COME TI DISTRUGGO LA SANITÀ
di
Elio Veltri
Elio Veltri |
Un po’ di cronistoria sullo sfascio della Sanità
Lombarda
Angelo Gaccione mi ha chiesto di
scrivere per Odissea qualche riflessione sul Corona Virus, che anche io come la
stragrande maggioranza degli italiani considero la più grande tragedia dalla
fine della Seconda guerra mondiale. Mi soffermo su tre problemi: la salute dei
cittadini e il sistema di sanità pubblica; i comportamenti delle mafie in
situazioni come quella che stiamo vivendo; i comportamenti dell’Europa e i
rischi che l’Unione corre. Ora scrivo sul primo. Mafia ed Europa, se Gaccione è
interessato, li rinvio di alcuni giorni.
Sanità: gli apprezzamenti frequenti al sistema
sanitario li condivido ed essendomi occupato di questo problema sia in
Consiglio regionale della Lombardia che in Parlamento voglio raccontare alcuni
episodi che a suo tempo ho sollevato e denunciato, diffusi in tutto il Paese, con
corruzione in molte regioni, privatizzazione crescente dei servizi,
infiltrazioni mafiose. Ricordo che la legge di riforma sanitaria che ha
istituito il servizio sanitario nazionale è stata approvata nel 1978 e
fortemente voluta dai socialisti e da Aldo Aniasi, ministro della sanità nei
governi Cossiga e Forlani e poi varata da Tina Anselmi ministro del governo
Andreotti. Il modello al quale avevano guardato i socialisti era il National
Health Service inglese di netta impostazione laburista. Nell’attuale tragedia
la legge viene molto apprezzata, ma negli anni non è stata difesa da tutte le
ferite inferte che di fatto hanno determinato una consistente privatizzazione
del servizio. Ne cito alcune: taglio dei finanziamenti di 37 miliardi di euro
in dieci anni; ruberie e corruzioni a Roma e nelle Regioni, allungamento dei
tempi di attesa per le prestazioni; controllo delle mafie in molte regioni e
quindi scandali ripetuti. Accenno ad alcuni di essi verificatisi in Lombardia
perché li ho vissuti e denunciati in Consiglio regionale e alla Magistratura.
Racconto, facendo riferimento al mio libro Milano degli scandali scritto
con Gianni Barbacetto e pubblicato nel 1991 da Laterza perché a Milano nessun
editore interpellato aveva voluto pubblicarlo. Uno dei capitoli più
significativi racconta comportamenti e rapporti tra la Regione e alcuni
imprenditori della sanità privata, proprietari di molte cliniche convenzionate
come l’ingegnere Salvatore Ligresti allora (anni ’80) in competizione con Silvio
Berlusconi per il primato imprenditoriale a Milano.
Quando il 30 luglio del
1988 in consiglio regionale ci eravamo salutati per andare in vacanza, la
maggioranza dei consiglieri non immaginava neanche che la giunta, il 2 Agosto,
sfidando il caldo terribile, avrebbe approvato in due ore 400 delibere per
centinaia di miliardi di spesa. Come ha poi scritto il pretore Nicoletta Gandus
che aveva esaminato una denuncia di Emilio Molinari, Pippo Torri e il sottoscritto:
“Si può ragionevolmente supporre che la stragrande maggioranza delle delibere
non sia stata né esaminata né discussa secondo una prassi corrente di reciproco
affidamento fra i componenti dell’organo esecutivo”. In sintesi, il 2 di
Agosto, scatta il blitz e l’assessore regionale alla Sanità presenta quattro
delibere riguardanti un gruppo di cliniche private, le cosiddette Cliniche
d’oro, che prevedevano l’esecuzione di nuovi trattamenti come la Litotripsia e
cioè l’eliminazione dei calcoli evitando l’intervento chirurgico e utilizzando
il litotritore, novità assoluta in Italia. Ma anche apparecchi per la TAC e Risonanza
magnetica, cercando di programmarne il numero e le rispettive prestazioni
rispetto al numero degli abitanti della Lombardia. Il problema che determinò le
proteste e la ribellione di 4 assessori democristiani era l’esclusiva
attenzione della maggioranza della giunta e dei consiglieri democristiani alle
cliniche private che avrebbero agito in regime di monopolio rispetto agli ospedali
pubblici, aggravando di oltre 1000 miliardi in otto anni i costi per la
Regione. Non a caso, d’altronde, Ligresti aveva puntato sulla sanità per
diventare il più ricco imprenditore milanese. Sue erano le cliniche Città di
Milano, Madonnina, l’Istituto Ortopedico Galeazzi, Ponte San Pietro collocata
in una zona senza ospedali pubblici e San Marco. Ogni intervento di
litotripsia, compresi i giorni di degenza, sarebbe costato circa 8 milioni.
