LA CENTRALITÀ DEL PARLAMENTO
di
Franco Astengo
Il
senso dell’iniziativa e della partecipazione politica nel tempo dell’emergenza.
Dell’accavallarsi
delle diverse fasi dell’emergenza si potrebbe dire che “la confusione sotto il
cielo è grande, ma la situazione non è eccellente”.
Nel
drammatico frangente che stiamo attraversando la prova del governo italiano, in
particolare del suo presidente del consiglio, è risultata nel complesso, senza
calcare troppo la mano nel giudizio, assolutamente mediocre. Sono emersi punti
critici molto rilevanti nell’insieme della tenuta del sistema politico. Prima
di tutto si può affermare come la questione dell’esercizio della democrazia
costituzionale si si sia dimostrata la più complicata da affrontare. Complessivamente
si sono dimostrate nell’agire pubblico sciatteria e trascuratezza.
Si
è palesata in questi giorni una classe dirigente posta, sul piano culturale e
politico, molto al di sotto delle esigenze dell’ora: sia al centro, sia in
periferia, come in posizione di maggioranza o di opposizione nelle diverse
strutture istituzionali. Inoltre a tutti i livelli si sono aggiunte pletore di
presunti esperti raccolti in improbabili task-force.
Esperti
per lo più televisivamente famelici, che hanno contribuito a creare quello
stato di confusione cui si è fatto cenno.
Si
è resa evidente, guardando alle divisioni createsi ad ogni scelta compiuta, la
pressione dalle lobbies più diverse al riguardo delle quali è mancata, in molte
occasioni, una risposta ordinata e precisa. Si sono confusi decreti della
presidenza del Consiglio dei ministri (uno strumento che penso andrà rivisto in
radice), ordinanze dei presidenti di regione (incautamente appellati dai media
come “governatori”, figura che non esiste nell’articolato costituzionale),
ordinanze dei sindaci. È mancato, all’origine, un atto del Parlamento il cui
ruolo di centralità dettato, appunto, dalla Costituzione è stato del tutto
calpestato: se si pensa che, alla vigilia del vertice europeo, il Presidente
del Consiglio si è recato alle Camere per una “informativa” che ha escluso la
possibilità di un voto su una qualche risoluzione che fornisse al Governo
stesso un preciso indirizzo parlamentare su temi che non possono essere
affidati alla contingenza dell’opportunismo elettoralistico.
L’atto
del Parlamento che avrebbe potuto essere adottato in principio, al momento
della proclamazione dello stato di emergenza, poteva essere costituito da un articolato
legislativo nel quale risultassero fissati:
a) i termini concreti di
agibilità concesso al Governo nello straordinario momento contingente; b)
le modalità delle necessarie espressioni di trasparenza nei rapporti con la
comunità scientifica; c) la necessità di un periodico riferimento alle
Camere sul modificarsi dello stato di cose presenti; d) la
regolamentazione nell’utilizzo - in via straordinaria - dei mezzi di
comunicazione pubblica per rivolgersi al Paese (radio e TV); e) una definizione
precisa degli atti da compiere.
Grafica di Giuseppe Denti |
Un
lavoro, quello dell’elaborazione di un articolato legislativo da redigersi in
termini di necessaria flessibilità d’esposizione ma chiaro e legittimante “a
priori” dell’esercizio della funzione di governo delle condizioni di
straordinarietà.
La legge 400/88 indica dettagliatamente le attribuzioni del
Consiglio dei ministri.
Il Governo può esercitare la funzione legislativa in due ipotesi
previste e disciplinate in modo tassativo dalla Costituzione quando:
il Parlamento stesso conferisce al Governo - con un'apposita
legge di delega, secondo principi e criteri predeterminati e per un tempo
definito - il compito di provvedere ad emanare decreti legislativi aventi forza
di legge;
può adottare, autonomamente e sotto la sua responsabilità,
decreti-legge per fronteggiare situazioni impreviste e che richiedono un
intervento legislativo immediato. In questo caso, il Parlamento si riserva, nei
sessanta giorni successivi, di convertire in legge, anche con modifiche, il
decreto. In caso contrario, il decreto-legge decade.
Nella straordinarietà della situazione l’emanazione da parte del
Parlamento di una sorta di “legge-quadro” del tipo di quella che si è cercato
di descrivere in questa sede avrebbe consentito poi a tutti gli altri atti
assunti via via di rispettare l’insieme del quadro dettato dalla norma
costituzionale.
