di
Alessandro Pascolini
Padova. La presente pandemia da SARS-CoV-2,
con la vastità del contagio, il grave peso di vittime a livello mondiale e
l’estremo impatto socio-economico, dovrebbe convincere l’opinione pubblica e i governi
a recepire l’allarme degli esperti sulla minaccia alla stabilità strategica e
alla sicurezza comune posta dallo sviluppo tecnologico dell’ingegneria genetica
e in particolare dalla potente nuova tecnica CRISPR-Cas9.
CRISP è
l’acronimo di “clusters
of regularly interspaced short palindromic repeats” e individua speciali
regioni del DNA caratterizzate dalla presenza di ripetute sequenze di nucleotidi
intervallate da frammenti di DNA “spaziatori”. Nel caso dei batteri, gli
spaziatori sono porzioni dei virus che hanno in precedenza attaccato
l’organismo e servono come un banco di memorie, che permettono ai batteri stessi
di riconoscere i virus e combatterne futuri attacchi. La proteina Cas9 è un enzima che agisce come un paio di
forbici molecolari, in grado di tagliare filamenti di DNA. I batteri utilizzano
l’RNA derivato dal CRISPR e varie proteine Cas, incluso la Cas9, per contrastare gli attacchi di
virus e altri corpi estranei, tagliando e distruggendo il DNA dell’invasore.
La tecnologia CRISPR-Cas9, appunto adattata dai
meccanismi naturali di difesa di batteri e archei, è uno strumento semplice ma
potente per la manipolazione dei genomi, alterando e modificando le sequenze di
DNA con funzione genica. Questa tecnica è stata applicata per la prima volta a
cellule umane nel 2013, e ha già cambiato radicalmente la ricerca biologica.
Funziona praticamente in tutte le specie in cui è stata provata ed è
attualmente in fase di sperimentazione clinica.
Le sue numerose potenziali applicazioni includono la
correzione di difetti genetici, il trattamento e la prevenzione della
diffusione di malattie e il miglioramento delle colture. Tuttavia, le sue
potenzialità, oltre a sollevare serie preoccupazioni etiche, in particolare se
utilizzate per manipolazioni dei genoma che possono essere ereditate dalle
generazioni future (manipolazione germinale), possono avere un gravissimo
impatto di ordine militare e rischi di terrorismo biologico.
Ingegneria genetica e armi biologiche
Esistono
migliaia di specie di micro-organismi potenzialmente patogeni, ma solo un
numero estremamente piccolo è stato sviluppato per applicazioni militari e
praticamente le uniche armi preparate per un effettivo impiego hanno finora
impiegato il solo antrace, un batterio in grado di generare il carbonchio.
Le
peculiari caratteristiche degli agenti biologici comportano che un bio-patogeno
ideale per un impiego militare dovrebbe essere in grado di: generare in modo
consistente un preciso effetto: morte o malattia; essere altamente letale o
morboso, produrre l’effetto con una bassa concentrazione; essere altamente contagioso;
avere un periodo di incubazione preciso e breve; superare l’immunità della
popolazione attaccata; rendere difficile la profilassi a chi viene attaccato;
rendere difficile l’identificazione; permettere la protezione di chi lo impiega;
ammettere una produzione economica in grande scala; rimanere stabile nelle fasi
di produzione, immagazzinamento e trasporto sugli obiettivi; garantire una
disseminazione efficace; sopravvivere e rimanere stabile nella disseminazione;
avere una persistenza limitata, in modo che la zona infetta possa venir
occupata rapidamente.
Naturalmente
tali condizioni sono spesso incompatibili fra di loro e pertanto si impongono
compromessi fra capacità patogena, tempo di incubazione, capacità inibitoria,
capacità letale, velocità di trasmissione, resistenza a trattamenti e
vaccinazioni, sopravvivenza dopo il rilascio e controllabilità degli effetti.
L’ottimizzazione della scelta dipende dal tipo di operazioni che si intendono
condurre, strategiche, di sabotaggio ovvero di impiego tattico, aperte o
clandestine. In pratica le armi biologiche pongono tali sfide tecniche e operative
che hanno portato a porre in dubbio il loro effettivo valore militare e
strategico, per cui sono state via via radiate dagli armamenti di quasi ogni
stato.
