ALLA “DIVERSITÀ POSITIVA”
di
Franco Astengo
Vinicio Verzieri "Tentativo di apertura" |
Un
pallido accenno di fuoriuscita dall’isolamento vissuto nella fase acuta
dell’emergenza sanitaria ha immediatamente scatenato un’apparente “centralità
della movida” verso la quale si sta promuovendo addirittura una ridicola
deriva securitaria. L’Italia non è riuscita neppure a ricordare degnamente gli
oltre 30.000 morti fin qui registrati nel corso della vicenda (un numero
destinato ad aumentare) e la questione dirimente sembra essere quella
dell’affollamento che si sta creando nei luoghi degli aperitivi.
C’è
da chiedersi quale società sia mai questa?
Ne
scrive Donatella Di Cesare nel suo “Virus sovrano?”: “ciascuno
coltiva la propria individuale utopia… Qui viene alla luce la disfatta della
politica che priva di slancio, concentrata sul presente senza domani, procede
di emergenza in emergenza, tentando di assecondare gli eventi, di cavalcare
l’onda. L’irresponsabilità. Cioè la mancanza di risposte alle generazioni
future, sembra esserne il tratto peculiare”.
La
Storia ha perduto di senso, siamo alla privatizzazione del futuro: l’epidemia
ci ha reso subalterni all’insindacabile funzionamento della civiltà tecnico-scientifica
e per coltivare l’illusione di fuggirne non resta che nasconderci nell’oblio.
In questo caso mimetizzandoci nell’apparente euforia di un altrettanto
apparente scampato pericolo. Pericolo che abbiamo inteso come riguardante
soltanto noi stessi, dispersi e separati in un destino singolare e
indecifrabile. A questo declino sociale, politico e soprattutto morale è
necessario contrapporre un’alternativa.
Negli
anni scorsi si è molto scritto e parlato di “società del limite” e di “decrescita
felice”: la
società della crescita ha legato il suo destino ad una organizzazione fondata
sull’accumulazione illimitata e questo appariva
il punto da aggredire ai fautori di questa possibilità di individuazione
del limite.
Serve qualcosa di più ampio
e più profondo.
Preso atto dell’esistenza
di un deficit culturale diffuso e della necessità di far emergere, come
filosofia di fondo, l’idea che non esiste alcuna possibilità al di fuori
dell’utilizzo di criteri sovranazionali dovrà essere sfruttata l’occasione per
affrontare i
temi del modello di sviluppo e della stessa convivenza civile, delle relazioni
umane, degli interscambi non esclusivamente legati alla logica del profitto,
delle comunicazioni d’informazione e culturali.
Esaurite
le forme politiche che hanno segnato il ’900, tra l’idea dell’onnipotenza della
tecnologia e quella del ritorno all’indietro del tipo (tanto per ridurre
all’osso) della già citata “decrescita felice” bisognerà pur individuare un
nuovo equilibrio. Vale allora la pena di ripetere alcuni concetti, già avanzati
nel corso di questi mesi, che si ritengono utili ad alimentare una riflessione
necessaria se si intende davvero procedere verso un’iniziativa di ricostruzione
di una sinistra capace di offrire un’alternativa allo scivolamento nel passaggio
dalla crisi della democrazia liberale verso l’autoritarismo della “fobocrazia”,
com’è avvenuto ad esempio in Ungheria.
Non
sarà sufficiente pensare alla “green economy” e ai possibili relativi modelli
di vita: anche in questo caso serve qualcosa di più ampio e strutturalmente
orientato nel suo complesso.
Risulterà
limitato anche un richiamo alla società dei 2/3 di Gorz: analisi che negli Anni
’80 rappresentò una sorta di bandiera della socialdemocrazia europea in
condizioni ben diverse dalle attuali.
La
ricostruzione di un intreccio tra etica e politica potrebbe rappresentare il
passaggio fondamentale per delineare i contorni di una “società sobria” avendo
come base di proposta una nuova “teoria dei bisogni”.
Servirà
studiare per definire un aggiornamento teorico relativo proprio alla realtà
delle “fratture” esistenti, sulla base del quale riaggregare primordialmente
interessi specifici.
Nell’evidente inadeguatezza dei modelli cui ci si è ispirati nella
globalizzazione del consumismo individualistico, la vicenda dell’epidemia
ci sta dimostrando che siamo rimasti
fermi a contemplare ciò che accade senza disporre di idee e di organizzazione
per attaccare, come sarebbe necessario, il muro della separatezza tra i popoli
e tra i ceti sociali rilanciando la prospettiva di una “programmazione del limite”.
Una
separatezza mai così marcata, almeno a partire dal Secolo dei Lumi.
Aggredire
la separatezza, ricostruire un “capitale sociale”, riorientare l’agire politico
nel senso della programmazione e dell’uguaglianza, esprimere collettivamente
una “diversità positiva”: questi punti potrebbero rappresentare fondamentali
per un progetto cui dedicarci nel momento in cui si sta cercando di insistere
sulla necessità di una ricostruzione della sinistra.