di Angelo Gaccione
In questi giorni “Odissea” sta pubblicando
numerosi articoli sulla pandemia. Ho scritto “La fiaba del coronavirus” pensando ai tanti bimbi
segregati in casa, alle aule delle scuole materne vuote e tristi, alle piazze
senza voci, ai nonni senza nipotini. Una sorta di rito liberatorio per
stemperare ansia e malinconia. I disegni illustrativi sono stati eseguiti da Adamo Calabrese che ringrazio.
Nel contado di Lombardopoli con
l’arrivo dei primi freddi invernali, con molta facilità i bimbi si ammalano. Vederli
al mattino imbacuccati recarsi all’asilo col gelo e il cielo grigio, non è uno spettacolo
allegro.
Quanto starebbero meglio al calduccio dei loro lettini! Ma imparare
e giocare in compagnia, vale qualche sacrificio.
Certe mattine è un vero e proprio concerto di colpi di tosse e
di starnuti, e le aule non sono molto allegre, nemmeno quella delle Rose, dove
ci sono bambine e bambini molto spiritosi. Quasi ogni giorno, in questa
stagione, la febbre costringe a letto o a casa Diego, Raffaele, Marianna,
Morahil; un’altra volta Michael, Celeste, Anna, Giulia; poi è il turno di
Riccardo, Ettore, Diana, Gloria; poi ancora di Ginevra, Firas, Viola e
Francesco. Una mattina restano vuoti i banchi di Aurora, Tommaso, Manuel e
Andrea; un’altra quelli di Lorenzo, Leonardo, Margot, Michele e Allegra.
“È l’influenza” dicono le maestre Daniela e Maria Teresa;
“È l’influenza” dicono le mamme e i papà.
Non capisco perché tutti gli anni arriva puntuale questa
fastidiosa e noiosa influenza: perché non se ne sta a casa sua? Uffa! è proprio
una seccatura…
Quest’anno però non è stata una semplice influenza a tenerli a
casa: è stato il Coronavirus. All’improvviso, da un giorno all’altro, si è
diffusa la notizia e nessuno ha più potuto uscire di casa. Senza maestre, senza
compagni, senza nonni, senza le cose belle che si facevano all’asilo. Di colpo
le piazze, le strade, i cortili, i giardini, si sono svuotati: sembrava una
città fantasma. Spariti i bambini, le loro voci, le loro gioiose risate, la
loro baldoria, la loro allegria. Un mortorio.
No, io non posso sopportare città senza bambini, asili senza
allegria, strade prive di voci, nonni senza nipotini: sono o non sono il mago
di Altolà? Mi sono messo subito all’opera e ho trovato il rimedio: ho preparato
un impasto magico, una poltiglia densa ed appiccicosa, una trappola più
avvolgente delle sabbie mobili. A vederla sembrava il cuore di una torta, così
ricca di colori e di crema, guarnita di panna bianca e soffice. Chiunque
vedendola ne sarebbe rimasto incantato...
“Ehi, tu, signor Coronavirus, hai fatto danni abbastanza in questi mesi e non ti sopporto più. Togliti quella ridicola corona che hai su quella testa malvagia e levati dai piedi, se non vuoi che te la riduca in un…”
Quella stupida testa senza cervello non mi ha fatto neppure
finire la frase: ha spalancato gli occhi su quel magnifico impasto, su quella
montagna di panna candida come la neve, e senza riflettere un secondo: oplà! ha
spiccato un salto da gazzella ed è precipitata dentro la torta rimanendovi
prigioniera e soffocata. Ben gli sta!
“Toh!” ho esclamato, “non credevo che i virus fossero così
golosi…”
Bene, amici miei, ce l’abbiamo fatta, il pericolo è
scongiurato. Da domani tutti alla scuola materna. Daniela e Maria Teresa vi
aspettano già da troppi giorni, e la Classe delle Rose senza di voi era
diventata malinconica. Oh, mi raccomando eh: appena vi sarà possibile, fate un
salto dai nonni, muoiono dalla voglia di abbracciarvi.
[Milano, 23 marzo 2020]