di Marco Vitale*
Giustamente molti hanno scelto la
bellissima fotografia dell’infermiera ripiegata disfatta sul suo tavolo da
lavoro, come emblema della pandemia Coronavirus. È l’emblema della scoperta
positiva del grande valore umano e professionale del nostro corpo medico e
sanitario.
Marco Maffeis |
Propongo di affiancare un’altra immagine
che ci ricorda un’altra bella pagina legata al Coronavirus: quella del
bergamasco Marco Maffeis, curato a Palermo e le sue parole dopo essere stato
dimesso dal reparto di rianimazione dell’ospedale Civile di Palermo dove era
approdato per mancanza di posti di rianimazione in Lombardia: “Sono felice,
in questo reparto mi hanno voluto bene, mi hanno amato e guarito. Mi sento
fortunato, un sopravvissuto”. (Il Giorno).
Dunque, il
Sud esiste, ed il servizio sanitario nazionale esiste anche al Sud. Da anni
abbiamo sentito da amici del Sud, storie terrificanti di come le cose andavano
nella sanità delle loro città, sicché quando si è verificato l’esodo improvviso
di tanti sudisti verso le loro case, eravamo tutti convinti che il contagio si
sarebbe propagato rapidamente anche nel Sud e che sarebbe stato un disastro. E
invece al Sud, sia i servizi ospedalieri che le istituzioni regionali e i loro
vertici hanno retto bene, molto meglio che in Lombardia. E anche la popolazione
è stata, in generale, disciplinata, collaborativa e generosa. La creatività
pratica napoletana che inventa la “cena sospesa” ha fatto il giro del mondo. E
i giovani infermieri siciliani che si sono precipitati a rispondere alla richiesta
di aiuto che proveniva dall’inferno della bergamasca Val Seriana, e lo hanno
fatto di slancio, senza se e senza ma, è stata una visione confortante. Come non pensare che il nucleo più numeroso
dei Mille era formato da giovani bergamaschi.
Dunque, il Sud esiste e da qui devono
nascere nuove forme di collaborazione e di reciproco consapevole aiuto tra Nord
e Sud, non attraverso il Governo ma direttamente tra università, ospedali,
imprese, sindaci, tra il popolo del Sud e il popolo del Nord e nuovi investimenti
nel Sud nei tanti settori in cui è stato lasciato colpevolmente regredire e tra
soggetti del fondamentale Terzo Settore, pilastri della nuova economia, tanto
che persino il Governo se ne è accorto stanziando per il Terzo Settore un
contributo a fondo perduto di 120 milioni. Benedetto Croce, nel suo Storia
d’Europa (1931), parlando con entusiasmo dei “due anni del miracolo”, che
portarono all’Unità d’Italia e furono chiamati risorgimento, scrive: “in
verità era un “sorgimento” e per la prima volta nei secoli nasceva uno stato
italiano con tutto e solo il suo popolo”. Qui si misurerà se anche
per effetto del Covid-19 siamo davvero diventati la comunità idealizzata nel
Risorgimento. Che proprio in questi giorni si sia compiuto il
“sorgimento” di cui parla Benedetto Croce e che Marco Maffeis da Clusone,
salvato a Palermo, ne sia il portabandiera?
La prima discussione generale alla
Camera sul Mezzogiorno si svolse nel dicembre 1901, con presidente del
consiglio Giuseppe Zanardelli, bresciano e ghisleriano, che amava il
Mezzogiorno e che fu il primo Presidente del Consiglio a viaggiare nello stesso
per averne conoscenza di prima mano [1].
Zanardelli aveva già avuto, da
parlamentare e da Ministro dei lavori pubblici, numerosi contatti con il Sud, soprattutto
nel 1876 quando, come Ministro dei lavori pubblici, fece un lungo viaggio nel
Mezzogiorno continentale e in Sicilia. Ma quello memorabile fu il viaggio che
lo portò, come Presidente del consiglio, già settantacinquenne, ad attraversare
tutta la Basilicata dal 18 al 30 settembre del 1903. Esso fu e resta memorabile
non solo per la sua durata, come testimonianza di un impegno vero e profondo,
per le decisioni che ne scaturiranno, ma per il suo approccio mentale e morale.
A conclusione del viaggio Zanardelli tenne un incontro con tutti gli
amministratori del capoluogo lucano al Teatro Stabile. Il teatro era addobbato
con i gonfaloni delle città di Brescia e di Potenza, due città entrambe
medaglia d’oro al valore risorgimentale. Il suo discorso ha un impianto
esemplare: in una prima parte ricorda i meriti storici, civili, risorgimentali
della terra di Lucania quasi a voler infondere nei suoi cittadini fiducia in se
stessi, nella seconda parte sviluppa un’analisi oggettiva e senza sconto delle
arretratezze, delle povertà pubbliche e private che ha toccato con mano durante
il suo impegnativo viaggio, nel terzo, con tipica concretezza e serietà
bresciana elenca i provvedimenti che il Governo potrà prendere, ma lo fa con
grande cautela: “Piuttosto che espormi a promettere e
non eseguire, vorrei eseguire e non promettere”. Conclude con un appello a
lavorare insieme su un piano di perfetta parità, in spirito di unione e
fratellanza risorgimentale: “e chiudo senza alcuna petizione dicendo:
combattiamo insieme una grande battaglia contro le forze della natura e
contro le ingiurie degli uomini. Non aspiro ad alcun bene maggiore che a quello
di uscire da questa battaglia insieme a voi, vittoriosi”.
Grafica di Giuseppe Denti |
[*Bresciano e ghisleriano che ama il Mezzogiorno].
[1] L’opera fondamentale di Giuseppe Zanardelli, sia sul piano intellettuale, personale e politico, che sul piano delle realizzazioni pratiche, è stata fortunatamente riscoperta e rilanciata dalla Fondazione con il Sud nel libro: La scoperta del Mezzogiorno, Zanardelli e la questione meridionale a cura di Gianpaolo d’Andrea e Francesco Giasi, Edizioni Studium, 2014.
[2] Si legga il saggio di
Pasquale Saraceno: L’industria del Nord e la spesa pubblica nel
Mezzogiorno, 1952 con un incipit chiarissimo: “in un paese sovrappopolato
nel quale la popolazione non occupata prese coscienza del suo stato di minorità
rispetto alla popolazione restante, l’iniziativa privata non può avere che una
funzione complementare rispetto all’iniziativa pubblica”. Questo è stato il
pilastro della strategia pubblica negli ultimi 70 anni e quindi questa in sé è
stata un successo. Questo volevano e questo hanno avuto.
[3] Questa terminologia è
contenuta nell’importante libro di Daron Acemoġlu
e James A. Robinson, Perché le nazioni falliscono, Il Saggiatore 2013.
Le nazioni che falliscono sono quelle dominate da una politica esclusiva ed
estrattiva a favore delle classi dirigenti. Quelle che hanno successo sono
quelle inclusive e che distribuiscono il benessere.
[4] Sia il discorso di
Amendola che lo scritto di Saraceno sono ora in Il Sud nella storia
d’Italia di Rosario Villari, 1961.