Renato Guttuso "Il garofano" 1953 |
Dopo la pubblicazione
dell’Appello al presidente della Repubblica sull’esagerato uso di termini
inglesi, sono giunti alla redazione di “Odissea” una marea di email e di
messaggi. Ne pubblichiamo alcuni.
Pavia. Caro Angelo, sono d’accordo con te e mi diventa
insopportabile ogni volta che in un programma televisivo o altrove la lingua
italiana viene sostituita con termini inglesi. Credo che i francesi non lo
farebbero mai. Se ne dovrebbe occupare il Parlamento presentando una proposta
di legge di poche righe per dire che in tutte le assemblee pubbliche:
parlamento, regioni, province e nei programmi Rai è vietato. Non so se ho
firmato la petizione. Se non l’ho fatto aggiungi il mio nome. Tra l’altro,
questa diffusione di termini inglesi ha compromesso anche i nostri dialetti. Mi
ricordo che in un incontro all’estero, tra i tanti ai quali ho partecipato
quando ero sindaco, un intellettuale svedese mi chiese se a Pavia si parlava il
dialetto perché a suo parere era molto importante e io risposi che a Pavia il
dialetto di un quartiere della città poteva includere termini diversi da altri
quartieri. Quel professore era molto contento e interessato. D’altronde da
sindaco ricevevo i cittadini due volte la settimana e ho dovuto imparare
anche io i termini essenziali perché loro parlavano tutti in dialetto
pavese. Erano i tempi in cui Pavia aveva la Necchi e altre fabbriche nelle
quali lavoravano almeno 15 mila operai e la classe operaia era fondamentale
anche nel partito socialista. Ciao.
Elio Veltri
Milano. Caro Angelo,
complimenti per il tuo intervento, che
condivido del tutto: da anni sono infastidito non solo dall’uso pervasivo di
termini inglesi, anche quando sarebbe più incisivo usare termini italiani; ma
anche dalla pronuncia dei termini stranieri tutti come se fossero inglesi: come
pronunciare Walter Benjamin se non come Uolter Bengiamin!?!? Non
solo la pronuncia tedesca è sparita dall’orizzonte anche più colto (ammesso che
ci sia entrata mai), ma persino il francese si pronuncia all’inglese!
Ma noi continueremo a non
soccombere.
Gabriele Scaramuzza
Milano. Caro Angelo,
fantastico! Ogni parola è
da condividere. Mi chiedevo appunto a chi denunciare la progressiva scomparsa
dell’italiano. Una volta ho posto il problema a un funzionario della Crusca,
che mi ha risposto debolmente, e in pratica non ha voluto esporsi.
Questo appello al
presidente della Repubblica, facciamolo girare il più possibile. Intanto,
sottoscrivo anch’io, e spero altri si aggiungeranno. Ma l’appello deve arrivare
al Presidente in persona.
In Spagna e in Francia,
non senti questo chiacchiericcio ‘mix’ alla radio e alla televisione. In
Francia la ‘privacy’ si chiama ‘confidentialité’ e da noi ci sarebbe
‘privatezza’.
Non senti dire “sold out”
per “tutto esaurito”, o “fake news”, anche solo “fake” per falso, e addirittura
“food” per “cibo”, eccellenza italiana. Ah, stanno lanciando anche
l’antipatico “wow”. L’appellativo di “governatore” è una vergogna nazionale.
BASTA!
Andiamo avanti.
Avevo pensato anche di
fare una colletta, o raccolta fondi (crowd funding!) per comperare uno spazio
sul “Corriere della Sera” o “la Repubblica” a tal proposito. Bisogna vedere
quanti ci stanno,
e ciao, e grazie per le
tue iniziative.
Claudia Azzola
Berlino. Caro Angelo,
ho letto l’appello a favore della lingua italiana e penso che sia importante davvero riconoscerne il valore. L’anglicizzazione qui in Germania è avvenuta già prima della digitalizzazione, anche perché i dialetti della Germania del Nord e l’inglese hanno una matrice comune. L’uso di termini inglesi nell’ IT e in parte nella scienza è normale, quello che dispiace è l’impoverimento della lingua italiana e tedesca nel loro splendido lessico tramandatoci da secoli di cultura. Questo va di pari passo con la semplificazione delle menti, causa spesso insegnamento non adeguato e lassismo politico sociale. È un vero peccato assistervi senza intervenire, quindi ben fatto.
Cordialmente
Lisa Mazzi
ho letto l’appello a favore della lingua italiana e penso che sia importante davvero riconoscerne il valore. L’anglicizzazione qui in Germania è avvenuta già prima della digitalizzazione, anche perché i dialetti della Germania del Nord e l’inglese hanno una matrice comune. L’uso di termini inglesi nell’ IT e in parte nella scienza è normale, quello che dispiace è l’impoverimento della lingua italiana e tedesca nel loro splendido lessico tramandatoci da secoli di cultura. Questo va di pari passo con la semplificazione delle menti, causa spesso insegnamento non adeguato e lassismo politico sociale. È un vero peccato assistervi senza intervenire, quindi ben fatto.
