Da settimane “Odissea” sta riflettendo sulla
condizione determinatasi a seguito della pandemia, e lo sta facendo
scandagliando gli aspetti più diversi. Quello della forzata segregazione in
casa non è il meno drammatico. Quello dei bimbi e delle generazioni più giovani
è forse il meno sopportabile. Oggi lo evidenziamo attraverso questa lettera di Eleonora
Guglielmetti, una studentessa di 18 anni di Novara, e con altre riflessioni.
Sono felice di affidare ai lettori di
Odissea lo scritto di una mia allieva di quinta superiore. Lo ha scritto con il
cuore, senza alcun intento di pubblicazione. Ha voluto farmelo leggere e l’ho
trovato molto bello; spero possa essere utile ai giovani come lei. E a tutti
noi. [Chiara Pasetti]
Eleonora Guglielmetti |
Novara, 27 marzo 2020
Caro,
si fa per dire, COVID-19,
dato che non sembri intenzionato a fermarti, non mi
resta che scriverti una lettera. Una lettera in cui possa mostrarti quella
debolezza, quella vulnerabilità e quella fragilità che mi rendono così piccola
di fronte alla tua grandezza, alla tua forza, alla tua inspiegabile prepotenza.
Dato che non sembri cedere di fronte a
tutte quelle forme di resistenza che ognuno di noi ha cercato o, leggermente in
ritardo, sta cercando di adottare per stare, in ogni modo e ad ogni costo,
lontano da te, non mi resta che lasciare spazio a quella miriade di pensieri
che uno strano miscuglio di sensazioni, nate in seguito alla tua volontà di
renderci preda delle tue invisibili fauci, ha generato nella mia testolina.
Dato che sembri essere invisibilmente,
fisicamente e psicologicamente imbattibile, non mi resta che scrivere a te e
raccontare di te. Non mi resta che raccontarti, con il cuore in mano e con la
mente che, un pochino lenta a causa del peso e della profondità dei pensieri
che la attraversano, può continuare a scegliere di non restare a casa, come in
pochi mesi tu sia riuscito a stravolgere l’esistenza di un pianeta meraviglioso e a
metterne in discussione la capacità di lottare per sopravvivere, per evitare di
implodere, di scomparire.
Dato che non sembri affatto disposto a
permetterci di tornare a respirare, non mi resta che scriverti per dare
finalmente sfogo a quella paura che ho fin dall’inizio evitato, nascosto, non
palesato, convinta del fatto che ammettere di avere paura ti avrebbe reso
ancora più forte di quanto tu già non sia.
Dato che la tua presenza continua a
farsi strada all’interno delle nostre case, nei nostri ospedali, nei nostri
polmoni e nei nostri cuori, non mi resta che scriverti per dirti quanto spesso
mi venga voglia di piangere, di spegnere il telegiornale e di andare a dormire
con la convinzione che in fin dei conti possa essere tutto solamente un
grandissimo e bruttissimo sogno. Ma puntualmente, se apro gli occhi, se mi
avvicino alla finestra, le strade deserte e la sirena delle ambulanze che vi
sfrecciano sopra mi riportano alla realtà, dandomi nuovamente la certezza che
pensarti come un bruttissimo sogno sarebbe forse, in questo momento, il più bel
sogno che ognuno di noi abbia mai potuto desiderare tanto.
Dato che sembri immune di fronte alle
suppliche di un’intera umanità abbattuta e messa in ginocchio innanzi a te, non
mi resta che scriverti, per raccontarti come lavarmi le mani sia ormai diventato
uno dei miei passatempi preferiti, o di come guardare fuori dalla finestra e
pensare a quell’abbraccio del quale per il momento non posso più godere sia
diventato ormai il modo più malinconicamente e tristemente vero per continuare
a sperare e a credere che prima o poi, davvero, tutto possa tornare ad andare
bene. Che tutto possa tornare a riempirci l’anima di quell’ebrezza di vita che
hai saputo sottrarci, con avidità e prepotenza, all’improvviso, lasciandoci
così impreparati e in balia di un destino e di un futuro totalmente incerti.
Che tutto possa tornare a non farci più paura, che tutto possa tornare ad
appartenerci, che tutto possa tornare a colori.
Dato che non sembri affatto dell’idea
di fermarti, anche solo per un istante, in questa tua guerra di espansione e di
conquista di ogni centimetro di mondo umano, non mi resta che scriverti, per
dirti quanto mi spaventi il fatto di vedere ogni mattina mio padre uscire di
casa per recarsi in ospedale o mia madre bardarsi per andare a lavorare, quanto
mi angosci anche solo provare ad immaginare il dolore di tutte quelle persone
che tu hai privato dell’affetto e del calore dei loro cari, quanto mi faccia
sentire terribilmente vulnerabile e impotente la consapevolezza di questa tua
invisibile capacità di distruggere tutto ciò che incontri senza mostrare anche
solo un sottile ed impercettibile velo di pietà, di commiserazione, di
misericordia.
Dato che la tua presenza sembra averci
ormai completamente tagliato le ali della libertà e presidiato le strade della
vita, non mi resta che scriverti, a nome mio e a nome di tutti coloro i quali
potranno o sapranno ritrovare i nuovi se stessi in queste parole, per ricordare
a me stessa, a tutta l’umanità ma soprattutto a te che, nonostante tutto,
l’amore, la speranza, la forza e l’orgoglio italiani sono e saranno, in questa
drammatica battaglia, gli ultimi a morire.
Eleonora