BIMBI E CORONAVIRUS
Questa lunga e forzata
cattività, prodotta dal coronavirus, influisce negativamente - e a vari livelli
- su ciascuno di noi. Nessuno escluso. Ho volutamente sottolineato il
lemma “nessuno escluso”, perché diversi amici con cui ho avuto modo di parlare
per telefono, si sono fatta un’idea completamente errata. Non c’è bisogno di
scomodare la psicologia per capire che c’è una differenza enorme fra la
gestione libera del proprio tempo (e dei propri spazi), e una situazione
imposta da forza maggiore, che finisce inevitabilmente per divenire
claustrofobica e, in ultima analisi, opprimente. Quando Alfieri si “legava”
(metaforicamente) alla sedia e si imponeva una ferrea disciplina di studio, per
quanto spietata potesse essere questa pratica, essa nasceva comunque da una libera
scelta, da una decisione volontaria. Durante la stesura del mio nuovo libro su
Milano, in piena estate e con un caldo atroce, ho finito per stare seduto al
tavolo di lavoro fino a 18 ore, dimenticandomi più di una volta di consumare
persino i pasti o di vestirmi. Ma sceglievo io tempi e modi, non mi venivano
imposti, anche perché forzature innaturali avrebbero compromesso il mio lavoro
di scrittore. E per quanto mi fossi costretto, facendo violenza a me stesso,
non ne avrei ricavato nulla. Come ben dice Dante nel canto primo del Paradiso
(terzina dei versi 127-129) “(…) molte fiate la forma non
s’accorda all’intenzion de l’arte, perché a risponder la materia è sorda” e
dunque è perfettamente inutile incaponirti. Naturalmente passare molto
tempo chiuso in casa e nel silenzio più assoluto, è condizione di chiunque
svolga un lavoro di scrittura e di studio.
Disegno di Diana |
Per lo scrittore lo è in maniera preponderante, perché i fantasmi della sua immaginazione creativa prendono corpo e si materializzano sulla carta, solo nel silenzio e nel raccoglimento. Ma ripeto: un conto è la decisione libera, un conto è l’esservi obbligati. Non è il momento di parlare dei miei disagi psicologici ed esistenziali prodotti da questa “reclusione”, e vi assicuro che non sono pochi; mi importa qui, ora, richiamare l’attenzione sulla condizione dei bimbi: sono loro che stanno subendo più violentemente ed atrocemente le devastazioni psicologiche di questa situazione desocializzante, individualistica, reclusiva, deprivata di molti affetti, contatto fisico, visionarietà spaziale, suoni, luoghi introiettati, pratiche divenute rituali nella quotidianità delle loro giovani vite. E senza potersene dare una risposta razionale, oggettiva, convincente. Le stesse nostre risposte ai loro perché sono così inadeguate, deboli, evanescenti, e anche ingiuste, che le parole suonano false e crudeli. Mi vengono i brividi al solo immaginare che cosa avverrà nell’anima dei tanti bimbi che hanno visto un familiare portato via in barella e mai più tornato.
Disegno di Ettore |
I disegni che accompagnano questa breve riflessione sono stati realizzati da alcuni bimbi della Scuola Materna di via dei Guarneri di Milano, “Classe delle Rose”, grazie alla sensibilità e alla sollecitazione delle maestre Daniela e Mariateresa, con una lettera inviata alle loro mamme e papà. Sono disegni ispirati ad una fiaba sul coronavirus a lieto fine. Alcuni genitori hanno accolto prontamente l’invito, come si vede, e altri ancora seguiranno. “Odissea” ha deciso di pubblicarli. È il poco che possiamo fare per loro, in questa orribile contingenza.