di
Franco Astengo
Sembra
incrinarsi il muro di indifferenza verso la democrazia che ha caratterizzato
questa fase di gestione dell’emergenza nel corso della quale si è disposto
della condizione di vita dei cittadini in una costante condizione di
eccezionalità posta ai limiti del dettato costituzionale , cercando di mettere
da parte il ruolo del Parlamento e l’esercizio di una seria dialettica politica
perché parte di essa non può certo essere considerata quanto espresso da un
populismo di destra il cui modello è quello delle cosiddette “democrazie
illiberali”. Da qualche parte, per fortuna, stanno ricominciando ad emergere
argomentazioni tese a richiedere, pur nei tempi inediti che stiamo vivendo, un
rapido ritorno all’esercizio costituzionale.
Un
esempio in questa direzione è stato rappresentato dall’articolo di Michele
Ainis “Democrazia sospesa” apparso su “la Repubblica” del 12 aprile.
Nell’occasione
l’autore fa presente come non sia possibile procrastinare “sine die” le
scadenze elettorali già rinviate dal Governo: referendum costituzionale sulla
riduzione del numero dei componenti la Camera e il Senato, elezione del
Presidente e dei Consigli in 7 regioni, elezione dei Sindaci e dei Consigli in
oltre 1000 comuni, fra i quali 18 capoluoghi di provincia.
Ainis
ricorda come lo stesso Consiglio d’Europa abbia chiesto “un limite temporale
chiaramente definito” allo stato d’emergenza, cita Machiavelli a proposito
della “Repubblica ordinata” e avanza una serie di proposte al riguardo delle
modalità concrete con le quali affrontare in questa fase un eventuale turno
elettorale: “distanziamento sociale” tra elettrici ed elettori sul modello
delle code al supermercato, raddoppio nel numero dei seggi elettorali (a suo tempo
ridotti con una sciagurata decisione prevista dalle Leggi Bassanini) con
riduzione nel numero dei componenti del seggio e conclude “Se la sospensione
della democrazia dura troppo a lungo, rischiamo di farci l’abitudine”.
Sottoscritta
questa affermazione di Ainis e sollecitando quanti hanno ancora a cuore le
sorti della democrazia a farsi vivi su questo argomento (primo fra tutti il
Comitato per la Democrazia Costituzionale) è il caso di affrontare, sia pure
per sommi capi, la parte mancante dall’articolo fin qui citato.
La
domanda è questa: come si può sviluppare il confronto politico in questa
situazione? In sostanza come potrebbe essere possibile sviluppare la campagna
elettorale? È evidente che le modalità “classiche” di svolgimento della
competizione non potranno essere seguite: comizi e assemblee sono, almeno a
prima vista, impossibili da gestire attraverso il meccanismo di distanziamento
sociale.
Così
come appare molto difficile utilizzare i “flash-mob” magari eseguiti da una
sola persona oppure da più persone opportunamente distanziate. Risulterebbe
difficile anche la semplice distribuzione di volantini, salvo accatastarli su
banchetti sorvegliati a distanza dove i cittadini di passaggio potrebbero
ritirarli. Considerato però che di cittadini di passaggio, anche nel corso di
una eventuale fase 2, in giro dovrebbero essercene pochi.
Non
resta altro che l’utilizzo del web e della televisione (televisione che
comunque ormai da moliti anni rappresenta lo strumento principe delle campagne
elettorali).
I
social sono sedi aperte e quindi utilizzabili sulla base della volontà dei
singoli e dei gruppi che li gestiscono: esiste però il problema delle fake
news e quant’altro. Il rischio è quello di una rissa continua che
lascerebbe poco spazio per gli eventuali fruitori per comprendere gli argomenti
in discussione e farsi un’opinione.
La
Tivù avrebbe bisogno di due elementi: una rigida “par condicio” da estendere a
tutto il palinsesto (non facile trovare un comitato di garanti all’altezza, per
prestigio e capacità, di sorvegliare la situazione) e una diffusione di
presenza capillare da parte dei candidati anche al livello delle elezioni
comunali, quindi con trasmissioni ad hoc su tutto il territorio nazionale. Inoltre
i social, se si intende utilizzarli anche al fine di aggregare gruppi omogenei
di discussione e intervento, non pare possano completamente corrispondere alle
esigenze complesse di una campagna elettorale. Come si vede siamo di fronte a
una serie di questioni di non immediata risolvibilità proprio sotto l’aspetto
organizzativo.
Di
questi tempi, insomma, l’esercizio compiuto del confronto democratico risulterà
comunque molto difficile.
Però
non bisogna rinunciare a cercare strade nuove e strumenti adeguati attraverso
cui riuscire ad alimentare il confronto, organizzare il consenso attorno alle
idee, determinare ancora una prospettiva democratica di rispetto costituzionale
per l’esercizio della funzione di governo e di espressione politica sia al
centro come in periferia.