di Franco Astengo
Palazzo Lombardia sede della Regione |
Essendo
previste nella Costituzione della
Repubblica Italiana,
il 31 gennaio 1947 la seconda
sottocommissione della Commissione per la
Costituzione,
aveva stabilito che le nuove Regioni sarebbero dovute essere 22: Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia, Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Salento, Lucania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta.
Tuttavia,
il testo coordinato dal comitato di redazione prima della votazione finale in Assemblea e distribuito ai deputati
il 20 dicembre 1947 all'articolo 31 recitava:
«Sono
costituite le seguenti Regioni: Piemonte; Valle d'Aosta; Lombardia; Trentino-Alto Adige; Veneto;
Friuli-Venezia Giulia; Liguria; Emilia-Romagna; Toscana; Umbria; Marche;
Lazio; Abruzzi e Molise; Campania; Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna»
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Rispetto
alla bozza il numero delle regioni era sceso a 19: era stato mutato in
Basilicata il nome della Lucania, il Salento era stato inglobato nel
resto della Puglia, si accorpavano l'Emilia con la Romagna e l'Abruzzo con il Molise.
La
costituzione delle stesse ebbe però luogo solo successivamente con la le legge
16 maggio 1970, n. 281 e dal relativo regolamento di attuazione, il DPR 15
gennaio 1972, n. 8, i quali decretarono l'istituzione vera e propria delle
regioni italiane come enti territoriali. In particolare, il DPR 8/1972 regolò
le modalità operative del trasferimento delle funzioni amministrative statali
alle regioni a statuto
ordinario.
Le regioni quali enti pubblici parzialmente autonomi con
la Costituzione della
Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1º gennaio 1948, che, agli articoli 114 e
115, prevedeva infatti:
«La
Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni.»
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«Le
Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo
i principî fissati nella Costituzione.»
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Il
Friuli e la Venezia Giulia furono accorpati nella
regione Friuli-Venezia Giulia, mentre gli Abruzzi e il Molise furono accorpati nella
regione Abruzzi e Molise. Nel 1963 con l'approvazione di
un'apposita legge di modifica costituzionale in deroga all'art. 132 grazie a
una disposizione transitoria che aggirava il limite del milione di abitanti e
il referendum tra i cittadini interessati, sarebbe stata concessa l'autonomia al
Molise. La regione Abruzzi e
Molise venne di nuovo scorporata nelle due regioni Abruzzo e Molise portando così a venti il
numero attuale delle regioni.
A
cinquant’anni di distanza il sistema politico italiano sta attraversando una
fase di vera e propria “crisi verticale”, caratterizzata dall’assenza di
rappresentatività, dalla necessità di una rilegittimazione complessiva dei
soggetti che lo compongono e dalla presenza di fortissime tensioni sia al
centro, sia nel rapporto centro/periferia, come ben dimostrato nel corso di
questa drammatica fase di lock down.
Nel frattempo è stato soltanto accantonato il caso
della cosiddetta “autonomia differenziata” richiesta da alcune regioni
italiane, governate sia dalla Lega sia dal PD.
Un
altro segnale di contraddizione stridente e di crisi.
Adesso è il caso di affrontare più direttamente il
punto politico, partendo proprio da una valutazione della già richiamata
gravissima crisi istituzionale che sta presentandosi all’interno del sistema
politico italiano, sia sul fronte – appunto – dell’assetto interno, sia della
politica estera.
All’interno
di questo quadro di grandissima difficoltà si distingue un vero e proprio “buco
nero” rappresentato dal fallimento dell’ipotesi di decentramento dello Stato
imperniato sull’Ente Regione.
Un’ipotesi
di decentramento dello Stato che sotto la denominazione già ricordata di “autonomia
differenziata” oggi è affrontato proprio dalle Regioni economicamente e
socialmente più forti, esattamente alla rovescia rispetto a ciò che servirebbe.
Attilio Fontana Presidente Regione Lombardia |
È già stato ricordato come la nascita delle Regioni,
prevista nella Costituzione e poi fortemente richiesta dalle sinistre, in
particolare nella fase del primo centrosinistra negli anni’60, e fortemente
ritardata dalla DC per timore che il Partito Comunista dimostrasse, in quel
modo, la propria capacità di governo fu realizzata soltanto all’inizio degli
anni’70 (diversa ovviamente la storia delle Regioni a Statuto Speciale): le
prime elezioni per i Consigli Regionali si svolsero, infatti, il 7 Giugno del
1970.
