di
Franco Astengo
Mi
permetto di ritornare sul tema dello stato della democrazia in Italia, in tempi
di emergenza come quelli che stiamo vivendo con grande difficoltà pubblica e
personale. Le esigenze di decisionalità sovra nazionale si stanno imponendo
come necessariamente da riflettere in maniera diversa rispetto al passato. Ciò
premesso e da non dimenticare per il futuro, occorre approfondire alcuni
aspetti riguardanti il sistema politico italiano e i profili di vera e propria
“difficoltà democratica” che questo sistema sta incontrando proprio in queste
ore.
Abbiamo
constatato il ridursi dell’attività di governo alle esternazioni via Facebook
del presidente del consiglio dei ministri, attraverso le quali si sono sommate
in un volgere di brevissimo spazio temporale le enunciazioni di provvedimenti
diversi anche contrastanti tra loro.
Si
è così causato sconcerto (assalto ai treni, code ai supermercati, moltiplicazione
delle occasioni di contagio in una società fragile, sfrangiata, corrosa
dell’individualismo e dal familismo e resa ancora più debole dall’insufficienza
dei corpi intermedi ormai succubi di una comunicazione in gran parte negativa,
veicolata soprattutto dai nuovi social network e da una televisione, pubblica e
privata, sterilmente retorica e inutilmente ridondante.
Il
ruolo del Parlamento è stato ulteriormente messo in discussione: addirittura si
è aperto un dibattito intorno alla necessità o meno di tenere aperte le Camere
e si sono compiute scelte di riduzione dell’attività parlamentare in totale
contrasto con la Costituzione repubblicana.
Non
è stato minimamente affrontato un punto che invece risulta del tutto decisivo
per l’equilibrio democratico in frangenti come questi: quello del rapporto tra
esecutivo e legislativo con la comunità scientifica, al fine di portare al
dibattito pubblico gli elementi concreti che si ritengono utili per assumere
decisioni della portata di quelle che si sta cercando di attuare in queste ore.
Si
è mostrata per intero la carenza di relazioni tra Stato centrale e sistema
delle autonomie locali, in primis le Regioni.
Le
diverse parti d’Italia sono state colpite diversamente dall’emergenza e la
frantumazione del sistema ha portato all’espressione di una conflittualità non
soltanto tra il Centro e la Periferia, ma anche tra le diverse parti della Periferia,
facendo mostrare la corda del rapporto, già storicamente complicato (per usare
un eufemismo) esistente tra Nord e Sud.
Sono
emerse le grandi contraddizioni del nostro sistema economico impostato in
maniera sbagliata nel corso degli anni nel rapporto tra pubblico e privato, tra
esportazione e domanda interna, nell’adeguamento tecnologico, nell’affidare
intere parti del Paese a una economia precaria come quella del turismo, dal
peso dell’evasione fiscale, del lavoro nero, di intere zone e settori economici
in mano alla criminalità organizzata. Tutto questo è emerso in dimensione
rafforzata rispetto al passato, almeno agli occhi dell’opinione pubblica in un
quadro generale di assenza di programmazione e di forte carenza nella capacità
di intervento pubblico in particolare nel campo delle infrastrutture e degli
strumenti necessari per il welfare state.
La
sanità, sottoposta nel suo complesso ad uno stress incredibile, ha dimostrato
tutta la difficoltà nel rapporto pubblico /privato, una difficoltà che ha messo
in luce punti di vera e propria caduta della logica di affidamento del settore
alle Regioni.
Torno
però al punto centrale che intendevo sollevare con questo intervento: quello
dell’esercizio della democrazia in linea con il dettato Costituzionale.
Il
primo dato è quello della necessità di affermare la centralità delle Camere
nell’assunzione di decisioni riguardanti l’insieme della nostra Comunità.
In
secondo luogo serve chiarezza nel rapporto con la Comunità scientifica: non
basta l’esternazione quotidiana in conferenza stampa dei tragici numeri
dell’epidemia.
È
necessario subito un dibattito parlamentare nel corso del quale il Governo
espliciti al Paese tutti i dati in proprio possesso, le valutazioni su questi
degli Istituti pubblici di sanità e le relative determinazioni proposte.
Dev’essere
il Parlamento, rovesciando l’impostazione di ratifica dei decreti-legge, a
concedere al Governo una delega ad agire nei tempi dell’emergenza: una delega
circoscritta nel tempo, con l’obbligo di riferire in aula a scadenze precise. Una
delega del Parlamento al Governo ben determinata e che dovrebbe contenere un articolato
molto preciso circa la possibilità concessa e i limiti imposti (anche rispetto
all’uso degli strumenti di comunicazione).
L’Italia
soffre di una crisi della propria democrazia palesatasi nel tempo attraverso
una riduzione del rapporto tra politica e società nel senso della
concentrazione del potere che, alla fine, ha significato una riduzione del
carico di responsabilità collettiva e di conseguenza una limitazione della
democrazia.
Ci
sarebbero tanti capitoli da aprire: quello sul ruolo dei partiti, sulla
personalizzazione, sulla necessità di riaprire il discorso riguardante la
democrazia rappresentativa, sulle forme del dibattito pubblico e sull’uso - in
questo - delle strumentazioni tecnologiche, sull’elezione diretta delle cariche
monocratiche a livello locale.
Cercheremo
di far ripartire il confronto su questi temi non appena l’emergenza avrà
allentato la sua morsa.
Adesso
si presentano però tutti gli elementi utili per far emergere posizioni che
contribuiscano a un recupero di presenza democratica nelle istituzioni e nel
Paese all’interno del quadro tracciato dalla Costituzione.
Ribadisco
una riflessione già avanzata nei giorni scorsi: deve essere capovolta
l’impostazione fin qui data nel rapporto tra Governo e Parlamento.
In
questa fase deve essere riaffermato lo strumento fiduciario: non basta il voto
di fiducia espresso a suo tempo. È necessario stabilire con chiarezza i margini
di manovra dell’esecutivo, anche nel necessario rapporto con le parti sociali. È
evidente che risaltino spinte contrastanti sommate assieme alle divergenze che
si stanno esprimendo tra centro e periferia.