Cordialmente
Lisa Mazzi
Milano. Quello
che forse bisognerebbe ulteriormente precisare, è che non dell’americano di
Whitman si tratta, ma dell’americano del marketing, è cioè una lingua che nasce
già orientata al mercato (market oriented) e dunque tutt’altro che neutra nelle
sue intenzioni, attraverso questo shot-english passa il predominio del mercato
sulla politica e la cultura, solamente che passa desguised (sotto mentite
spoglie). Però non ci si illuda che tolta la lingua manigolda, ci si liberi del
dominio del mercato, se ad esempio la Legge 502 del 1992 in perfettissimo
italiano trasformava le Unità Sanitarie Locali in Aziende orientate al mercato
dando tragicamente inizio alla privatizzazione della Sanità precipitata nello
sfascio che, soprattutto in Lombardia, ci è toccato conoscere.
Gabriella Galzio
Milano. Ho scritto varie volte sugli attuali orrori linguistici.
Maurizio Cucchi
Roma. Il tuo pezzo “Una battaglia persa”, mette in evidenza, secondo me, una vera
tragedia visto che è il linguaggio a strutturare la coscienza. E mi ha fatto
tornare in mente due frasi, una di De Masi: “Non è giusto che i giornalisti
vadano in pensione a sessantacinque anni, cioè quando hanno appena imparato i
congiuntivi”; l’altra, bellissima, citata dal prof. Sabatini, di Luigi
Settembrini: “Quando l’uomo ha perduto la sua patria e va disperso per il
mondo, la sua lingua è la sua patria”.
Petronilla Pacetti
Milano. Angelo carissimo, un gustoso aneddoto. Ho avuto modo di invitare una
persona, al sempre uso della parola “fan”, a conoscerne l’etimo. Ora sembra
aver almeno il dubbio nell’usarla (e non solo a sproposito).
Bell’abbraccio.
Cesare Vergati
Milano. Ciao Angelo. Io da anni mando a “il Fatto Quotidiano” l’indignazione per
l’uso di termini stranieri ma anche di strafalcioni linguistici approvati
perfino dall’odierna Accademia della Crusca.
Franco Paone
Pioltello. Bravissimo! Vedi che faccio bene a scrivere sempre “Buon fine settimana” e
non “Buon weekend?”.
Un abbraccio.
Max Luciani
Milano. Caro Angelo bravo, giusto difendere la necessità di amare la propria lingua
contro la pratica malamente orecchiata di mescolarla balordamente con manufatti
estranei.
Saluti.
Giorgio Colombo
Milano. Non
sono una purista, ma concordo sostanzialmente con il tuo ragionamento, caro
Angelo
Elena Hileg Jannuzzi
Perugia. Aderisco volentieri visto che ho sollevato più
volte questo problema dell’uso di parole inglesi nel nostro parlare quotidiano
e soprattutto nella comunicazione da parte di politici ed economisti.
L’importante è non fare capire quello che si dice e si fa e si prepara per
fregare i comuni mortali.
Francesco Curto
Milano. Ciao
Angelo. Piena condivisione sull'uso delle espressioni esterofili, piccolo
particolare: oltretutto per confondere meglio le povere vittime si usano tra
tutte le espressioni, le più distorsive possibili e ingannevoli.
Tipo "Jobs Act" per dire abolizioni di
corposi diritti dei lavoratori dipendenti.
Oppure assessore al welfare che in inglese non
viene usato al posto di salute dove viene invece usato il termine health.
Con Affetto.
Francesco Saverio Lanza
Verona. Caro Angelo.
È veramente doloroso leggere quanto da
te scritto. Secondo me dovrebbero fare una Legge per proteggere la lingua
italiana. Abbiamo una lingua bellissima, usiamola. L’inglese usiamolo solo
quando dobbiamo parlare in inglese. (…)
Buona giornata.
Maria Spinelli
Acri. Molto,
molto bene. Condivido tutto… ogni parola. Il Fascismo impose, fino al ridicolo,
la lingua nazionale. Decisione, forse con intenti non del tutto “nobili”, ma
intelligente e furba quanto l’altra.
Filippo Gallipoli
Villa Dalmè. Condivido e sottoscrivo. Proprio per questo mi sono per principio rifiutato di usare nei miei scritti qualsiasi anglicismo.
Oliviero Arzuffi
Villa Dalmè. Condivido e sottoscrivo. Proprio per questo mi sono per principio rifiutato di usare nei miei scritti qualsiasi anglicismo.
Oliviero Arzuffi