La
biologia sintetica, nata e sviluppata in ambito civile, nella sua natura duale
ammette applicazioni militari che possono portare a superare le limitazioni per
scopi bellici di molti agenti biologici naturali, modificandoli opportunamente,
nonché a creare ex-novo nuove armi estremamente efficaci.
Un
esempio dei potenziali rischi della biologia sintetica viene dalla creazione nel
2002 di un virus artificiale della poliomielite da parte di un gruppo di
biologi americani a partire dalla sequenza genetica dell’agente; ottenuti
piccoli tratti di DNA, li ricombinarono per ricostruire il genoma completo del
virus; infine dal DNA sintetizzato venne creato un virus vitale con l’aggiunta
di un opportuno “cocktail” di sostanze chimiche. Il virus della poliomielite
non è un’efficace arma biologica e il suo genoma è relativamente semplice, ma
l’esperimento dimostra le tremende potenzialità dell’ingegneria genetica.
Accanto
alla creazione artificiale di virus, una tecnica potenzialmente più pericolosa
è la generazione di virus fortemente patogeni da virus innocui, come è stato
fatto nel 2005 ricreando il virus estinto della spagnola del 1918 corredando un
virus influenzale relativamente non virulento con la sequenza completa degli
otto geni virali del ceppo del 1918. Nel 2017 il virologo David Evans ha
annunciato la sintesi del virus del vaiolo equino, simile a quello del vaiolo
umano, dichiarato estinto nel 1980.
Un
altro preoccupante sviluppo è anche l’uso di tecniche di ricombinazione per
inserire in micro-organismi geni per la produzione in massa di tossine di
origine non microbiotica, finora sintetizzabili artificialmente solo in
quantità troppo piccole per un uso militare.
Edwin Kilbourne nel 1985 avvertì del
pericolo estremo della generazione di un virus da incubo, il “maximally
malignant (mutant) virus” o MMMV, con qualità tali da garantirgli la stabilità
ambientale del poliovirus, l’alto tasso di mutazione del virus dell’influenza,
l’illimitata gamma di ospiti del virus della rabbia e il lungo periodo di latenza
del virus dell’herpes; inoltre l’MMMV sarebbe trasmesso attraverso l’aria e
replicato nel tratto respiratorio inferiore, come l’influenza, e inserirebbe i
propri geni direttamente nel nucleo dell’ospite, come l’HIV.
Per fortuna un MMMV non esiste, ma le
nuove tecnologie genetiche possono appunto mirare alla costruzione a costo
limitato di agenti biologici aggressivi in grado di ottimizzare le qualità
militari e di permetterne sicure forme di immagazzinamento ed efficaci mezzi
operativi di dispersione. Ciò creerebbe un rilancio delle armi biologiche, cui
praticamente tutti gli stati hanno rinunciato, per i limiti prima considerati.
La reintroduzione di tali armi creerebbe un grave attacco alla stabilità del confronto
militare presente, e il solo il sospetto che un paese intenda farlo può indurre
una corsa agli armamenti biologici a scopo deterrente.
Il rischio è gravissimo e la comunità
internazionale dovrebbe necessariamente prevenirlo con strumenti efficaci.
I fattori combinati di una tecnologia a costo inferiore, più facilmente
accessibile e maggiormente efficace potrebbero non essere sufficienti per
influenzare le potenze maggiori, ma potrebbero incentivare stati piccoli, in
particolari situazioni di sicurezza, a riconsiderare l’utilità marginale di
investire in armi biologiche. Di conseguenza, qualsiasi strategia per
affrontare il rischio di armi biologiche geneticamente modificate deve tenere
conto di un’ampia gamma di stati potenzialmente interessati, non solo le
maggiori potenze.
