AL DI LÀ DEL TUNNEL
di Franco Continolo
Franco Continolo con la moglie Ninni |
Stefano Zamagni commenta su Odissea il saggio di Marco Vitale dal titolo Al di là del tunnel. Zamagni condivide, come tutti, il timore di Vitale che l’inefficienza e le lentezze della burocrazia possano compromettere l’efficacia dei provvedimenti governativi; essendo però egli un economista deve dare una spiegazione teorica del fenomeno, così scrive che tale inefficienza è il risultato della difesa di una posizione di rendita, quella dei politici. Dunque questi - e forse i burocrati stessi; il punto non è chiaro, visto che viene citata anche la rendita burocratica - sono dei rentier né più né meno dei proprietari fondiari e dei possessori di obbligazioni, che estraggono “valore dai fattori che creano valore, cioè lavoro e capitale”. Non è quindi sorprendente che da questa concezione della politica si arrivi nel capitolo successivo ad auspicare che dalla tempesta in corso si esca con meno stato. Dopo quanto è successo in Lombardia ognuno può immaginare cosa ciò possa significare. Ma a parte queste considerazioni pratiche, occorre sgombrare il campo da un equivoco: Zamagni non è a favore dello stato minimo perché di fede liberista, ma per l’adesione alla dottrina sociale della Chiesa, o perlomeno a una sua variazione, quella che fa capo a Pio XI, il papa del patto col diavolo, ossia del concordato col nazismo, ed erede della tradizione reazionaria lombarda - per intenderci, non quella che fa capo ai Verri, ai Beccaria, ai Cattaneo e ai Manzoni. La parola rivelatrice di questa ideologia è sussidiarietà: una parola ambigua che i giuristi hanno adottato per intendere il principio che le funzioni pubbliche debbano essere esercitate al livello più basso possibile - dal comune quando conveniente, invece che dallo stato; dai cattolici essa però viene intesa non solo in senso verticale, ma anche orizzontale e circolare - non si sa se sia escluso lo spazio non euclideo. La parola assume così il significato di sussidio: lo stato deve sussidiare i privati - imprese o associazioni - assegnando loro in toto o con partnership pubblico-privato le funzioni possibili, certo non tutte, per fortuna. Zamagni è giustamente soddisfatto per il fatto che questa parola ambigua, con la riforma del Titolo V sia entrata trionfalmente nella Costituzione. Ma il nuovo art 118, come tutta la riforma, non ha solo il difetto di introdurre ambiguità e arbitrarietà nell’esercizio delle funzioni pubbliche, quindi di aumentare la complicazione della legislazione e il contenzioso - tutto il contrario insomma di ciò che dovrebbe fare una classe dirigente. Esso ha infatti anche un pregio: al comma 1 dice chiaramente che è il comune, non la regione, come di fatto è avvenuto, il vero sussidiario dello stato. Non è surreale che un comune come Milano non abbia voce in capitolo in una situazione drammatica come l’attuale? Da dove ripartire se non dalla città? Dove immaginare un futuro diverso, se non nella città?
Art. 118 vecchio
«Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate
nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che
possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Provincie, ai
Comuni o ad altri enti locali. Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni
amministrative.
La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole
alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».
Articolo 118 nuovo
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni
nelle materie di cui alle lettere b) e h) del
secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento
nella materia della tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono
l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di
attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
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Approfitto
dell’occasione per fare due considerazioni molto rapide sul tema della c.d.
“burocrazia”. Ormai è diventato un mantra, anche piuttosto insopportabile, e
forse è giunto il momento di smettere di nasconderci dietro questi paraventi
che finiscono solo per occultare i problemi reali. Provo, con ordine, a
sintetizzare:
Cosa è un burocrate? In teoria dovrebbe
trattarsi dei dirigenti della PA. Ora, spesso costoro sono persone preparate e
volonterose (non sempre, ma non credo esistano categorie di santi), che
tuttavia devono fare l’impossibile (e spesso è impossibile davvero) per cercare
di dare un senso a norme farraginose, mal scritte, foriere di contenzioso,
quando non illegittime, partorite da governo e parlamento.
Il problema non è la burocrazia: il
problema è il legislatore e il governo, una manica di incapaci sempre più
ignoranti e sempre più inclini ad affidarsi a “task force” di persone non
necessariamente competenti per sole ragioni mediatiche e di consenso. Posso
solo concedere che vi sia qualche intoppo ai livelli bassi della PA, insomma
degli impiegati, che spesso applicano ottusamente i regolamenti: è un problema
che va migliorando man mano che - con fatica - anche questa categoria di
impiegati si va svecchiando e migliora - si spera - la loro formazione. Però
diciamoci una volta per tutte che il problema del Paese è la classe dirigente
nel suo complesso e non il mitologico animale della PA o dei “burocrati”.
[Antonio Banfi]
Condivido completamente
le tue considerazioni su Zamagni. La riforma del Titolo V fu una goffa e
irresponsabile risposta della sinistra di allora al separatismo leghista. Le
conseguenze sono evidenti, e i costi sociali drammatici. La delega della sanità
qui in Lombardia ha significato la creazione da parte di Formigoni di uno Stato
nello Stato, la trasformazione della sanità in impresa privata a spese dello
Stato. Ora si invoca vergognosamente lo stato per poi far tornare tutto come
prima. Verrà il giorno in cui bisognerà fare un po’ di conti.
[Angelo
Ferranti]