Nonostante le prospettive di aggravio dei costi, dovuti ai trattamenti ai
cittadini lombardi, la Regione, per far guadagnare i privati convenzionati,
scrisse anche una lettera alle altre regioni italiane invitandole a inviare gli
ammalati a Milano nelle cliniche milanesi convenzionate. Ne arrivarono tantissimi
e considerato il costo di un trattamento circa 8 milioni di lire compresa la
degenza, si consentì di ammortizzare il costo del litotritore, circa 2
miliardi, in un solo anno. A quel punto anche alcuni assessori democristiani
sollevarono il problema che finì al Palazzo di giustizia.
Volendoci vedere
chiaro accertai che a Losanna, in una lussuosa clinica privata, la litotripsia
epatica o renale costava alla Cassa di malattia Svizzera 2 milioni di lire e
che nell’ospedale di Parigi Porte de Choisy, privato e totalmente convenzionato
con lo Stato, costava l’equivalente di 800 mila lire. Molto meravigliato incontrai
il medico Guy Vallancien segretario dell’Associazione nazionale degli urologi
francesi, e chiesi come fosse possibile e se potesse metterlo per iscritto. Lui
mi spiegò che il malato si fermava solo un giorno e dopo qualche ora di riposo la
sera tornava a casa e mi consegnò la documentazione scritta. Insomma lo stesso trattamento
costava 8 milioni a Milano e 800 mila lire a Parigi! Si vede che l’ingegnere
Ligresti che aveva convenzionato la sua clinica Città di MiIano per la sola
litotripsia, aveva argomenti convincenti nei confronti della Giunta regionale. In
un primo momento Baronio, segretario della democrazia cristiana bresciana, la
più importante della Lombardia, gridò allo scandalo e prese pubblicamente le
distanze dai suoi assessori. Ma poi davanti al magistrato, pretore Nicoletta
Gandus, visibilmente irritata, ritrattò tutto. Ma lo scandalo regionale divenne
ancora più allarmante quando i tre consiglieri di opposizione (Molinari, Torri
e Veltri) visitando alcune cliniche private si trovarono di fronte al problema
delle attrezzature convenzionate ma inesistenti. Le cliniche San Donato, Città
di Milano, Zucchi di Monza, San Pio X e Città di Brescia raggiunte
telefonicamente assicurarono di avere le attrezzature convenzionate. Allora
decisero di visitarne alcune: Ponte San Pietro, San Marco di Zingonia, Villa
Turro, Istituto Galeazzi. A Ponte San Pietro Emilio Molinari viene ricevuto da
Silvano Ubbiali potente factotum del gruppo Ligresti. Tanto che il pretore
scriverà: “Ubbiali chiede e Isacchini (assessore alla sanità) tout court
concede”.
Emilio Molinari |
Molinari chiede: “Il litotritore?”
“È ancora imballato”
“La Tac?”
“Non c’è”
“La fotocoagulazione laser?”
“Non c’è”
“La telecobaltoterapia?”
“Non c’è”.
Dopo qualche ora Molinari visita la San Marco di Zingonia e la
litania si ripete con una serie di “non c’è”. Torri e Veltri non sono più
fortunati e a Villa Turro si ripete la stessa scena. E così anche all’Istituto
Galeazzi, dove il direttore sanitario, abbronzato e accogliente, che mi ricorda
di esserci conosciuti, dice: “Le attrezzature? Ma non saprei neanche dove
metterle, stiamo allargando la clinica”. La notizia delle attrezzature
inesistenti solleva un putiferio. Nel palazzo della Regione inizia uno
scaricabarile delle responsabilità tra il Presidente e l’assessore alla sanità.
E il 28 settembre del 1988 Tabacci si dimette. Il 17 aprile del 1989 il pretore
Gandus condanna Isacchini a 6 mesi di reclusione che viene assolto in appello.
Nel 1990 nuova tornata elettorale, gli elettori lo hanno bocciato.