Gli
elementi portanti della crisi attuale sono sorti, principalmente, nel corso
della legislatura 1996-2001 con il centrosinistra al governo del Paese,
attraverso l’adozione di due provvedimenti rivelatisi del tutto esiziali:
l’elezione diretta del Presidente (da allora denominato da una stampa di basso
profilo come Governatore) e il cedimento alle istanze “storiche” della Lega
Nord attraverso la modifica (tecnicamente sbagliata e approvata dalla sola
maggioranza) del titolo V della Costituzione realizzando così una sorta di né
carne, né pesce tra decentramento e devolution.
La
forte spinta che la Lega Nord aveva portato fin dalla fine degli anni’80 prima
sul terreno della “secessione” e dell’indipendenza e poi della “devolution”
aveva così portato la sinistra, in particolare quella ex-PCI, a tradire la
propria solida tradizione autonomistica che pure, negli anni’70 del XX secolo,
alla guida delle più grandi città aveva dato prova di “buon governo”.
Una
fase di vero e proprio cedimento e subalternità culturale chiusasi con
l’affrettato cambiamento del titolo V della Costituzione (2001), preceduto
appunto dalla modifica del sistema elettorale.
L’elezione diretta del Presidente della Regione e la
modifica del titolo V della Costituzione hanno rappresentato gli elementi
portanti di un fenomeno di tipo degenerativo che oggi si presenta in tutta la
sua gravità: quello della trasformazione dell’Ente Regione dalla funzione
legislativa e di coordinamento amministrativo a soggetto esclusivamente adibito
a compiti di nomina e di spesa oltre che di propaganda politica spicciola e di
deteriore incremento del meccanismo di personalizzazione della politica.
Personalizzazione della politica riservata, in
questo caso, a personaggi degni al massimo di una valutazione di “aurea
mediocritas” se non di tendenza verso la “questione morale” com’è capitato nel
corso degli anni anche nelle due regioni più importanti dopo essere esplosa in
Liguria fin dagli anni’80.
L’elezione
diretta del Presidente di Regione ha, infatti, finalizzato per intero
l’attività dell’Ente al progetto di rielezione dell’uscente oppure di un suo
delfino favorendo l’elargizione a pioggia delle risorse, distribuendo le nomine
per vie neppure partitiche ma di corrente o di “cerchio magico”, esaltando la
logica di scambio all’interno stesso dell’Ente.
Hanno
poi fatto registrare un fallimento clamoroso quei comparti affidati per intero
alla gestione regionale: in particolare la sanità e i trasporti.
L’andamento
della vicenda dell’emergenza sanitaria esplosa nel 2020 ha, se possibile,
rafforzato questo giudizio negativo.
Nella
sanità, attraverso il cedimento generalizzato verso un modello di
privatizzazione naturalmente fortemente speculativa, si è elevato alla massima
potenza il deficit, i servizi sono paurosamente calati di qualità, il
clientelismo è stato elevato vieppiù a sistema.
Degli effetti della privatizzazione nella
sanità se ne sono bene accorti sulla loro pelle gli operatori di prima linea
nel corso di questi drammatici due mesi appena trascorsi.
Fattori
non esclusivamente legati alla conduzione delle Regioni hanno inoltre
determinato un ulteriore allargamento delle disuguaglianze sociali in diverse
parti del Paese ed è questo un punto d’intervento politico completamente
trascurato e che si sta pensando di risolvere con un rilancio in grande stile
dell’assistenzialismo.
L’assistenzialismo
si è confermato nella storia d’Italia il motore più forte di aggregazione del
consenso, come dimostra la parabola del movimento che nel 2018 ha addirittura
ottenuto la maggioranza relativa dei voti utilizzando un fenomeno di gigantesco
“scambio politico”.
In
conclusione: le Regioni sono assolutamente da ripensare in quanto Enti. Un
ripensamento che non può certo verificarsi sul piano semplicisticamente
propagandistico della cosiddetta “autonomia differenziata”.
L’Ente Regione rappresenta un vero e proprio “buco
nero” nella crisi del sistema politico italiano ricordando anche che è rimasto
in piedi il valore costituzionale delle Province confermato da un largo voto
popolare che ne ha bocciata la riforma nell’ambito del (fallito) progetto di
revisione costituzionale del PD (R).
Da rammentare ancora che sicuramente non sembra
decollato il progetto delle “Città Metropolitane” (che, in Italia, per la gran
parte non possono sicuramente essere valutate come “metropolitane”).
È necessario
allora lavorare a una proposta di cambiamento aperta alla riflessione
politica e alla partecipazione pubblica tentando di fornire una strumentazione
in grado di sostenere i processi di innovazione
territoriale, anche e soprattutto sul piano europeo, così come questi si sono configurati
nel tempo recuperando la sostanza della qualità della contraddizione
centro/periferia rivelatasi comunque essenziale da assumere nella particolare
condizione della struttura politico-amministrativa del nostro Paese.