Grafica di Giuseppe Denti |
Il
regime di prevenzione delle armi biologiche e suoi problemi
Esiste un insieme
articolato di vincoli sociali e formali agli armamenti chimici e biologici,
composto di un diffuso rifiuto interculturale di base, una famiglia di norme,
regole e procedure, sia nazionali che plurinazionali e internazionali, il tutto
a costituire un “regime” preventivo, che appare oggi inadeguato ad affrontare
le sfide poste dalla biologia sintetica.
I capisaldi legali
internazionali consistono del Protocollo di Ginevra del 1925, che proibisce
l’impiego in guerra di “metodi di guerra batteriologica”, ed è considerato far
parte delle norme consuetudinarie e quindi universale, e la “Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, la
produzione, e lo stoccaggio di armi batteriologiche (biologiche) e tossine e
sulla loro distruzione” (BTWC), in vigore dal 26 marzo 1975, con 183 stati parte;
mancano in particolare Egitto, Israele e Siria, assieme a significativi paesi
africani.
La BTWC è uno strumento
complesso che opera a più livelli, mettendo insieme problematiche scientifiche
e sociali, salute e sicurezza, prevedendo azioni sia nazionali che
internazionali, coinvolgendo competenze non solo diplomatiche, militari e di
controllo degli armamenti, ma anche sanitarie, in agricoltura, veterinaria,
educazione, diritto, industria, commercio, oltre naturalmente in vari campi
scientifici e tecnologici di base.
L’articolo
I obbliga le parti a non mettere a punto, fabbricare, tenere in deposito o
acquistare né agenti microbiologici e tossine, tranne che a fini profilattici,
di protezione o pacifici, né armi e vettori specifici per tali agenti; entro
nove mesi si devono distruggere o convertire a usi pacifici tutti gli agenti e
gli impianti esistenti, garantendo la sicurezza della popolazione e
dell’ambiente (art. II). L’articolo III previene la proliferazione, con
l’impegno delle parti a non trasferire agenti, tossine, o armi biologiche, né
ad assistere, incoraggiare o indurre altri paesi o organizzazioni ad acquisire
capacità militari biologiche. Gli stati si impegnano ad aggiornare la propria
legislazione interna nella prospettiva del rispetto della convenzione (art. IV)
e a cooperare per il suo rispetto (art. V); sospetti di violazioni vanno
trasmessi al Consiglio di sicurezza dell’ONU (art. VI), che può individuare
paesi esposti a pericoli a seguito di violazioni, nel qual caso ogni altro
stato deve fornire assistenza (art. VII). All’articolo X la Convenzione prevede
piena collaborazione fra le parti e scambio di informazioni e materiali per usi
pacifici di agenti biologici e per l’applicazione delle scoperte scientifiche
alla prevenzione delle malattie. Ogni 5 anni vanno indette conferenze di
riesame per verificare lo stato di applicazione della convenzione e considerare
eventuali aggiornamenti a seguito di sviluppi scientifici e tecnologici (art.
XII).
La
Convenzione, dunque, non vieta lo sviluppo di agenti biologici patologici ma
solo proibisce la loro finalità a scopi militari, introducendo il criterio di
“intenzione d’uso”, una novità assoluta nel contesto degli accordi
internazionali e di controllo degli armamenti. Pertanto non viene definita una
lista di agenti biologici e tossine proibiti, ma sono invece definiti gli scopi
permessi vietando di immagazzinare quantità di agenti maggiore di quella
consistente con le applicazioni civili. Questa impostazione è resa necessaria
dall’ambivalenza militare-civile degli sviluppi della biologia e permette
inoltre di comprendere a priori nuovi, e al momento imprevedibili, sistemi,
agenti e tecnologie futuri; ciò si è rivelato di estrema importanza visti gli
enormi sviluppi della biologia negli anni successivi.
Un
aspetto critico della Convenzione, come pure del Protocollo di Ginevra, è la
mancanza di meccanismi di verifica del rispetto delle varie clausole: sia della
proibizione di intraprendere iniziative non permesse e di fornire a terzi
materiali sensibili, sia delle imposizioni positive per misure efficaci per
ridurre i rischi di attività proibite e per lo sviluppo collaborativo delle
biotecnologie pacifiche.
Le
uniche azioni previste dalla BTWC a fronte di sospetti di infrazione si riducono
a consultazioni fra le parti ed eventualmente al ricorso al Consiglio di sicurezza.
