di
Cataldo Russo
Ma
siamo proprio certi che all’alto numero di media
corrisponde
una maggiore democrazia?
È
opinione diffusa che l’alto numero di giornali, di televisioni e di radio sia
indice di maggiore democrazia. Di solito è così. Nelle democrazie più solide
un’informazione capillare e diversificata garantisce pluralità di idee, di
pensiero e di vedute. Perché ciò si realizzi, però, è necessario che i media
siano fonti autorevoli di informazione cui tutti abbiano accesso, non solo come
lettori e ascoltatori, ma anche come utenti di nuovi spazi di democrazia e come
soggetti attivi nel proporre idee, progetti e soluzioni, altrimenti si rimane
intrappolati nel tunnel di chi urla e pontifica dall’alto e chi deve ascoltare,
senza diritto di replica, dal basso. È amaro costatare come oggigiorno l’alto
numero di media non sia sempre un indicatore di democrazia e di emancipazione
politica, culturale e civile. Anzi, spesso è esattamente il suo contrario.
Troppi
media sono passati con disinvoltura dalla funzione primaria che, non ci si
stanca mai di ripetere, dovrebbe essere quella di informare, arricchire
culturalmente, rafforzare la coscienza civile e democratica, a quella di
confondere, disorientare, omologare e controllare il consenso.
Stante
queste condizioni, appare evidente che non è il numero dei media che fa da
baluardo alla democrazia e alla libertà, ma la qualità e l’autorevolezza di chi
li controlla e li gestisce. E, purtroppo, oggi molte proprietà di giornali,
televisioni e radio sono in mano a persone e lobbies di potere e di affari che
più che rafforzare la democrazia tendono a scardinarla e sovvertirla imponendo
il punto di vista di chi comanda. Persino i media pubblici vengono di volta in
volta lottizzati e gestiti nell’interesse di questo o di quel gruppo politico o
economico.
Non
si vuole generalizzare, ma mai come in questo periodo si vedono così tanti
giornalisti e conduttori di programmi televisivi e radiofonici asserviti agli
interessi delle lobby economico-finanziarie che mirano a condizionare e
manipolare l’opinione pubblica. Oggi le voci fuori dal coro sono sempre più
rare e sempre più emarginate da un sistema che tende a urlare, intimidire,
confondere, condizionare con sondaggi commissionati ad hoc e con notizie false,
il cui scopo è creare sgomento, paura e smarrimento.
Se
si pensa allo spessore culturale e morale di alcuni direttori di giornali, di
riviste, di radio e di televisioni viene proprio da dire che si è toccato il
fondo della mediocrità e del cinismo e che l’informazione è sempre più
spazzatura.
Tutto
questo accade non solo per colpa delle proprietà dei media, ma perché vi è un
patto scellerato tra politica, mezzi di informazione e utenti, i quali sono
sempre più disabituati a saper decidere con la propria testa e che, perciò,
dipendono in tutto e per tutto dal parere del tuttologo di turno, che il più
delle volte non fa altro che dire banalità, luoghi comuni e baggianate.
È
evidente che la funzione di questo “patto scellerato” fra media e politica è
quella di tenere lontana la rabbia e la protesta dal potere politico-economico.
Televisioni e radio, con il loro enorme potere di penetrare nelle nostre case,
e la loro rincorsa allo share, sono diventate dei veri e propri luoghi dove
protesta e rabbia vengono fatte sbollire, vanificate e infine ridicolizzate.
Orwell
ne La fattoria degli animali scrive che “tutti gli uomini sono uguali, ma
alcuni sono più uguali degli altri”. Non c’è massima più vera. Sono troppe le
persone che, pur non avendo alcuna qualità morale e professionale, beneficiano
delle corsie dei “più uguali” per rinvigorire il proprio prestigio e il proprio
potere.
Da
tempo sempre più falsi esperti vengono contesi a suon di gettoni e fatti sedere
nei salotti dei media che contano per pontificare dall’alto della loro
ignoranza e nullità su argomenti di cui non hanno alcuna competenza. Si tratta
delle solite facce, che passano disinvoltamente da una trasmissione seria a una
frivola in veste di tuttologi o di opinion leader.
Il
degrado oggi corre sul binario della trasversalità. Non esiste quasi più la
linea di divisione tra un’informazione illiberale e un’informazione
pluralistica, dove il dissenso vero diventi il sale della democrazia. Gli
ingredienti con cui si infarciscono le trasmissioni televisive e radiofoniche sono
gli stessi. Mettere a confronto voci apparentemente diverse e poi farle
scontrare come in un’arena dove lo scopo è sollevare polveroni, confondere,
urlare, offendere, zittire.
La
verità è che oggi non si deve esprimere un concetto ma usare lo slogan, la
frase ad effetto, l’aforisma rubato all’intellettuale di turno,
inconsapevolmente coinvolto nella rissa, per intorbidire le acque e assecondare
l’attesa patologica di un pubblico che il giorno dopo possa dire e commentare
sull’autobus, al bar e sul posto di lavoro, “Hai visto? Gliele ha cantate di
santa ragione!”.
Quelle
poche volte che qualcuno si azzarda ad esprime un pensiero ricco e articolato,
subito si alzano decine di voci, generosamente retribuite, che lo coprono di
banalità, offese e improperi di ogni genere.
Rincarando
la dose, viene quasi spontaneo dire che i mezzi di comunicazione ai nostri
giorni altro non sono che una “società di mutuo soccorso” di basso profilo per
mantenere a galla persone, siano esse politici o esponenti di spicco della
società civile, che hanno poco o nessun talento. E che l’Arlecchino della
brillante commedia di Carlo Goldoni, oggi non serve due padroni soltanto ma
numerosi e ibridi padroni. I pochi giornali che hanno il coraggio di svolgere
la funzione primaria di informare sono condannati a una lenta agonia fatta di
indifferenza e di difficoltà economiche. La libertà e la democrazia possono
essere limitate con leggi liberticide ed è quello che accade nei regimi
autoritari e nazisti, ma ci può essere una limitazione della libertà e della
democrazia anche attraverso una overdose di informazione tendenziosa, falsa e
patologica. Per esempio, è sufficiente creare o ingigantire la paura e
l’insicurezza che alberga in ciascuno di noi perché inevitabilmente si
manifesti la necessità di sistemi capillari di videosorveglianze, di
pattugliamento del territorio, di limitazione degli spazi di democrazia in nome
di una finta sicurezza che giova a chi tiene il popolo sotto custodia, perché
tanto, a loro dire, non è in grado di autodeterminarsi.