di
Franco Astengo
Grafica di Giuseppe Denti |
In
questo Primo Maggio sento il dovere di rivolgermi ai destinatari dei miei
numerosi interventi per scusarmi dell’insistenza quasi quotidiana con la quale
ho rivolto le mie argomentazioni, almeno in questo mese di aprile che sta per
terminare. Ho pensato, probabilmente sbagliando, che nel frangente di
isolamento nel quale ci siamo tutti trovati all’improvviso valesse la pena di
mantenere un collegamento, un filo rosso con la pretesa da parte mia
(sicuramente frutto di presunzione) di essere capace di contribuire allo
sviluppo di una riflessione collettiva su ciò che ci stava accadendo nei suoi
riflessi culturali, politici e sociali.
Così
mi sono ripromesso di tentare di portare avanti un’analisi e una proposta politica:
sicuramente esagerando nella già ricordata presunzione.
Purtuttavia
ritengo che questo tentativo abbia delle sue profonde ragioni ponendosi anche
nella scia di quell’idea di “ricostruzione della sinistra” che da qualche tempo
avevamo cercato di portare avanti, con altre compagne e compagni di diversa
provenienza ideale e politica, all’insegna del “Dialogo Gramsci - Matteotti”.
L’idea
di “ricostruzione” ha necessità di porsi a confronto con quell’affermazione del
“nulla sarà come prima” che molti hanno avanzato in occasione dell’esplosione
dell’emergenza sanitaria.
Se
vogliamo davvero che “nulla sia come prima” allora, da sinistra, dobbiamo
cercare di essere capaci di quel “cercate ancora” che potrebbe essere inteso
quasi come l’incipit di un nuovo manifesto.
Nasce
da questo abbozzo di ragionamento quell’esigenza di apertura di ricerca che
soggettivamente sento molto forte. Non sarà sufficiente misurarsi soltanto con
gli elementi che ci vengono forniti dalla nostra storia.
Così
nasce la proposta di elaborare l’ipotesi di un “socialismo della finitudine”. In
partenza si tratta di porsi un interrogativo: è davvero finita l’era delle “magnifiche
sorti e progressive” e ci troviamo nella condizione dell’essere finito,
limitato, imperfetto, come dimostrerebbe proprio la vicenda del virus? Chi
intende continuare a pensare alla giustizia sociale dell’uguaglianza pare
proprio trovarsi davanti a un bivio.
Grafica Giuseppe Denti |
Preso
atto della necessità di comprendere la condizione di “limite” come definire,
allora, un nuovo obiettivo di sviluppo?
Oppure
non resta da fare altro che ripiegare su di un pensiero di mera conservazione
lasciando campo libero agli appetiti dell’egoismo?
La
discussione, all’inizio di questa fase, si era aperta attorno all’ipotesi della
elaborazione di un progetto di “società sobria” come nuova “terza via” (opposta
a quella proposta a suo tempo dal blairismo): forse però questa nuova “terza
via” potrebbe essere già stata superata e un diverso modello di vita ci sarà
stato imposto dai fatti e dal governo assoluto della tecnica.
Si
pone così davvero il tema di un mutamento di paradigma.
Se
vogliamo contrastare l’affermarsi definitivo dell’egemonia della forza basata
sull’esclusività del dominio della tecnologia e della conseguente
concentrazione di potere, bisognerà elaborare una visione alternativa.
Allora
mi sono permesso di coniare la definizione di “socialismo della finitudine”.
Non
servono voci figlie della catastrofe: si tratta di “cercare ancora” per trovare
vie di nuovo sviluppo e modificare le grandi storture della modernità.
Adesso
siamo davanti alla necessità di un ripensamento generale ad un livello che non
avremmo mai immaginato e che potrebbe essere indicato come “di civiltà”. Dobbiamo
provare a muoverci pensando a quella dimensione propria di quell’orizzonte del
“limitato” che richiede l’affermazione di una ricerca sull’uguaglianza
possibile.
Si
tratta di rifletterci sopra e di trovare la strada per adeguare la nostra
pratica, anche se abbiamo un disperato bisogno di ritrovare anche tutto il
pragmatismo necessario per affrontare le lotte del giorno per giorno che,
beninteso, continuano.
È
stata la volontà di contribuire a delineare un’idea di socialismo posto
all’altezza delle contraddizioni che ci aspettano nel prossimo futuro,
l’intento perseguito con la molteplicità di interventi che mi sono permesso di
inviarvi in questo mese di aprile. Un mese di aprile 2020 trascorso in maniera
così anomala, mancando l’appuntamento con il 25 aprile e preparandoci a
trascorrere in casa anche il 1° maggio.
In
questa dimensione pensare ad un mutamento nell’idea di socialismo posto al di
fuori del quadro della progressività del futuro che ha contraddistinto la
nostra storia, ha voluto essere soltanto un microscopico segno lasciato su di
una grande pagina interamente bianca. Credo però che da parte di tutti sarebbe
bene cercare di lasciarne tanti altri di questi segni fino a formare quella che
un tempo si definiva come “linea”.
Esposte
le ragioni rinnovo le scuse: se qualcuna/o si è ritenuto infastidito da questo
reiterare di argomentazioni non avrà altro da fare che segnalarlo e il disturbo
sarà immediatamente tolto.