La
drammatica situazione economica a cui il nostro Paese sarà costretto, a seguito
della pandemia del coronavirus, ha rimesso in circolazione l’idea di una
patrimoniale fra giornalisti e alcuni parlamentari. Il filosofo Fulvio Papi si
è chiesto perché non ne parlino gli economisti. Ho girato la domanda a Marco
Vitale.
Caro Vitale
il filosofo Papi, mi ha chiesto perché nessun economista parla di una
patrimoniale sui redditi cospicui in un momento come questo. Ti giro la
domanda.
Un saluto
Angelo Gaccione
Caro Gaccione
La questione dell’imposta patrimoniale fa parte di quelli che Luigi Einaudi
chiamava fantocci polemici, cioè i luoghi comuni che non vengono più esaminati
secondo ragione ma secondo reazioni istintive e sentimentali. Per un ragionamento
sereno in materia è necessario distinguere due situazioni. La prima si
riferisce a un’imposta patrimoniale ordinaria con aliquota modesta come, ad
esempio, esiste in Svizzera. Un’imposta di questo tipo è molto utile ed
equilibrata perché permette di esercitare un equilibrato prelievo fiscale a
quelle forme di accrescimento patrimoniale che non si manifestano attraverso un
fenomeno di reddito e quindi che non vengono mai colpite dall’imposta sul
reddito. Quando all’inizio degli anni ’70 lavorai come giovane assistente del
Prof. Cesare Cosciani nella proposta di riforma fiscale, il Prof. Cosciani
suggerì questa imposta patrimoniale che fu quindi inserita nel sistema e poi
finì al Parlamento. Al Parlamento il ministro delle finanze socialdemocratico
Preti la cassò e fu, dal punto di vista dell’equilibrio del sistema fiscale, un
grave errore. Ancora oggi un’imposta di questo tipo sarebbe estremamente utile.
Ma si parla anche di imposta patrimoniale per fa fronte a particolari
emergenze tipo la guerra o il Coronavirus. Ma questa ipotesi viene oramai da
molti decenni respinta da quasi tutti per ragioni in parte fondate, in parte
totalmente infondate. Incomincio da queste seconde. Si ha il timore che
l’imposta patrimoniale venga intesa come una forma punitiva più che come uno
strumento di finanza pubblica. Di questo timore è stata vittima soprattutto la
sinistra che oramai da decenni è la prima a scongiurare il “timore” di una
patrimoniale speciale. Il motivo invece abbastanza fondato per cui non si ama ricorrere
a questo strumento è che tale strumento è tecnicamente molto complesso da
applicare con una alta potenzialità di contenzioso tributario e con difficoltà
di attestare in modo equo il patrimonio mobiliare, per cui il rischio è che si
riduca in pratica a un nuovo prelievo solo o quasi sugli immobili. Queste
preoccupazioni sono rafforzate dalla esistenza di alternative meno difficili e
meno conflittuali. Parlo in particolare di grandi prestiti pubblici volontari a
lunghissimo termine come fu il grande Prestito della Ricostruzione nel 1948.
Questi prestiti se presentati da leader politici affidabili e con una comunicazione capace di coinvolgimento oltre a portare finanza non contenziosa come sarebbe quella di una imposta possono assumere anche un grande significato di impegno civile e solidale dei cittadini. Questi prestiti possono anche essere irredimibili nel senso che non devono essere rimborsati dallo Stato ma possono essere negoziati e quindi conservare una certa liquidità sul mercato. Quindi il portatore di un titolo di questo tipo viene remunerato con un equo anche se modesto interesse e si trova un titolo dal quale può uscire attraverso una cessione al mercato. Queste sono le ragioni tecnicamente fondate per preferire lo strumento del prestito a quello di una imposta patrimoniale di difficile accertamento o di ancora più difficile riscossione. Questo è anche il motivo per cui nella mia nota Al di là del tunnel sposo senza esitazione questa soluzione, così come del resto fa Bazoli e anche Tremonti. La maggioranza dei riscontri che sto ricevendo sul mio scritto sono molto allineati e favorevoli a questa soluzione. Quindi la vera domanda da porsi è: perché in una situazione come questa, anche per acquisire una forza negoziale più solida nei confronti dei partner europei il Governo non lancia un grande prestito per la ricostruzione? La risposta è molto amara ed è che negli ambienti del Tesoro e della Banca d’Italia la liberazione o meglio la riduzione del ricatto del debito pubblico che essi in primo luogo esercitano attraverso i vari governi sul popolo italiano non è particolarmente amata. Il ricatto del popolo attraverso il debito pubblico è in effetti uno strumento di potere.
Grafica di Giuseppe Denti |
Questi prestiti se presentati da leader politici affidabili e con una comunicazione capace di coinvolgimento oltre a portare finanza non contenziosa come sarebbe quella di una imposta possono assumere anche un grande significato di impegno civile e solidale dei cittadini. Questi prestiti possono anche essere irredimibili nel senso che non devono essere rimborsati dallo Stato ma possono essere negoziati e quindi conservare una certa liquidità sul mercato. Quindi il portatore di un titolo di questo tipo viene remunerato con un equo anche se modesto interesse e si trova un titolo dal quale può uscire attraverso una cessione al mercato. Queste sono le ragioni tecnicamente fondate per preferire lo strumento del prestito a quello di una imposta patrimoniale di difficile accertamento o di ancora più difficile riscossione. Questo è anche il motivo per cui nella mia nota Al di là del tunnel sposo senza esitazione questa soluzione, così come del resto fa Bazoli e anche Tremonti. La maggioranza dei riscontri che sto ricevendo sul mio scritto sono molto allineati e favorevoli a questa soluzione. Quindi la vera domanda da porsi è: perché in una situazione come questa, anche per acquisire una forza negoziale più solida nei confronti dei partner europei il Governo non lancia un grande prestito per la ricostruzione? La risposta è molto amara ed è che negli ambienti del Tesoro e della Banca d’Italia la liberazione o meglio la riduzione del ricatto del debito pubblico che essi in primo luogo esercitano attraverso i vari governi sul popolo italiano non è particolarmente amata. Il ricatto del popolo attraverso il debito pubblico è in effetti uno strumento di potere.
Con vive cordialità
Marco Vitale