di
Ercole Pelizzone
“Cosa ci ha insegnato la tragica esperienza del coronavirus?”
Caro
Angelo,
è
difficile rispondere, anche perché strettamente soggettiva ogni impressione,
ogni sensazione. Ad esempio, come medico assisto alla nobilitazione generale
della categoria: tutti "eroi", medici e infermieri, mentre in
condizioni normali si lasciano scadere i contratti e ci si rifugia nella prescrizione
per gli anni più lontani. E questo in condizioni precarie di lavoro già nella
normalità, con carenza di personale e di mezzi cronico. Ogni medico, specie
ospedaliero, buono da processare con agevolazioni da parte dei legali per
procedere contro e ora tutti sugli altari. Dunque, in Italia, si capisce solo
ora l'importanza di una Sanità pubblica efficiente? Ci tocca vedere gente che
canta e balla sui balconi secondo l'antico vezzo italico della
"caciara", senza pensare che il silenzio è davvero d'oro in certi
momenti: un silenzio che è riflessione, per chi crede è preghiera. Nessuno si
salva da solo ovvero nessun uomo è un'isola: il volontariato dà prova di enorme
generosità e questa è veramente una risorsa preziosa in questo Paese così
contrastante nei suoi aspetti. Non sappiamo quanto pagheremo per questo
disastro planetario anche in termini di economia, il futuro appare ancora
troppo incerto. Certo, c'è da sperare, ma ne dubito, serva come insegnamento
circa la precarietà delle nostre radici, pronte a essere divelte
all'improvviso. Un salto di qualità, morale, intellettuale, "dopo"?
Chi lo sa? È ancora troppo presto per tutto, anche per abbozzare una smorfia di
sorriso dietro la mascherina.