio 2019 dai candidati democratici statunitensi Bernie
Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. Il fine è quello di affrontare al contempo il
cambiamento climatico e le sue conseguenze e l’ineguaglianza economica e il
disagio sociale.
L’altra
proposta, più radicale, viene dalle riflessioni dell’ecosocialismo. Un filone
molto importante in cui sono impegnati molti marxisti da Michael Löwy a John Bellamy Foster,
direttore della rivista Usa Monthly Review.
4. La piccola agricoltura
contadina di sussistenza sostiene e sfama più di metà della popolazione
mondiale. L’agrobusiness della agricoltura altamente meccanizzata e altamente
tossica, per lo smisurato uso di prodotti chimici, impoverente campi e qualità
dei prodotti agricoli, è comunque dominante. I contadini intorno al mondo non
hanno il potere di influenzare i governi come le potenti lobby della
agricoltura industriale, della chimica (Monsanto-Bayer e il glisofato sono gli
emblemi sinistri di questa agricoltura), della distribuzione e
commercializzazione degli alimenti ecc.
Nella
transizione ecologica su scala planetaria questa visione dell’agricoltura deve
essere fermamente tenuta in considerazione.
Nei
Forum Sociali Mondiali i movimenti contadini costituivano la maggioranza dei
movimenti sociali su scala mondiale.
5. Gaël Giraud, nel suo importante
contributo, ha ripreso la questione dei “beni comuni”. Giustamente egli dice
che il tema dei beni comuni può rappresentare un salutare tertium tra
Stato e mercato. E adesso è l’occasione, proprio a misura della bancarotta del
mercato e del neoliberismo, di porre all’ordine del giorno la questione.
La
questione dei beni comuni è stata centrale nella rivendicazione del movimento
altermondialista. Acqua, terra, sementi, energia, saperi ancestrali delle
comunità e delle culture umane, istruzione, scuola ecc. Contro la
privatizzazione, contro brevetti e proprietà intellettuale indebiti, contro la
mercificazione generalizzata ecc.
6. I beni comuni pongono
immediatamente la questione del controllo democratico di questi beni e quindi
quale sistema politico e istituzionale costruire. “Stato” può anche significare
istituzioni democratiche che le comunità locali si danno per soddisfare i
propri bisogni. Sempre nel contesto più vasto, e in sintonia, con le istanze
statali.
La
democrazia liberale rappresentativa che conosciamo non basta più. Esposta al
logoramento e alla manipolazione continua dei dominanti, in Italia per mezzo
del clientelismo, del voto di scambio, della corruzione ecc.
È
una delle fonti del distacco, della crescente separatezza tra élite e popolo,
tra governanti e governati, tra classi dirigenti e gli strati sociali (i
cittadini e le cittadine). L’abitudine alla delega e alla correlata
passivizzazione, molto presenti in Italia, dovrebbe essere contrastata
dall’abitudine al protagonismo, alla partecipazione diretta, all’acquisizione
di capacità culturali e politiche per diventare fattori attivi nella società
civile e nell’arena politica.
Il
cammino intrapreso dal movimento altermondialista è stata quella della
“democrazia partecipativa”. A mezzo tra democrazia rappresentativa e democrazia
diretta. È l’occasione per riprendere questo cammino.
7. Il “lavoro” è
un’astrazione. È importante per designare un grande mondo fatto di donne e
uomini che si impegnano, faticano, costruiscono società, cultura, politica,
solidarietà. Negli anni del neoliberismo, è stato umiliato, svalorizzato, frantumato.
Nella
concretezza storica e sociale, tuttavia, al suo interno esistono articolazioni,
differenziazioni, scissioni, contraddizioni.
Un
esempio. Il lavoro dipendente pubblico è altra cosa dal lavoro dipendente
privato. E in questi giorni la differenza si fa sentire. È un problema storico.
La solidarietà tra questi mondi è stata molto difficile. Sindacati, partiti,
organizzazioni della sinistra hanno sempre cercato di tenere solidali questi
mondi.
Dalla
concreta realtà del lavoro occorre partire per proporre soluzioni a favore
delle lavoratrici e dei lavoratori.
8. Si ripresenta ed è
veramente il momento per rilanciare la vecchia parola d’ordine “lavorare tutti,
lavorare meno”. Riprendere la questione della riduzione per legge della
giornata lavorativa. Riprendere la parola d’ordine delle 35 ore settimanali.
Fattore
storico di civiltà per le classi subalterne, dalla rivendicazione delle 10 ore
dei Cartisti inglese a metà Ottocento, alle 8 ore del movimento operaio,
socialista e comunista, dalla Seconda Internazionale in avanti.