Anche per questa debolezza della BTWC, si sono verificate gravi violazioni protratte
nel tempo, senza che i paesi violatori abbiano dovuto sopportare alcuna
conseguenza: gli enormi programmi offensivi dell’URSS dal 1972 al 1992, le significative
produzioni dell’Iraq dal 1974 al 1991 e del Sud Africa dal 1980 al 1993 hanno
messo in dubbio la stessa validità della Convenzione. Un ulteriore effetto
negativo della mancanza di forme istituzionali di verifica e controllo è che
ciò dà adito a sospetti e diffidenza reciproci.
In reazione a questi
limiti sono stati sviluppati strumenti esterni alla Convenzione, quali il
potere assegnato al Segretario generale dell’ONU (novembre 1987) di investigare
su denunce d’uso di questi tipi di armi e, almeno per le
tossine, nella Convenzione per il bando delle armi chimiche del 1993, ma anche
iniziative unilaterali da parte di gruppi di paesi esportatori. Il Gruppo
Australia nel 1990 decise di estendere il controllo delle esportazioni di materiali
e di licenze di tecnologie per la produzione di armi chimiche anche a quelle
biologiche; attualmente vi sono 4 liste di controllo riguardanti le armi
biologiche: attrezzature biologiche ambivalenti militari-civili, agenti
biologici, patogeni vegetali e patogeni animali. Dal 1996 agenti e tecnologie
biologiche potenzialmente d’interesse militare sono incluse anche nelle liste
di controllo alle esportazioni dell’Accordo Wassenaar. Va osservato che queste
limitazioni unilaterali agli scambi internazionali sono viste da molti paesi
importatori in contrasto all’articolo X della BTWC, e danno luogo ad accesi
dibattiti in ogni conferenza di revisione.
L’irrisolto problema dei
controlli
La scoperta
dei programmi militari russi, iracheni e sudafricani ha portato la Conferenza
di revisione del 1994 a creare un gruppo di lavoro (Ad Hoc Group - AHG) con il compito di negoziare un protocollo
legalmente vincolante per “rafforzare l’efficacia e migliorare l’adempimento
della Convenzione”.
L’AHG ha
continuato i suoi lavori per 5 anni, con posizioni contrastanti e incompatibili
fra loro, spesso
diametralmente opposte su definizioni, elenchi di agenti, portata ed estensione
delle dichiarazioni, visite, indagini, controlli sulle esportazioni, misure per
attuare l’articolo X e poteri degli organi decisionali, con
proposte che di fatto svuotavano di significato gli articoli I e III, creando
in pratica “santuari” inaccessibili al controllo e facilitazioni per la
proliferazione delle armi. Di fronte alle divergenti posizioni, il 30 marzo
2001, dopo 23 sessioni di lavoro, il presidente dell’AHG, l’ambasciatore
ungherese Tibor Tóth, tentò la procedura, rivelatesi utile in altri negoziati,
di presentare un “testo del presidente” su una bozza di compromesso, che
prevedeva anche la creazione di un’Organization for the
Prohibition of Biological Weapons (OPBW) analoga all’OPCW esistente per le armi chimiche.
Il documento
estremamente complesso (273 pagine), e in parte contradditorio, trovò nella 24
sessione la decisa opposizione da parte di molti paesi, che chiesero di riprendere
i negoziati per raggiungere un consenso universale su tutte le questioni. In
questa situazione, il 25 luglio 2001 il nuovo presidente americano George W.
Bush respinse il testo di Tóth, dichiarò futile e impraticabile la ricerca di
una forma efficace di controllo delle attività militari che non pregiudichi lo
sviluppo di quelle civili e ritirò la delegazione USA dall’AHG, decretandone la
sospensione dei lavori.
