di Paolo
Savona*
Paolo Savona |
Un commento al saggio di Marco Vitale
Il dibattito aperto sulla prima
pagina di “Odissea” da Marco Vitale giovedì 9 aprile scorso con lo scritto Al
di là del tunnel, ha avuto grande attenzione fra economisti, imprenditori,
banchieri, docenti, filosofi, saggisti, ecc. Oltre 60 i riscontri ricevuti
dallo stesso Vitale che sta pensando di farne un libro dal titolo Al là del
tunnel. Se non ora quando. Il numero degli interventi, la qualità e la
varietà delle voci, la copertura territoriale che va dalla Val Seriana a
Marsala sono testimonianza della grande volontà di molti italiani a cogliere la
sfida del Coronavirus per migliorare la struttura del Paese. “Odissea” ne
pubblicherà una selezione cominciando da questo di Paolo Savona.
Chiunque si faccia guidare da saggezza ed esperienza, anche se non
particolarmente sviluppate come quelle di Marco Vitale, scriverebbe le cose che
egli sostiene in questo saggio. Sono perciò d’accordo su tutto e non per pura
cortesia. Per completare il quadro che egli traccia desidero sottolineare un
punto a me particolarmente caro: dalla crisi del 2008 gli italiani non sono più
cicale, come sostengono i paesi europei del Nord e non solo quelli, perché
risparmiano più di altri popoli, come testimonia una bilancia economica con
l’estero positiva; questo risparmio in eccesso va a finanziare i paesi cicale,
anche se più ricchi e meglio organizzati di noi. Cinque principali paesi del
mondo (Stati Uniti, India, Regno Unito, Canada, Francia) sono cicale, mentre
Cina (sempre meno), Giappone, Germania e Olanda (sempre più) e Italia sono
formiche. L’Italia ha effettuato investimenti in attività finanziarie estere
per un ammontare prossimo al suo debito pubblico. Il problema non è se siamo
cicale o meno, ma quali sono i motivi per cui abbiamo perso fiducia nel nostro
futuro e non usiamo per noi il risparmio che continuiamo ad accumulare,
attuando gli investimenti pubblici e privati di cui necessitiamo e fornendo i
mezzi finanziari, insieme alle tante capacità imprenditoriali, per attuarli
all’estero, anche presso i popoli cicale. La risposta al problema è piuttosto
complessa e riguarda il funzionamento sia delle nostre istituzioni, sia di
quelle europee e le relazioni geopolitiche che intratteniamo, che sono tali da
non ristabilire la fiducia nel futuro necessaria a un’uscita dalla crisi
pregressa e da quella ancor più grave in corso.
Desidero inoltre insistere che la gran parte delle soluzioni da
dare ai nostri problemi richiede il ristabilimento della fiducia nel futuro. La
politica non riesce a ristabilirla, ma la colpa è anche dei cittadini e, in
particolare, dei gruppi dirigenti che sono incapaci di comprendere i limiti da
dare alle rispettive richieste e i contributi da offrire per la ripresa
produttiva. I comportamenti dell’UE contribuiscono a spingere la fiducia in
direzione negativa, ripetendo in continuazione le accuse di un’insostenibilità
del nostro debito pubblico, senza indicare soluzioni diverse da quelle
deflazionistiche per uscire da questa situazione. Poiché gli attori sono tanti,
il problema di come ristabilire la fiducia è molto complesso, ma non
irrisolvibile sul piano tecnico.
R. Gualtieri |
Si afferma che l’Italia potrà uscire dal lockdown in
maggio, quindi dopo due mesi di isolamento. Secondo un calcolo aritmetico
elementare, ciò significa che perderemo un sesto del PIL, anche considerato che
l’effetto durerà nel tempo perché un buon 10% di imprese scomparirà e la
disoccupazione aumenterà. I problemi sociali si aggraveranno riversandosi sulla
politica facendole perdere lucidità. Conto ancora sulla vitalità delle imprese
esportatrici, che pesano un terzo del PIL, le quali certamente riprenderanno
vigore, ma non ce la faranno a reggere interamente una situazione più
deteriorata, in una situazione in cui l’isolamento si trasferirà dalle persone
alle istituzioni, che saranno sotto attacco. La speculazione e i pregiudizi
internazionali faranno il resto.
Desidero infine condividere espressamente la severa critica mossa
da Vitale alle burocrazie, anche perché sto vivendo per l’ennesima volta il
dramma della quasi scomparsa di veri civil servant e del crescente
parassitismo burocratico, un vero dramma che si sta sviluppando anche attorno
agli interventi sanitari (simboli elementari: cinque diversi moduli per uscire
di casa e ritardi nel fornire gli strumenti elementari ai medici e ai loro
collaboratori impegnati nella lotta al coronavirus). Chi si pone seriamente al
servizio della società non riceve protezione dall’esterno, più probabile che
riceva critiche, in un Paese dove più nessuno si dichiara soddisfatto e chiede
assistenza in continuazione, ponendosi sul solco della “decrescita in salute”,
non più del tipo “felice”.
Spero che le posizioni di Marco Vitale diventino patrimonio comune
di nuovi gruppi dirigenti che pensano al futuro oltre che al presente,
convincendo la gente che non è solo la salute, ma anche il benessere un
patrimonio comune alla cui protezione tutti si devono dedicare. Se ottenesse
questo risultato anche in minima parte, sarebbe già un progresso capace di
alimentare la materia prima per produrre il futuro: la fiducia.
*Economista,
attuale presidente Consob, già ministro
e
responsabile di altri importanti incarichi
[Roma,
Giovedì 16 aprile 2020]