Nel
nostro tempo la questione era comunque matura a misura dell’enorme aumento
della produttività, delle “forze produttive”. Grazie all’automazione, a
macchine e a processi di lavoro sempre più perfezionati. Robot, informatica avanzata
ecc. rendono possibile ottenere merci e prodotti con minor dispendio di lavoro
rispetto al passato.
L’unica
citazione che mi permetto qui. Ma è potente il pensiero e il retroterra morale
e intellettuale che hanno ispirato queste righe
“Presupposta
la produzione sociale, rimane naturalmente essenziale la determinazione del
tempo. Meno è il tempo di cui la società ha bisogno per produrre frumento,
bestiame, ecc. tanto più tempo essa guadagna per altre produzioni materiali o
spirituali. Come per il singolo individuo, così per la società la totalità del
suo sviluppo, delle sue fruizioni o della sua attività dipende dal risparmio di
tempo. Economia di tempo - in questo si risolve infine ogni economia”. È Marx,
nei famosi Grundrisse.
La
ricchezza sociale è assicurata, anzi aumenta. Occorre redistribuire bene questa
ricchezza. Niente di rivoluzionario. È la classica mossa riformistica. La
riduzione della giornata lavorativa a parità di salario è quindi sacrosanta
rivendicazione. E adesso è proprio il momento. Quando occorre ovviare alla
enorme disoccupazione che si sta creando a causa della pandemia e della crisi.
Solo
che tutto ciò investe solo una parte del lavoro dipendente. Rimane fuori il
vasto mondo del lavoro del settore informale, del lavoro in nero, del lavoro
autonomo di seconda e terza generazione (le partite Iva fasulle, in realtà
lavoro dipendente, precarizzato, gerarchizzato, svalutato). Rimangono fuori
migranti, badanti e tutte le varie figure miste, molte le donne, non
collocabili precisamente.
Da
tenere presente tutto ciò. Per trovare soluzioni per questo vasto mondo.
Partendo comunque proprio dalla grande parola d’ordine “lavorare tutti,
lavorare meno”.
9. Gli stili di vita e come
si consuma rientrano nel campo delle alternative. François Houtart, nell’ultima
parte della sua vita, lavorava a perfezionare un “Manifesto del bene comune
dell’umanità”. Nella visione di cui sopra.
Insisteva
molto sulla divaricazione-contraddizione tra “valore d’uso” e “valore di
scambio”. La sfrenata tendenza al consumismo, almeno nel Nord del mondo, molto
da considerarsi “consumismo compensativo”, di altre mancanze, di altro “senso
della vita”, di altra gratificazione, morale e intellettuale, anche nei luoghi
di lavoro, è nella logica del sistema.
Il
mirare al “valore d’uso” delle merci e degli oggetti contrasta la “obsolescenza
programmata” dei prodotti, evita sprechi e risparmia lavoro sociale. Che
potrebbe andare a beneficio di altri settori, della cura, della cura del
territorio, della cultura, della ricerca ecc.
Infine,
Houtart rifletteva sulla possibile conciliazione di antropocentrismo e di
biocentrismo, di uomo e natura.
10. Le famose 3R (Ridurre
Riutilizzare Riciclare) costituiscono le parole d’ordine che cercano di frenare
lo spreco e il consumismo di cui sopra. Sempre per liberare tempo e lavoro
sociale da dedicare ad altre sfere, anche della produzione, per uno sviluppo
riproducibile del sistema e per contrastare il malsviluppo.
11. Il capitalismo italiano e
le sue famiglie di riferimento hanno storicamente teso a incamerare i profitti,
come ricchezza personale, lasciando poco per investimenti, per allargare la
produzione e per innovare.
Un
solo esempio. La famiglia Riva ha rilevato l’Ilva di Taranto. Negli anni invece
di procedere alla riconversione energetica e ambientale, all’innovazione, come
avveniva nelle acciaierie di mezzo mondo, e come richiedeva la nuova
consapevolezza dei danni ambientali e dei danni alla popolazione coinvolta, ha
tesaurizzato portando la propria ricchezza all’estero. Si parla di circa 1,5
miliardi di euro. La stessa cifra che occorreva per riconvertire gli impianti e
per bonificare le aree profondamente inquinate. Per cancellare la terribile
alternativa per i lavoratori Ilva e per gli abitanti di Taranto tra salvare i
posti di lavoro e avere vita e salute, oltre le molte morti e le molte malattie
che la presenza dell’Ilva comportava.
