di Angelo Gaccione
Il Castello di Carmagnola |
In quel trionfo di
visionarietà creativa che sono i “volti vegetali” del nostro pittore
lombardo Giuseppe Arcimboldo, il peperone non ha un posto rilevante. Mi ha
sempre molto sorpreso questa mancanza, non solo per la varietà cromatica: nelle
vaschette dei supermercati i bellissimi e luminosi colori gialli, verdi, rossi
e viola, compongono degli splendidi stendardi; ma soprattutto per la ricchezza
delle forme davvero di ogni tipo. Piccoli, grandi, allungati, rotondi,
attorcigliati, a cornetti, quadrati… e dunque straordinariamente versatili. Una
miniera nelle mani di un artista come lui, per comporre nasi, occhi, mento,
mustacchi, gote e quant’altro. Conosciuto fin dal Cinquecento, questo genere di
ortaggio era certamente notissimo ad un pittore come Arcimboldo che di buona
parte di quel secolo è stato figlio.
Diffusamente presente sulle mense di nobili, contadini
e soldati, grazie alla carnosità, al profumo e al gusto, poteva accompagnare
molte pietanze, soprattutto cacciagione, carni fra le più diverse, salumi,
divenendo un contorno prezioso e ricco di sapori. Io ne ho delle reminiscenze
quasi proustiane: in casa mia lo si mangiava anche crudo, quello quadrato,
soprattutto, come quello ora tanto rinomato della città di Carmagnola. Mia
mamma diceva che era ricco di vitamine, vi praticavamo un forellino dall’alto e
vi lasciavamo scorrere un filo d’olio che lo irrorasse esaltandone il gusto.
Bei tempi, quelli, quando ancora di merendine non c’era traccia, e nello
stomaco immettevamo prodotti naturali e genuini.
La Fiera del peperone |
Posso immaginare che
meraviglia di peperonata le cucine preparano a Carmagnola, ma mia moglie non è
da meno e il suo estro si sbizzarrisce come le donne della mia infanzia.
Arrostiti sulla griglia o la piastra, poi conservati in un sacchetto del pane
per tenerli al caldo e poterli facilmente spellare… Io potrei fare una lista
lunghissima dei cento e più modi di preparazione, da quelli ripieni a quelli
conservati sottaceto per poi accompagnarli con il coniglio arrosto o fritti col
fegato. Ne sento ancora a distanza di mille chilometri l’aroma che avvolgeva la
casa e si spandeva sulla via, e mi ritorna l’acquolina in bocca. Ma più di
tutto io ho sempre amato quelle gigantesche padellate di patate fritte e
peperoni multicolori, che adagiate sul treppiedi sotto la fiamma del focolare,
rosolavano a fuoco lento e indoravano in letizia. Accompagnato con del buon
pane fatto in casa, questo piatto bastava da se solo a saziarci e nutrirci.
Affascinato come sono dalle forme, devo confessare che
fra le varietà che ho avuto modo di vedere, quello detto a trottola,
prodotto nelle terre della Carmagnola, mi è parso di gran lunga il peperone più
suggestivo e affascinante. Sarà perché mi ricorda un cuore, un cuore pulsante,
vivo, straordinariamente umano, e tornando ai dipinti dell’Arcimboldo, non
avrei esitato, se avessi posseduto la sua abilità, di piantare un peperone come
questo in mezzo al cuore di uno dei suoi personaggi. Fosse pure l’imperatore
Rodolfo II d’Asburgo. O uno lungo o a corno sul naso, di una
delle sue tante “Teste composte”.
Ghiotto come sono di questo prodotto -
dicono addirittura che le sue proprietà prevengano il tumore al cervello - devo
però confessare di non averne finora vista la Fiera, che nella città di
Carmagnola si svolge dalla fine di agosto in poi. Me la immagino come un
tripudio di colori e di festa.
E in un tripudio di colori e di festa devono apparire
le distese di territorio dove la sapienza dei carmagnolesi lo coltiva… cariche come campi di tulipani e trabocchevoli di lunghi filari colorati, da cui deve sprigionare
una struggente e poetica seduzione.
Piazza Sant'Agostino |
Ahimè, non ho nemmeno visto la cittadina che i miei ricordi scolastici rimandano al nome del condottiero reso celebre dalla tragedia del Manzoni. Ma mi sono proposto alla prima occasione di andarci: la piazza Sant’Agostino e il Castello voglio proprio vederli. In attesa, ne affetto uno sul tagliere.