di
Angelo Gaccione
Chi è approdato almeno una volta
sulla bella, armonica, Piazza del Conte Treccani degli Alfieri a Montichiari, e
si è seduto ai tavolini di uno dei suoi caffè, godendo la vista della chiesa
dell’Assunta (il Duomo) con la sua troneggiante cupola e il colle del Castello
Bonoris con i suoi torrioni, in una bella giornata di sole, non può fare a meno
di rimanere sgomento davanti alle foto che la ritraggono completamente vuota,
in questi giorni tremendi di dolore e di lutto. È così ricca e così piena
questa piazza, come ogni piazza italiana, da non osare neppure lontanamente
immaginare che quello che con una locuzione latina chiamiamo horror vacui,
potesse un giorno materializzarsi nelle nostre anime e divenire sentimento comune.
Improvvisamente tutto questo pieno è diventato vuoto. Tutto il suo formidabile pieno
fatto di simboli incantevoli e rassicuranti, di materia solidificata dentro uno
spazio organizzato e ben disposto su una superficie, si è trasformato in una
presenza muta e angosciante. Un vuoto incolmabile si è impadronito delle
anime di quanti sono stati privati delle vite dei loro cari, e un vuoto atroce ha
pervaso le nostre, osservando questa piazza in cui ogni presenza, ogni voce, ogni
rumore, è stato cancellato. Ora sappiamo con incontrovertibile certezza, che il
vuoto altro non è se non una sottrazione, una perdita umana
irreparabile. Una perdita di vite, di presenze. Nessuna teoria di fisica
quantistica, nessuna speculazione filosofica, può colmarlo questo vuoto
incommensurabile, annichilente, che si è andato formando nelle nostre anime. È un
vuoto esistenziale profondo, un vuoto che si è inciso nella parte più recondita
della nostra esistenza e occorrerà molto tempo per elaborarlo.
Se privato di un occhio che lo legga ogni libro è muto, a
maggior ragione lo sono un luogo, una piazza, una cattedrale, se privati del
nostro sguardo, della nostra presenza. Quando tutto questo sarà finito e
torneremo a riempirle di vita queste
nostre belle piazze, - a resuscitare noi con loro - amiamole di più e
rispettiamole; rispettiamole come parte inscindibili di noi, prendiamocene
cura. E prendiamoci cura di un noi inteso come prossimo, come umanità
fragile e vulnerabile, troppo spesso ripiegati come siamo, su un io
divenuto ipertrofico ed egoista. Senza solidarietà non esiste umanità:
teniamolo a mente, mentre ci prepariamo alla rinascita. Sarà stata proprio la
solidarietà, l’abnegazione dei molti, a permettere ai nostri mille e mille
corpi di riempire il vuoto di questa bellissima piazza, quando le campane
dell’Assunta suoneranno a distesa per convocarci alla festa della vita
ritrovata.