di
Franco Astengo
Grafica di Giuseppe Denti |
Un
primo bilancio riguardante la gestione dell’emergenza nel corso di queste
settimane non può prescindere da una valutazione riguardante ruolo e funzioni
dello Stato, in tempi di spinta verso un recupero di sovranità cui si accompagnano
tensioni rivolte verso forme di isolamento nazionalistico e di autoritarismo
interno sul modello assunto da alcuni paesi europei.
Un
fenomeno che, nello specifico della vicenda italiana, si accompagna ad elementi
di ulteriore debolezza dell’intero sistema politico.
Elementi
di ulteriore debolezza collegati anche a due fattori: a) la difficoltà nel
rapporto con l’Unione Europea. Una difficoltà frutto del processo di
costruzione dell’unione stessa avvenuta al di fuori di meccanismi di effettiva
scelta democratica, dal trattato di Maastricht in avanti; b) eguale
difficoltà si è riscontrata nel processo inverso di decentramento regionale. Si
è verificata una progressiva modificazione di ruolo da parte delle Regioni trasformate
da Enti di coordinamento legislativo a soggetti esclusivamente votati alla
nomina e alla spesa. Insomma: il discorso della cessione di sovranità da
parte dello Stato-Nazione, di cui pure molto si è discusso nella fase della
globalizzazione, ha portato a una situazione nella quale sia il livello
sovranazionale, sia quello dell’assetto della dimensione interna hanno dato
origine a spinte contrastanti in senso negativo per la capacità dello Stato
centrale di corrispondere alle esigenze dell’immediato e di prefigurare
adeguate capacità programmatorie per il futuro.
Tutto
questo è risultato evidente nella rincorsa affannosa ai provvedimenti
riguardanti la fase eccezionale che stiamo attraversando e la loro complicata
applicabilità concreta. In una comunità giuridica evoluta i connotati delle
sovranità possono essere individuati nell’originarietà, universalità,
esclusività e inclusività:
1) Originarietà nel
senso che la sovranità non deriva da un altro potere preesistente a esso: dal
che se ne consegue la capacità di dare alla volontà collettiva un contenuto che
la determini come ordinamento giuridico e la prerogativa di modificarlo senza
limiti esterni (è proprio su questo punto che si colloca il tanto denunciato
“deficit democratico” dell’Unione);
2) Universalità come facoltà
dei detentori del potere politico di prendere decisioni legittime ed
effettivamente operanti per tutta la collettività;
3) Esclusività nel senso che
le comunità politiche esercitano la propria supremazia senza alcuna
interferenza da parte di altri enti (BCE inclusa) e senza che, contro la
propria volontà qualsiasi altro potere possa limitarlo;
4) Inclusività nel
senso di facoltà d’intervento imperativo in ogni sfera d’attività dei membri
del gruppo politico attraverso lo strumento dell’ordinamento giuridico (un
passaggio fondamentale questo, nella modernità, riguardo al rapporto tra
politica ed economia, ma anche su di un altro versante, riguardo il persistere
di una sfera di diritti intangibili rispetto al potere statale).
Sulla
base di queste definizioni la nozione di sovranità è apparsa sempre intimamente
connessa con quella di Stato.
Nel
corso dell’evoluzione dello Stato moderno tutti gli attributi che hanno
connotato la dottrina classica della sovranità hanno subìto un indebolimento a
ragione dell’affermarsi di dottrine concorrenti; prime fra tutte il federalismo
e il cosmopolitismo.
È
stata messa in discussione soprattutto l’esclusività dai fautori di un
ordinamento cosmopolitico per cui il diritto internazionale ha assunto il carattere
di vero e proprio ordinamento giuridico sovrastatale mentre il federalismo
aveva già condotto a riconoscere l’esistenza di Stati non sovrani.
La
costruzione dell’Unione Europea non ha risolto questo intreccio di questioni ed
è venuta avanti costruendo una sovrastruttura di potere esclusivamente
riservato alle azioni di carattere finanziario ispirate dal modello monetarista
frutto del “pensiero unico” sulla cui base si è sviluppata l’ondata
neo-liberista a partire dagli anni ’80 del XX secolo.
Adesso
questa manovra mostra la corda e la scelta possibile, come sta dimostrando lo
stesso “caso italiano” è quella della critica del parlamentarismo: sola via
ritenuta possibile alla realizzazione del modello di cessione della sovranità,
da parte di Stati indeboliti nel loro assetto istituzionale. L’Italia sta
fungendo da “laboratorio politico” in questo senso.
All’interno
del tessuto politico italiano si sta tentando di provocare una vera e propria
“crisi della dottrina dello Stato”.
Una
“crisi della dottrina dello Stato” che si sta mostrando evidente per il
dispregio in cui appare essere tenuta l’istituzione parlamentare come è stato
ben evidenziato nel corso della seduta del Senato svoltasi il 9 aprile per il
voto di fiducia su uno dei decreti riguardanti l’emergenza.
Le
cronache giornalistiche, in questo senso, appaiono descrivere il determinarsi
di un quadro del tutto al di fuori non solo dal dettato costituzionale ma anche
dall’evidente logica del buon senso.
Il
tema del recupero di una dottrina dello Stato fondata sul libero esercizio
della dialettica parlamentare rappresenta un altro punto su cui avviare la
nostra possibile discussione del dopo-crisi.
Una
discussione nel corso della quale sarà necessario porre all’ordine del giorno
il recupero e il rilancio della democrazia repubblicana e la ricerca sulle
forme di nuova possibile legittimazione sia per i livelli di comune governo
sovranazionale, sia in vista del profondo ripensamento che sarà necessario
svolgere al riguardo dei livelli decentrati di governo e di amministrazione.