I
punti di maggiore fragilità del sistema possono comunque essere così riassunti:
1) È emerso il vuoto di una
visione “nazionale” della funzione politica di governo. Funzione “nazionale”
che risulta assente soprattutto nel rapporto “centro-periferia”. Governo versus
Regioni (assente il parlamento), Regioni versus Comuni. Incertezza nelle
attribuzioni, scelte compiute esclusivamente in funzione della propaganda;
2) Ben oltre le evidenti
lacune presenti dopo le modifiche effettuate nel 2001 nell’articolato del
Titolo V della Costituzione sono apparsi di enorme detrimento per la
funzionalità dell’azione politico-amministrativa i meccanismi di elezione
diretta dei Presidenti di Regione e dei Sindaci. Questo punto rappresenta un elemento
di necessaria riflessione per il futuro. Lo spostamento delle decisionalità
nell’ambito della pura personalizzazione finisce con esaltare l’ansia di
rielezione e mette la macchina amministrativa in funzione di quell’obiettivo
provocando una rincorsa affannosa e contraddittoria nell’elaborazione della
normativa. Ansia da prestazione che è risultata alla base della evidente
contraddittorietà delle decisioni via via assunte e della dimostrazione di
divergenza di interessi spiccioli tra i diversi protagonisti. Divergenze poste
ben al di là delle difformi appartenenze politiche. Su questo punto andrebbe
aperto un capitolo riguardante ruolo e compiti dei consessi elettivi e della
loro funzione di controllo e sulla realtà oggi rappresentata dai partiti
politici considerati nella loro possibilità di promuovere le scelte riguardanti
la classe dirigente. Scelte che, alla fine, dovrebbero compiere elettrici ed
elettori e che a loro sono sottratte ormai da molto tempo;
3)
Si è resa
evidente la totale insufficienza nell’utilizzo dell’online allo scopo di
promuovere una necessaria continuità nell’iniziativa e nella partecipazione
politica sul territorio. Qualcuno ha notato che nella discussione in atto in
queste ore sulla possibilità di frequentare i luoghi di culto piuttosto che i
teatri oppure le mostre risulta completamente assente un discorso riguardante
lo svolgimento (un tempo “normale”) di attività politiche e culturali in sedi
proprie? O si pensa forse di delegare il tutto alle videoconferenze causando un
ulteriore restringimento nelle possibilità di partecipazione attraverso una
ulteriore scrematura provocata da un particolare aspetto del “digital divide”?
In questo senso appare di grande attualità il dibattito che qualcuno ha già
opportunamente aperto sulle, fin qui inevase, modalità di applicazione
dell’articolo 49 della Costituzione circa l’esercizio della democrazia
all’interno dei partiti politici. Democrazia sarà necessario impedire che in
futuro venga esercitata soltanto attraverso i “click” oppure i “like” apposti
sulle pagine dei “social”.
Nel
complesso sono comparsi tutti i fantasmi della negatività accumulata nella
trasformazione verificatasi nell’espressione dell’agire politico seguendo gli
impulsi dell’individualismo, della distruzione della possibilità di intervento
collettivo, di destinazione della democrazia esclusivamente nel senso della
governabilità.
L’insieme
delle questioni che ha portato all’egemonia dell’estetica sull’etica.
In
pratica stiamo assistendo all’esercizio di una “Costituzione Materiale” di
stampo presidenzialista che il Paese ha rifiutato due volte, nel 2006 e nel
2016, con due voti popolari a larga maggioranza che confermarono la vocazione
parlamentare della Repubblica come stabilito dai Padri Costituenti.
Nell’immediato
futuro e non oltre sarà necessario si sviluppi un forte movimento politico per reclamare
un necessario ritorno alla legalità repubblicana e alla possibilità di
esercizio concreto della democrazia al Centro come in periferia.
Dobbiamo
tornare a poter favorire l’associazione di tutti i cittadini al di fuori dalla
creazione di “élite” surrettiziamente emerse attraverso l’utilizzo di strumenti
di comunicazione fondati sull’immagine e sulla velocità di un messaggio
lanciato esclusivamente dalla tecnologia, senza il contatto diretto nel
confronto delle opinioni.
Si
tratta del tema complessivo dell’intermediazione politica e sociale, che
comprende anche la funzione dei sindacati, delle grandi associazioni di
categoria, di tutti i soggetti che concorrono sul piano dell’orientamento
culturale dell’opinione pubblica: abbiamo visto come non possa essere
trascurata la presenza di soggettività collettive riguardanti diverse posizioni
ideali e anche contrastanti interessi materiali.
Non
può assolutamente risultare sufficiente la determinazione dell’alto di misure
che per essere applicate hanno necessità di essere discusse in un lavoro di
orientamento e di aggregazione.
Qualsiasi
misura popolare o impopolare può risultare efficace soltanto in una situazione
sociale e politica nella quale gli equilibri non siamo determinati
esclusivamente dalla paura.
È molto breve il passaggio
dal predominio della paura allo Stato di Polizia