12. Il risparmio privato
italiano, famiglie e imprese, è enorme. Si parla di circa 4.200 miliardi di
euro. Molta parte investita in titoli e obbligazioni. Ma molto di questo
risparmio è inoperoso. Lo si potrebbe “mobilizzare” in questa fase storica. Con
titoli di stato a interesse contenuto.
Nel
patrimonio della sola Cassa Depositi e Prestiti si trovano inoperosi miliardi
di euro. È controllata in grande parte dallo Stato, dal Ministero dell’Economia
e delle Finanze e in minima parte da alcune fondazioni bancarie. È la terza
istituzione bancaria dopo Unicredit e Intesa Sanpaolo.
Oltre
a soccorrere le imprese in difficoltà, molti fondi potrebbero essere utilizzati
per creare nuovi posti di lavoro. Per avviare un nuovo “piano del lavoro”,
nella logica del New Deal di cui più avanti. Per opere di bonifica territoriale,
di creazione di infrastrutture, di rifacimento e manutenzione di strade, ponti,
ferrovie ecc. a distanza di 60-50 anni di usura (Ponte Morandi). Ma anche per
creare infrastrutture digitali, così carenti in Italia.
Il
presupposto è, come dicono molti, un nuovo “patto sociale”, a misura
dell’emergenza in corso. I “sacrifici” non debbono farli i soliti, le classi
subalterne, i più deboli.
Questa
ricchezza accumulata dovrebbe entrare in circuito per risolvere problemi
contingenti, ma anche per creare i presupposti per una “ripartenza” migliore,
foriera di sviluppi promettenti, socialmente e ambientalmente.
13. Infine la medicina e la
sanità. È l’occasione per riordinare e riorientare la sanità italiana. Con i
relativi finanziamenti e le relative risorse.
Contro
la visione ospedalocentrica e farmacocentrica. Orientata al profitto per i
soliti noti. Porre la centralità nella medicina di base, nella medicina del
lavoro, nella medicina sociale, nei presidi territoriali di primo livello.
Porre la centralità nella programmazione e nella pianificazione, parole
spiacevoli per i neoliberisti.
Totalmente disattese recentemente, malgrado che l’Organizzazione
Mondiale della Sanità avesse avvertito negli anni scorsi che una pandemia era
prevedibile e invitasse a predisporre le misure per non trovarsi impreparati.
14. La sacrosanta Legge 180,
voluta da Franco Basaglia, considerata nel resto del mondo come una legge
pionieristica e da imitare, è stata nel tempo vanificata. Mai totalmente
applicata nella sua interezza. Invece di creare solide strutture territoriali
per i malati di mente e per le loro famiglie, invece di ampliare i Centri
Psico-Sociali (Cps), gli stessi Cps sono progressivamente smantellati. Con
paurosa mancanza di psichiatri, infermieri e assistenti sociali. Spesso non
adeguatamente formate queste figure per assolvere al difficile compito.
I
malati di mente, il disagio psichico e psichiatrico, sono sempre più in aumento
in una società contemporanea difficile, ineguale, poco votata alla solidarietà
e al legame sociale e al legame comunitario.
15. Nel trionfo della
medicina cosiddetta “convenzionale”, improntata a uno scientismo positivistico,
più curativa che preventiva, specialistica ad oltranza, occorre ridare dignità
ad altre medicine. Al netto di tanti ciarlatani, di maghi e maghe curatori e
curatrici, di stregoni “alternativi” ecc., un mondo di saperi e di sapienza
curativa viene da queste medicine, molte con radici in storie e culture
millenarie.
Miranti
a una visione olistica dell’essere umano, come unità biopsichica, tutte miranti
a prevenire più che a curare. Miranti al benessere psicofisico, in armonia con
la natura e con l’ambiente. Miranti a rafforzare le difese immunitarie. Sistema
immunitario così minacciato dai vari inquinamenti di cui sopra e da una
alimentazione scorretta, foriera di ulteriori malattie.
16. In questo quadro, l’alimentazione
sana è fondamentale e un’agricoltura orientata a produrre cibo buono, in
qualità, e non solo unicamente in quantità, è il fondamento di una prevenzione
che inizia dalla tavola e dalla vita quotidiana. Il consumismo e la
manipolazione pubblicitaria la fanno da padrone.
Si
potrebbero prevenire malattie oncologiche e cardiovascolari, il diabete,
l’obesità, l’enorme diffusione delle allergie ecc. Tante risorse, finanziarie e
non, si potrebbero risparmiare se il sistema sanitario mirasse a una seria educazione
alimentare. A scuola e nel resto della società.
