di Giorgio Begher*
Mesti, silenziosi, come magari è stata
umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una
generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le
privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di
qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da
rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo
pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in
canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta,
della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e
nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom
economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione,
regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va
l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi
oramai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli
stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria
storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia intera deve
dirvi grazie e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze.
*Pneumologo dell’Ospedale San Maurizio di Bolzano