La
decisione di Bush rispecchiava la sua globale diffidenza dei vincoli
internazionali, ma i punti specifici della critica riflettono la complessità
intrinseca del controllo degli armamenti biologici. Data l’ambivalenza della
ricerca, l’esiguità della quantità di agenti biologici sufficienti per un’arma,
producibili in laboratori di minime dimensioni, e la possibilità di convertire
a scopo militare in pochi giorni impianti per la produzione di vaccini e prodotti
farmaceutici in genere, controlli adeguati dovrebbero essere estremamente
intrusivi e coprire un numero enorme, e in continuo veloce aumento, di
laboratori, centri di ricerca, industrie in tutto il mondo, un problema di
dimensione incomparabile con le attività di salvaguardia della IAEA per il
trattato di non proliferazione o della OPCW per la convenzione sulle armi
chimiche.
Anche
se alcuni stati continuano a insistere sull’opportunità di riprendere i lavori
dell’AHG sulla base del testo del 2001, causando anche il fallimento della
Conferenza di revisione del 2016, un’OPBW appare troppo costosa e comunque
inadeguata; nella sesta conferenza di riesame (2006) si è creata una piccola
unità di sostegno all’applicazione della convenzione (Implementation Support Unit - ISU), che tuttora è
composta da sole tre persone e con difficoltà ottiene i minimi finanziamenti
necessari alla sua operatività.
Per
rafforzare e garantire il rispetto della convenzione sono stati adottati provvedimenti
volti a favorire la trasparenza, attraverso i quali costruire la fiducia
reciproca (confidence-building
measures CBM), basati sullo scambio volontario di dati
relativi ai programmi e ai centri e laboratori di ricerca e di informazioni
su eventuali epidemie eccezionali, sulla
presentazione della legislazione e regolamentazione nazionali specifiche, su
dichiarazioni riguardanti le attività pregresse, attuali e quelle programmate e
sulla promozione di scambi e visite di ricercatori nei
campi della microbiologia. La portata di queste misure rimane comunque
limitata, visto il carattere volontario e non sistematico, e il loro
insufficiente rispetto da parte della maggioranza degli
stati.
Grafica di Giuseppe Denti |
Di
fatto dal 2001 l’attenzione della comunità internazionale per le armi
biologiche è andata scemando a fronte delle più urgenti problematiche degli
armamenti nucleari (con i casi della Corea del Nord e dell’Iran, la crisi dei
trattati e i nuovi programmi di ammodernamento) e chimici, con la violazione
del tabù del loro impiego nel corso delle guerre in Siria e Iraq.
La
molteplicità degli incontri svolti da allora nell’ambito della BTWC (Conferenze
di revisione, incontri annuali degli stati parte e sessioni di esperti), anche
se ha consentito la continuità dei rapporti internazionali sulle tematiche
bio-militari, non ha portato a risultati significativi, ma ha registrato
continue contrapposizioni sull’importanza relativa di argomenti come scienza e
tecnologia, CBM, attuazione nazionale, controlli sulle esportazioni,
cooperazione e assistenza e conformità alle norme previste. Ciò ha impedito
qualsiasi progresso significativo nel concordare un’azione efficace negli
stessi programmi di lavoro.
La pandemia da H1N1 che
fra il gennaio 1918 e il dicembre 1920 ha colpito circa 500 milioni di persone
e causò decine di milioni di morti convinse la Polonia a far aggiungere al
protocollo di Parigi sulle armi chimiche del 1925 anche la proibizione
dell’impiego in guerra di “metodi di guerra batteriologica”.
Possiamo sperare che la
presente pandemia induca i governi mondiali,
che dovrebbero preparasi alla nona conferenza di revisione dells BTWC, prevista per il 2021, a un deciso impegno per creare un efficace
regime di prevenzione di ogni possibile sviluppo di armi biologiche? Il
panorama attuale delle personalità politiche mondiali non appare
particolarmente incoraggiante, per cui sono assolutamente necessari seri e
propositivi lavori di ricerca da parte della comunità scientifica per nuove
efficaci misure in grado di prevenire anche i pericoli insiti nelle tecnologie
genetiche, ma soprattutto che l’opinione pubblica, sottoposta alla presente “livella” universale,
riaccenda l’orrore e il totale rifiuto culturale per le armi biologiche e li
imponga ai suoi governanti.
[Lunedì
dell’Angelo 2020]
* Università di Padova