di
Grammenos Mastrojeni* e Fiorella Belpoggi*
Grammenos Mastrojeni |
Fiorella Belpoggi |
“Cosa ci insegna la tragica esperienza del coronavirus?”
Ci
siamo: è iniziata l’era della natura ammalata. Appena un paio di anni fa ancora
non volevamo credere a una scienza che ci pareva fantascienza quando indicava
che presto il clima alterato avrebbe colpito i nostri raccolti, sradicato foreste, o
devastato un porto in Liguria, e altrove avviato conflitti e migrazioni. E non
ci siamo neanche accorti che la stessa scienza ammoniva sui forti pericoli
sanitari causati dal degrado ambientale.
Ma sono arrivati gli
uragani sul Mediterraneo, è arrivato Covid-19. Benvenuti in un primo, ma forse
piccolo, assaggio del mondo che ci aspetta se non cambiamo rotta e non facciamo
attenzione alla casa comune Terra: crescita esponenziale degli impatti su agricoltura,
territorio, sicurezza e pace; ma anche moniti su batteri resistenti a ogni
antibiotico o sullo scongelamento di virus preistorici con la fusione del
permafrost artico. Questa stessa scienza, che finora ha colto nel segno,
certifica anche un altro fatto essenziale: abbiamo pochissimo tempo, ma
possiamo ancora invertire rotta se solo comprendiamo bene cosa è successo e ne
traiamo le logiche conseguenze.
Non si
tratta di lodare gli aurei tempi passati, funestati da guerre, carestie e
pestilenze, segnati da attese di vita alla nascita di molto inferiori alle
nostre: benvenuta scienza, grazie tecnologia! Si tratta invece di cogliere il paradosso. Oggi avremmo
tutto - scienza e risorse - per liberarci dai mali del passato; invece abbiamo
abbracciato un sistema che questi mali ce li restituisce amplificati e
invincibili, e che possiamo cambiare al solo prezzo di distribuire le risorse
per vivere tutti meglio. Non serve costruire un mondo più sanitario, bensì un
mondo più sano per tutti, su tutto il pianeta.
Non si
può rigorosamente affermare che proprio COVID-19 sia causato dal degrado
ambientale, così come non si può asserire che uno specifico ciclone sia causato
dal riscaldamento globale. Ma possiamo notare che sono parte di una tendenza
statistica che suggerisce, ad esempio, che AIDS ed Ebola siano entrati nel
circuito umano grazie al nostro rapporto distruttivo con le foreste, o che il
prossimo invincibile Super batterio nascerà in uno di quegli allevamenti
crudeli ove si stipano animali, imbottendoli di antibiotici fino ad incubare la
resistenza a qualsiasi farmaco. E non è un problema in più rispetto al clima o
alla drammatica perdita di biodiversità; è lo stesso problema perché ha come causa
gli stessi errori dell’uomo.
Ma cosa
è successo? Basti pensare a come mangiamo: grazie scienza, grazie tecnologia
che ci fate produrre calorie sufficienti a sfamare più di 10 miliardi di
persone. Ma chi dobbiamo ringraziare se questo apparente successo si è trasformato
in un sistema che spreca il 30% del cibo prodotto, depreda risorse come le
foreste - diminuendo l’assorbimento di CO2 e favorendo la diffusione di Ebola -
che ha indotto 1,5 miliardi di iper-mangiatori insalubri a fronte di 815
milioni di denutriti? Se orientassimo giuste dosi di tecnologia su produzioni
più piccole, sovrane e locali, culturalmente ricche e varie, ne avremmo per
tutti di cibo, migliore, e in abbondanza. Non solo, ma le diete sarebbero meno
avvelenate, potrebbero provenire all’uomo in dosi salutari, da animali che
hanno vissuto un’esistenza dignitosa e senza antibiotici, o da vegetali
cresciuti in terreni sani, fertilizzati con deiezioni di animali sani,
riportando il sistema agricolo alla sua dimensione, cioè quella di un sistema
chiuso che non crea effetto serra poiché il ciclo del carbonio si compie senza
residui. Tutto questo al posto dell’agricoltura industriale, quella degli obesi
contro i denutriti, che invece è responsabile di oltre il 20% dei gas serra.
Basti
pensare che un numero enorme di animali, circa 70 miliardi, vengono allevati
ogni anno nel mondo per la nostra alimentazione (esclusi i pesci). In Europa,
più dell’80% provengono da allevamenti intensivi: animali geneticamente selezionati
per una produttività sempre maggiore, confinati in edifici sovrappopolati, dove
non possono esprimere alcuno dei comportamenti naturali della loro specie. E
per quanto riguarda pesticidi e fertilizzanti le cifre sono impressionanti: nel
2017 in Italia sono stati utilizzati 1,3 miliardi di Kg di pesticidi e
fertilizzanti, pari a circa 100 Kg per ettaro coltivato, corrispondenti a circa
14 Kg per abitante; nel mondo ne sono stati usati 605 miliardi di Kg, pari a
circa 125 Kg per ettaro coltivato, circa 80 Kg per abitante della terra,
compresi coloro che non hanno nulla da mangiare.
La
diseguaglianza porta il sistema Terra a uno squilibrio che si trasforma in
minacce per la sicurezza, la dignità la pace e, certo, anche la salute. E vale in tutti i
settori, non solo per quello dell’approvvigionamento del cibo. Se alcuni
concentrano le loro vite nel produrre un reddito dedicato a oggetti che non
hanno neppure il tempo di usare, mentre altri cercano brandelli di quegli
oggetti nelle discariche; se ci si complica l’esistenza con tre auto in garage,
mentre una donna in un villaggio dell’Africa deve fare 10 miglia a piedi per un
orcio d’acqua, Madre Natura ci restituisce il conto con gli interessi. Non è
una vendetta morale: la natura entra in degrado con le diseguaglianze, perché
ha raggiunto il proprio equilibrio distribuendo equamente le proprie energie,
attraverso milioni di anni di adattamento.
COVID-19,
su questo, ci sta dando anche un’ulteriore lezione, essenziale: non c’è governo
al mondo che possa risolvere il clima, la biodiversità, le pandemie, senza la
libera responsabilità individuale. Restiamo tutti a casa, tocca a noi e non ai
divieti: sarà anche l’occasione per fermarci, riflettere e cambiare.
*Diplomatico
*Istituto Ramazzini, Bologna
*Diplomatico
*Istituto Ramazzini, Bologna