di
Paolo Maria Di Stefano
Il Ponte di Renzo Piano a Genova è una realtà.
Il
carattere simbolico e archetipico proprio di tutti i ponti, reali o ideali, ha
trovato (in questo secolo) la sua espressione più completa nelle parole di Martin
Heidegger il quale, in uno scritto del 1954 dal titolo “Costruire abitare
pensare”, afferma che “il ponte riunisce presso di sé, nel suo modo, terra e
cielo, i divini e i mortali. Invero si pensa generalmente che il ponte sia
anzitutto e propriamente solo un ponte. Solo per un senso aggiunto e
occasionale potrebbe poi anche esprimere molteplici significati… Ma in realtà
il ponte, se è un vero ponte, non è mai anzitutto un semplice ponte e poi, in
un secondo tempo un simbolo. Né il ponte è fin da principio solo un simbolo,
nel senso che esprima qualcosa che, in senso stretto, non gli appartiene… Il
ponte è un edificio in grado di dare dimora al soggiornare dell’uomo” (Saggi
e discorsi, Heidegger,1954, pag.102; pag.106.)
Con
una annotazione conclusiva di estremo interesse da parte di Alessandra Di
Stefano, architetto autrice della tesi che sto rileggendo: “Ritengo che sia
inevitabile la sovrapposizione tra il concetto heideggeriano di luogo dell’abitare
(…) e quello di luogo del costruire inteso come di una architettura
capace di farsi espressione di una determinata cultura. L’operazione mentale,
culturale e progettuale da compiere è quindi quella di recuperare la capacità
di abitare così da poter costruire: la forte carica simbolica del
ponte, il suo essere un segno e un archetipo universalmente condiviso fin dai
tempi più antichi può indubbiamente aiutare i progettisti in questa difficile
operazione. Il ponte sembra infatti aver mantenuto, grazie al suo simbolismo ed
alla sua universalità, un legame molto stretto con il costruire e con l’abitare
di Heidegger, ed è forse l’unico tema progettuale che ha conservato nella sua
stessa essenza il ‘poetare’ l’originario ‘far abitare’ (Heidegger, op. cit.,
traduzione italiana 1976, pag. 136).”
Una
data storica per Genova, per l’Italia, per l’Europa: poche ore orsono, in fondo,
il cantiere ha posto in quota l’ultimo elemento del nuovo ponte di Renzo Piano
e la città è di nuovo unita e tutta percorribile. Pare impossibile, ma ora non
restano che i dettagli (si fa per dire) destinati a renderlo percorribile e
dunque anche economicamente e praticamente utile.
Il ponte sul Polcevera di Renzo Piano |
E naturalmente è subito stato un coro di apprezzamenti, e tutti abbiamo fatto a gara per esprimerli con una gioia soltanto limitata dal ricordo della tragedia che ha accompagnato il crollo di quel Ponte Morandi in fondo almeno esteticamente apprezzabile. Tutte cose dette da tutti e accompagnate dalla speranza - quasi una consapevolezza - che almeno per una volta la burocrazia, la corruzione e il malaffare se anche avessero remato contro (tanto per non perdere l’occasione) non avrebbero ottenuto effetti dannosi più che tanto, anche per questo rafforzando la speranza di un futuro persino eticamente corretto. E forse non soltanto per questo ponte, che Renzo Piano ha voluto sinteticamente funzionale. E proprio nel nome di Renzo Piano, architetto ammirato incondizionatamente da Alessandra Di Stefano - che sognava si lavorare con lui - che sono andato a rileggere la tesi che ha dato alla giovane la lode nell’ormai lontano 1996 e che si conclude con un passaggio, allora, per me oscuro, oggi di una chiarezza esemplare.
Con
un vantaggio: poter parlare dell’evento del 28 aprile con argomenti in qualche
modo diversi da quelli utilizzati dai tanti commentatori, più colti e
certamente meglio tecnicamente preparati di me.
Ecco:
Genova e Renzo Piano hanno costruito una “abitazione” che, quando sarà
completata, ospiterà non soltanto la cultura di una regione, mostrandola per
quello che è stata e per ciò che sarà, ma anche per lo spirito del “lavorare
assieme” per costruire un ambiente, un mondo, una qualità di vita migliore.