Dalla teodicea
emergono le contraddizioni del concetto di dio data la presenza del male. Gli
uomini sono nella natura, parte e prodotto della natura, ma subiscono il male.
Non è vero che l’uomo di Rousseau sarebbe felice: anche lui si ammala e muore.
Forse è vero quanto sostiene Youval Harari che il cacciatore raccoglitore era
più libero e più sano, ma certo di ragioni per essere infelice ne aveva anche
lui. Al di là del problema della divinità, difficile è accettare che la natura (o
il deus sive di Spinoza) possa produrre manifestazioni che sono “male”
per i soggetti - uomini, animali, vegetali ecc. - che essa ha generato e che
sono quindi parte della natura stessa. Una natura masochista, ma è così.
Cesare Giussani
Voltaire |
Il dibattito che si è sviluppato a proposito della attuale pandemia vede - grosso modo - contrapposte due concezioni. Da una parte chi ritiene responsabile lo sviluppo della civiltà occidentale che ha stravolto le leggi naturali e quelle della socialità, dall’altra chi ritiene che risiede nelle leggi della natura la possibilità di un virus, la cui esistenza sulla terra precede quella della specie umana, di passare di specie. Questo dibattito mi pare che sostanzialmente ne riprenda un altro, decisivo nella storia della cultura occidentale, che segnò la rottura tra Voltaire e Rousseau.
Il 1° novembre 1755 Lisbona fu sconvolta
da un terribile terremoto che fece circa cinquantamila vittime. Catastrofi
analoghe avevano già colpito l’opinione pubblica: nel 1699, un
terremoto in Cina aveva ucciso 400.000 persone e nel 1750 un altro aveva
distrutto la città di Fiume e sommerso un’isola. Ma in questo caso lo sconcerto
fu enormemente maggiore, in quanto era stata rasa al suolo una capitale
europea.
Voltaire lo registra prontamente in un
poema che, prima in forma di copie manoscritte e subito dopo a
stampa (1756), ha una diffusione straordinaria:
Direte vedendo questo ammasso di vittime
“Dio si è vendicato, la loro morte è
il prezzo dei loro crimini?”
Che crimine, che colpa hanno commesso
questi bambini
schiacciati e sanguinanti sul seno
materno?
Lisbona, che non esiste più, ebbe più
vizi
di Londra, Parigi, tuffate nelle delizie?
Lisbona è distrutta, e si danza a
Parigi.
Oggetto della polemica voltairiana
è la teodicea cristiana - i cui maggiori sostenitori all’epoca erano Leibnitz,
Pope e Wolf - che riconosce nella storia l’opera della provvidenza la quale
finisce inevitabilmente per trasformare il male in un bene più grande. Nella
Prefazione all’edizione del 1759 del poemetto tratta questa
concezione da “insulto ai dolori della nostra vita”. Ai versi di Voltaire
risponde subito, il 18 agosto 1756, in una lettera polemica Rousseau
con argomenti che marcano la sua presa di distanza da colui che fino ad allora
aveva considerato comunque un maestro:
Restando al tema del disastro di
Lisbona, converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in
quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella
grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e
alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno
violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto. Ciascuno sarebbe scappato alle
prime scosse e si sarebbe ritrovato l’indomani a venti leghe di distanza,
felice come se nulla fosse accaduto. Ma bisogna restare, ostinarsi intorno alle
misere stamberghe, esporsi al rischio di nuove scosse, perché quello che si
lascia vale più di quello che si può portar via con sé. Quanti infelici sono
morti in questo disastro per voler prendere chi i propri abiti, chi i
documenti, chi i soldi? Forse non sapete, allora, che
l’identità personale di ciascun uomo non è diventata che la minima parte di sé
stesso e che non vale la pena di salvarla quando si sia perduto tutto il resto?
Secondo Rousseau dunque, gli uomini
colpiti dal terremoto sono personalmente responsabili della loro morte sia in
quanto hanno scelto di vivere in una città, allontanandosi dai costumi
naturali, sia in quanto sono stati spinti dalla concupiscenza: per
l’attaccamento ai beni materiali che ha impedito loro di salvarsi. Nella
lettera il filosofo ginevrino crea in questo modo un legame tra
catastrofe e modernità che avrà grande fortuna nel pensiero radicale
dell’Occidente e che ancora oggi ispira buona parte del movimento
ecologico. Il contributo di Rousseau a creare i fondamenti di questo pensiero
risalta anche in un altro passo della lettera in cui osserva che la
catastrofe di Lisbona ha sconvolto gli europei in quanto ha colpito una
capitale, cioè uomini civilizzati; non altrettanto sarebbe accaduto se
avesse colpito selvaggi, come avrebbe auspicato Voltaire (vv. 53-55). Insomma
crea un precedente alla critica della prospettiva etnocentrica.
I due, da questo momento, diventano
nemici.
Che dire in sintesi di questo scontro.
Lo sviluppo perverso della civiltà ha certo il suo peso come vuole Rousseau; ma
non bisogna dimenticare, come voleva Voltaire, che la terra non è stata fatta
per l’uomo. Dunque possono avvenire fenomeni come i terremoti e le
epidemie che prescindono dal suo operato.
Francesco Fiorentino
Rousseau |
Partendo dagli interessanti interventi di
Francesco Fiorentino e Cesare Giussani, la mia personale riflessione sulla
pandemia mi porta ad una posizione intermedia tra quelle dei due grandi
filosofi, Voltaire e Rousseau, o meglio, le recepisce entrambe. Come Voltaire credo che ci siano fenomeni che sono al di fuori dal
controllo umano in grado di sconvolgere l’umano vivere e tali da farci porre
serie perplessità sull’operare della divina Provvidenza (per la pandemia c’e’
almeno, un piccolo sprazzo di luce, dato dal fatto che vengono risparmiati i
bambini, cosa che non avviene nella guerra in Siria, nell’emergenza profughi,
etc.). Come Rousseau credo, anzi sono convinto,
che la causa principale vada ricercata nella modalità di produzione
ed organizzazione sociale capitalistica che il modello consumistico USA ha
esaltato e portato agli eccessi. In particolare il sistema prevede modalità
che, se non mitigate, portano allo sfruttamento, fino alla razzia, dell’uomo
sull’uomo, dell’uomo sulla natura, dell’uomo (e quello della pandemia è
l’ultimo tassello) sul mondo sub-umano degli animali e dei microrganismi. Se lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo è stato negli ultimi secoli combattuto ed in
parte mitigato portando all’avvento delle democrazie occidentali e dello stato
sociale, quanto allo sfruttamento incondizionato della natura si è appena
cominciato ad affrontarlo a fronte dei problemi macroscopici posti dal climate
change; quanto infine allo sfruttamento/sconvolgimento degli
animali e microrganismi siamo ancora a cara grazia. Doveva esserci una
ragazzina di 16 anni per scuoterci riguardo al clima ed il corona virus per
fare altrettanto, molto più drammaticamente, riguardo allo sconvolgimento di un
rapporto armonioso con la natura, col mondo animale e coi microrganismi.
Marcello Garolla
Marcello Garolla