di
Franco Astengo
Lo
svilimento della sanità e dell’assistenza pubblica che è alla causa della
strage prodotta dall’epidemia, in particolare per quel che riguarda le scelte
compiute verso gli anziani ricoverati in RSA, appare come la cartina di
tornasole dello smarrimento dell’etica pubblica avvenuto nel corso di questi
anni nella politica e nella società italiana.
Il
giudizio deve essere netto: questo è un paese nel quale il contagio circola
ancora “in abundantiam” e i mezzibusti televisivi annunciano che è “andata
bene” riferendo di centinaia di morti mentre si discute della movida e dello
shopping e si trucca come un “Piano Marshall” acquisito una trattativa ancora
da cominciare in sede europea.
La
Spagna è riuscita a proclamare dieci giorni di lutto nazionale, in Italia non
c’è stato un momento di raccoglimento generale salvo la reclame del canto e
degli applausi dai balconi quale dimostrazione di mero folclore.
La
“politica” ha fornito un deplorevole spettacolo di confusione al centro come in
periferia, dimostrando tutta la fragilità di un sistema fondato sugli annunci e
sull’apparire personalistico (come sta accadendo in queste ore circa le vicende
a livello europeo). Un barcamenarsi di mediazioni al ribasso o di dichiarazioni
roboanti per dimostrare di possedere la voce grossa in un clima di continuo
“scambio politico”.
Un
paese che negli ultimi decenni ha prodotto molto poco sul piano del pensiero. Ci
si è dedicati essenzialmente al come applicare l’estetica alla politica. L’estetica
intesa come “visibilità” del fenomeno politico portato nella dimensione
pubblica. Meglio ancora, nell’esercizio di riti collettivi e consensuali
portati alla mostra della scena pubblica.
La
prospettiva è quella della teatralità della scena politica e il ruolo di
“attori” degli agenti politici. Si valorizza l’aspetto ludico del politico, nel
senso del non utilitaristico, l’agire comunicativo in luogo di quello
strategico.
Una
“forma del politico” armoniosa e composta nella cornice da un conflitto al più
agonistico: laddove anche la più stridente contraddizione rimane
“sovrastruttura” e il pubblico può essere oggetto soltanto di un processo di
gigantesca “rivoluzione passiva”.
Un’estetica
il cui obiettivo è quello dell’anestetizzazione del “dolore sociale”, come
abbiamo ben visto in questo drammatico periodo.
Il
confronto, però, a questo punto non può davvero che essere tra l’estetica e
l’etica: l’etica intesa come il termine che designa le regole della condotta
umana relativamente alla sfera del dovere, di ciò che è giusto/lecito fare,
contrapposto a ciò che è ingiusto e/o illecito.
È
soltanto l’etica che può consentire di guardare alla politica attraverso un
costante confronto critico. Le risposte non possono star dentro al vecchio
recinto della ricerca sulla priorità delle contraddizioni ma nella ripresa del
confronto tra etica ed estetica.
Ricostruire,
perché è il caso di ricostruire, l’idea dell’etica pubblica, dell’idea portante
che vi siano dei criteri morali cui l’azione pubblica, l’agire politico, che
riguarda la conduzione della vita dei cittadini, dovrebbe ispirarsi.
Beninteso,
ispirarsi non a ideali generici, ma ad un “progetto di società” che riguarda il
rinnovato rivolgersi all’Utopia da ricercarsi attraverso il conflitto, inteso
come solo veicolo per l’avanzamento delle idee sulle quali fondare l’identità
dei soggetti destinati a tramutarli in azione.
Una
riconnessione in sostanza tra principi ispiratori e pratica corrente: ciò che
oggi sembra proprio essere venuto a mancare anche nelle stesse proposizioni di
una filosofia politica unicamente legata all’estetica.
Il
giudizio complessivo sul comportamento delle classi dirigenti, nel quadro del
grande dolore e del sacrificio di milioni di cittadini e soprattutto degli
operatori della sanità sbattuti in prima linea nella stessa condizione dei
fanti analfabeti della prima guerra mondiale, non può che essere quello
espresso all’inizio: si è smarrita l’etica pubblica e con essa il senso dello
spirito repubblicano, quello che dovrebbe valere proprio in prossimità del
ricordo del 2 giugno e della cancellazione della barbarie fascista durante la
quale, è bene ricordarlo, il ruolo dell’estetica (in particolare nel “culto del
capo”) ebbe un peso determinante.