17. Un solo esempio a
proposito del cibo come arma da controllare e su cui trarre enormi profitti.
Ciò interessa molto le popolazioni delle periferie del mondo. Soprattutto in
questa fase di crisi acuta. Ma teniamo presente che questo è il “normale” corso
dei rapporti mondiali.
Ogni
anno, a causa dell’agrobusiness, il 25% circa dei prodotti agricoli viene sprecato.
Il sistema perverso determina il fatto che venga sprecato circa un terzo del
cibo, dai campi alla pattumiera delle case dei paesi ricchi. Il riso, il
frumento, il mais, i cereali fondamentali per l’alimentazione umana nel mondo,
soprattutto per le popolazioni povere, sono soggetti alle speculazioni di
grandi gruppi finanziari presso la Borsa di Chicago. Qui si creano enormi
profitti con la sola contrattazione dei cosiddetti “certificati”, dei “futures”
ecc. Tutto ciò senza il minimo riferimento alla materialità dei cereali stessi.
La
follia speculativa, astratta, “alienata”, com’è “alienato” questo mondo.
Contrattazioni finanziarie speculative e prezzo a Chicago e la realtà terribile
se un bambino o una bambina in una favela in Perù o in uno slum in India riesce
a mangiare o meno.
Conclusione
1. Le alternative delineate
implicano un nuovo patto sociale. Un New Deal, come semplice evocazione. Con
caratteri peculiari nel nuovo contesto contemporaneo. Come nuovo “compromesso
socialdemocratico” unito a una necessaria transizione ecologica. Questo,
pertanto, diventa un “Green New Deal”. Sacrosanto, ultimativo.
Tuttavia,
malgrado la ragionevolezza moderata di tale programma, è probabile che la gran
parte delle oligarchie finanziarie e industriali che oggi dominano il mondo,
attraverso organismi sovranazionali, Unione Europea inclusa, e governi nazionali,
non si rassegnino a riconsiderare tutto. Al di là delle lodevoli eccezioni di
alcuni ambienti intelligenti del capitalismo o dei vari capitalismi su scala mondiale.
Ricordando sempre che non esiste il “grande fratello”, ma esistono piuttosto
differenti capitalismi e vari dominanti, anche in conflitto tra loro. Esiste
invece la logica perversa e impersonale dell’accumulazione e della
massimizzazione dei profitti. Costi quel che costi. Anche se sono persona in
carne e ossa a diventare miliardari, come gli 8 super ricchi che possiedono
tanta ricchezza come 3,6 miliardi di persone del resto del mondo.
C’è
il pericolo reale che “dopo di noi il diluvio”. Il disagio sociale e la fame in
alcune aree del mondo, anche dalle nostre parti, nel nostro Sud, per esempio,
possono sfociare in rivolte caotiche e pericolose. I settori dominanti
intelligenti darebbero risposte intelligenti a questo stato di cose. Il
riflesso condizionato di molti altri settori dominanti è lo stato di polizia,
se non peggio.
È
responsabilità delle forze antisistema, anche semplicemente democratiche, di
dare senso e orizzonte a questi movimenti spontanei, qualora sorgessero. E la
soluzione è sempre la sintesi di organizzazione, lotta quotidiana, politica,
cultura, scelta etica.
2. Cultura e scelta etica.
La consapevolezza che il sistema è mondiale, immediatamente e non per
astrazione. Che occorre il “pensiero planetario”, invocato a suo tempo da padre
Ernesto Balducci, come grado minimo, come primissima base, per un discorso
serio e sensato sul mondo.
Che
tutto cambia a misura della prospettiva con cui si guarda il mondo. E così si
cerca di sfuggire all'eurocentrismo, al colonizzatore e all'imperialista che
era ed è in noi. E molta sinistra questo non lo faceva e tuttora non lo fa e si
cercava e si cerca di guardare il mondo “dal rovescio della storia” (Teologia
della Liberazione). Di guardare con gli occhi dei popoli vessati, depredati,
umiliati dal colonialismo prima e dall’imperialismo poi. Tutto cambia,
ripetiamo, se si guarda dal “rovescio della storia”.
3. In gioco è sempre
“l’orizzonte delle alternative”. Al neoliberismo, al capitalismo,
all’imperialismo, al razzismo, al sessismo. Dalle lotte operaie dell’Ottocento
ai movimenti antisistemici del Novecento, ai Forum Sociali Mondiali, alle
organizzazioni sociali e politiche della sinistra mondiale del nostro tempo.
[Milano,
10 maggio 2020]